[10/12/2012] News

Doha. Porta aperta verso il disastro

C'è una cifra che rimane sul sottofondo di questa Conferenza delle Parti infinita ormai conclusa: 34mila miliardi di dollari. E' il denaro che la comunità internazionale dovrà sborsare entro il 2035 per mettere mano in modo efficace al disastro climatico a cui stiamo assistendo. Più della metà dell'attuale PIL mondiale, una cifra astronomica, ma che se si confronta con le risorse mobilizzate per salvare il sistema finanziario internazionale, per altro sempre più virtuale e poco ancorato all'economia reale, che alcuni analisti hanno calcolato attorno ai 10-15mila miliardi di dollari il tutto acquisisce un altro profilo.

Citygroup è "too big to fail", il clima no. Nonostante il rischio di tipping point, punti di non ritorno, e l'affastellarsi di sempre più frequenti eventi atmosferici estremi, la comunità internazionale ha deciso di giocare a rimpiattino, rimbalzandosi addosso la palla (o "hot potato", patata bollente, come alcuni interventi delle delegazioni hanno sottolineato) dell'impegno concreto.

Due settimane più un giorno di negoziato hanno portato al "Doha climate gateway", una sorta di ponte verso il nuovo regime climatico che dovrebbe vedere la luce nel 2020 e che dovrebbe tenere a bordo tutti i Paesi, a cominciare dai grandi inquinatori. Nel frattempo ci accontenteremo di un Kyoto 2, confermato nelle sue strutture ma svuotato di contenuti, partecipato da poche nazioni, tra cui Unione Europea e Australia, più interessate ai meccanismi flessibili come il mercato del carbonio che non il taglio delle emissioni vero e proprio.  Che comunque dovrà essere ancora definito nelle sue specificità e nei suoi numeri, a partire dall'indicazione, e dall'auspicio, che il taglio dovrà essere entro il 2020 di una quantità compresa tra il 25 ed il 40% delle emissioni usando come baseline il 1990. L'Europa, senza sforzo, arriverà al 25% quasi certamente (siamo al 17% oggi, grazie anche al calo della produzione legato alla recessione) quindi si capisce poco dove sia la "grande ambizione" sventolata più volte dalla Commissaria al clima Connie Hedegaard, che ha dovuto fare lavoro di cesello all'interno dell'Ue per evitare che la Polonia, poco amica del clima, imponesse i suoi diktat.

Di quei 34mila miliardi di dollari che ci vorrebbero, i Governi non sono stati in grado di stanziarne nemmeno l'1%. Benché tutti si siano impegnati per mobilizzare risorse per 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 già alle scorse COP (Cancun nel 2010 e Durban nel 2011), ad oggi si sono visti i 3 miliardi di dollari per rendere operativo il Green Fund, e, nell'ultima COP, i soldi promessi da diversi Paesi membri dell'UE, che toccheranno a malapena i 7 miliardi di dollari per i prossimi due anni.

Briciole. Basti pensare che il solo tornado Sandy potrebbe costare 80 miliardi di dollari all'Amministrazione Obama, e che solo per la parte agricola l'ultimo tifone che ha colpito Mindanao e le Filippine potrebbe facilmente lambire gli 800 milioni di dollari.

Che succederà nel prossimo futuro? Davanti alla lentezza negoziale ed all'inconcludenza dei Governi avremo solamente i disastri ambientali. Le alluvioni in Italia, le piogge monsoniche nelle Filipppine, i tornado sempre più potenti su Caraibi e Stati Uniti. Tutte tragedie che raderanno al suolo economie e aumenteranno il numero delle vittime e dei profughi ambientali.

C'è un qualcosa di irresponsabile, in questa comunità politica globale capace di guardare solo ai bilanci delle banche. Ci si domanda, però, che fine ha fatto quella società civile che solo 11 anni fa a Genova ricordava come un mondo diverso fosse possibile. Forse c'è bisogno di un ripensamento e di una riattivazione di quelle energie, perché il mondo diverso è veramente possibile ed è ormai alle porte: ci parla di un pianeta surriscaldato, di un mare che si alza e di una Groenlandia che perde, come l'ultima estate, la sua calotta artica.

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