[06/12/2012] News

Linee strategiche per la tutela del territorio: la proposta del ministro Clini sotto i raggi X

Necessario pensare alle gestione del rischio idrogeologico nelle aree già edificate

E' sostanzialmente positivo il primo giudizio sul testo "Linee strategiche per l'adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio" che il ministro dell'ambiente, Corrado Clini, ha inviato al Cipe (sembra - alleluia! - che vengano costituite le Autorità di bacino distrettuali) anche se qualche precisazione a nostro avviso va effettuata.

A partire dalla terminologia usata: si continua a parlare di "messa in sicurezza del territorio" quando a livello europeo ci si concentra opportunamente sulla gestione del rischio alluvioni con una pianificazione che dovrebbe rendere tale rischio accettabile (che non sarà mai zero, come invece il concetto di messa sicurezza sottintende).

Poi c'è una questione di tempistica: nel testo inviato al Cipe si precisa che «sulla base del Rapporto, ed in attuazione della direttiva  "alluvioni" 2007/60/CE,  sono aggiornati entro il 31.12.2013 dalle Autorità di Bacino dei distretti idrografici  i Piani di assetto idrogeologico (Pai)»; ma secondo il D.Lgs. 49/2010 che recepisce la 2007/60/CE  la fase di redazione delle mappe di pericolosità e rischio, è da completarsi entro il giugno 2013, quindi i "vecchi" Pai dovrebbero essere aggiornati prima.

Inoltre, una nota di prospettiva. All'art.2 "Misure urgenti di salvaguardia", comma 2, è riportato: «In attesa della revisione dei Pai, di cui al precedente art.1, è vietato  l'uso ai fini residenziali, produttivi o per servizi e infrastrutture, delle zone già classificate "R4- Aree a rischio idrogeologico molto elevato", fino alla adozione da parte delle amministrazioni competenti delle misure di prevenzione». Questo è un passaggio importante, che ha raccolto il plauso del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi (che con la legge regionale n. 21/2012 aveva già adottato questo tipo di intervento).

Ma è necessario anche guardare oltre. I Pai (Piani stralcio dei Piani di bacino) già approvati, definivano le classi di pericolosità idrogeologica ed idraulica mediante modello idraulico, criterio geomorfologico, storico-inventariale e individuavano anche le aree a pericolosità idraulica molte elevata (le P4) ed elevata (le P3) dove non sarebbe stato opportuno intervenire con nuove edificazioni anche dopo la presunta "messa in sicurezza".

Il rischio idrogeologico, che tiene in considerazione gli elementi esistenti (persone, infrastrutture, beni colturali, e ambientali...) non è mai stato trattato in modo esteso e approfondito ancorché la normativa lo prevedesse. Cioè la pianificazione di bacino si è limitata, e non è stato poco, ad individuare le aree di pericolosità. La direttiva europea "alluvioni" (2007/60) che prevede l'elaborazione di un Piano di gestione per ogni bacino entro il 2015, parla invece proprio di rischio e quindi di misure per limitarlo in base a criteri di sostenibilità (ad esempio delocalizzazioni), che intervengono sugli elementi esistenti.

Si intuisce come la logica sia diversa e pure le conseguenze applicative quando il Piano di gestione alluvioni diverrà legge dello Stato.

Quindi, guardando al futuro, le linee strategiche per la tutela del territorio non si possono limitare a vietare di costruire il nuovo in aree pericolose, ma devono dare indicazione anche per la gestione del rischio in zone già edificate e fortemente esposte. Quindi, all'interno di un work in progres si deve ragionare nell'ottica della direttiva europea già recepita due anni fa, che prevede adeguamenti anche per le aree di pericolosità definite nei Pai e alle nuove criticità (vedi flash flood, le famose "bombe d'acqua"). 

Infine, nelle linee strategiche si parla di «manutenzione dei corsi d'acqua attraverso interventi di regimazione idraulica, di ricalibratura e di pulizia degli alvei». Non è possibile nascondere come questo punto debba essere dettagliato, perché talvolta l'attuazione degli interventi citati ha prodotto dei disastri sugli ecosistemi fluviali, nel migliore dei casi non aggiungendo nulla ai fini della riduzione della pericolosità idraulica ma deteriorandone qualità e funzionalità.

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