[03/12/2012] News

Quale ambientalismo? Da homo sapiens-sapiens a consumatore tout court

Lo storico Luigi Piccioni, commentando l'avvincente opera di Franco Pedrotti, "Soplicowo - L'uomo in sintonia con la natura", ha posto l'accento alcune questioni fondamentali relative al nostro modo di considerare la natura e al nostro modo di essere ambientalisti.  Torno sull'argomento alfine di contribuire a un dibattito costruttivo, dove purtroppo prevale la confusione comunicativa e cognitiva.

Ho avuto la fortuna di conoscere Franco Pedrotti e la sua fermezza nel sostenere la priorità della conservazione della natura a fronte di malintese e fuorvianti interpretazioni. Ricordo con particolare interesse il confronto che assieme abbiamo avuto con Janusz Falinski, già direttore scientifico della foresta primigenia di Bialowieza - ultimo lembo di natura incontaminata raccontata nell'opera "Soplicowo"  - in occasione del convegno internazionale Dal bosco primigenio al rimboschimento tenutosi nell'aprile del 1996 nel Parco Nazionale d'Abruzzo. Così si esprimeva l'autorevole professore dell'università di Varsavia: «La conoscenza dei processi biologici, ecologici, sociali non può essere sostituita né da una semplice dichiarazione di obiettivi, né dall'indecente banalizzazione dei concetti di biodiversità, di sviluppo equilibrato, di cambiamento globale».  Affermazioni queste molto attuali, che dovrebbero indurre le associazioni a riflettere attentamente sui loro intenti e sui loro programmi.

Fa bene, allora, Piccioni a mettere in guardia su argomenti di stampo prevalentemente economicista, come quello della "green economy", poco affini alla più genuina cultura protezionistica. Un concetto, questo, assurto a vessillo di varie associazioni ambientaliste, che rischiano di ridursi a "stampella" dell'ipocrisia verde delle multinazionali che, da parte loro, hanno tutto l'interesse a ingigantire i loro utili e interessi finanziari, anche a scapito della qualità degli ecosistemi e della salute umana. Parimenti il concetto di "biodiversità", che tanto riempie la bocca di ambientalisti e politici, dovrebbe essere ricondotto alla sua originaria accezione, puramente tecnica, intesa come misura quantitativa del numero di specie in un determinato habitat. Il voler identificare, nei luoghi comuni, la natura con la biodiversità è un modo per alterare il significato semantico e della parola, ma soprattutto un impoverimento cognitivo pericoloso che riduce i sistemi viventi in un'ottica matematica e materialistica, svuotata di senso storico, etico ed estetico.

Vorrei citare, in proposito, Stuart Kaufman, biologo teorico di fama mondiale, uno dei principali esponenti del Santa Fe' Institut, il leggendario centro studi no-profit dov'è stata elaborata la teoria della complessità, che, nella sua opera dal titolo accattivante Reinventare il sacro - Una nuova concezione della scienza, della ragione e della religione, evoca una grave lacerazione tra il mondo dei fatti e il mondo dei valori sostenendo che «nel mondo industrializzato siamo ridotti a consumatori». Lo scienziato ricorda l'imbarazzo del premio Nobel per l'economia Kennet Arrow quando gli chiesero di stabilire il valore dei parchi nazionali statunitensi; in tale circostanza il guru dell'economia non seppe calcolare la loro utilità per i consumatori americani. «Persino nella nostra vita nella natura siamo ridotti a consumatori - precisa Kauffman - e i pochi luoghi incontaminati sono assurti a beni di consumo. Eppure il valore di questi parchi è la vita in sé e la nostra partecipazione alla vita stessa».  

Per oltre trecento anni, dall'epoca di Cartesio e Newton, siamo stati condizionati da un paradigma materialistico, basato su un'idea di una natura priva d'intelligenza e di finalità, un modello che considera i sistemi viventi simili a macchine e a computer, le cui funzioni biologiche sono ridotte a operazioni meccaniche, una concezione che ha separato l'uomo dalla natura, che ha enfatizzato il suo dominio sulle altre specie e sulle risorse della terra, ma che ha retrocesso nella scala evolutiva la specie "homo sapiens-sapiens" a "consumatore tout court". 

In questa fase storica convulsa, espropriata dei valori etici, credo sia necessario rivedere attentamente i programmi e le strategie dell'associazionismo ambientalista, attraverso una rivisitazione profonda della loro cultura e della loro azione sociale, alfine di rompere quel paradigma, che Elisabeth Noelle-Neumann ha definito "La spirale del silenzio", che costringe i cittadini alla conformità e all'adattamento dell'opinione dominante.  I principali interlocutori delle associazioni sono i cittadini e non le imprese multinazionali, con loro soprattutto bisogna comunicare e interagire, utilizzando linguaggi e argomentazioni intellegibili, per far crescere e diffondere nella collettività una consapevolezza etica della nostra inscindibile appartenenza al mondo della natura. 

E' proprio dietro la metafora del cosiddetto "ambientalismo del sì e del no", o peggio dell'ambientalismo "del fare", con il pretesto di rigettare un ecologismo datato, si nascondono le peggiori insidie alla natura e all'uomo. Sembra inverosimile, ma la risposta a questi proclami di demagogia emergente la si può ritrovare nella letteratura più remota: «Vorrei considerare l'uomo come abitatore della natura - scriveva nel lontano 1862 David Thoreau, autentico antesignano protezionista - come sua parte integrante, e non come membro della società. Desidero fare quest'affermazione estrema e per questo sarò enfatico: la civiltà ha già fin troppi paladini [...] La speranza e il futuro per me non sono nei prati e nei campi coltivati, non sono nei villaggi e nelle città, ma nelle paludi mobili e impervie».  "Camminare", nell'interpretazione del filosofo del Massachusetts «equivale a svegliarsi, aprire gli occhi, rendersi conto del pericolo mortale a cui il genere umano sta andando incontro nel nome dello sviluppo economico e del cosiddetto progresso».

Nella citata e più attuale opera, "Reinventiamo il sacro", pubblicata nel 2008, Stuart Kauffman - da par suo - afferma che «abbiamo disperatamente bisogno di un'etica globale che sia più ricca di un semplice interesse di consumatori [...] un'etica come sostegno alla civiltà globale [...] condividere il senso di sacralità verso la vita e verso il nostro pianeta ci aiuterà a orientarci oltre il consumismo e la mercificazione del nostro mondo industrializzato [...] e a rimarginare la lacerazione prodotta dalla falsa convinzione riduzionista che viviamo in un mondo di fatti senza valori».   

*già direttore Ente Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise e vice presidente della Federazione Nazionale Pro Natura 

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