[30/11/2012] News

Brutto clima a Doha, è già scontro tra gli Usa e le associazioni ambientaliste

Nuova Zelanda: è il momento di abbandonare il Protocollo di Kyoto

The Times of India scrive che Jonathan Pershing, il capo dei negoziatori alla Cop18 Unfccc in corso a Doha, ha detto alle associazioni ambientaliste internazionali che dovrebbero ricordarsi chi paga per averle portate alla Conferenza Onu sul clima del Qatar. Pershing ha detto queste cose in un incontro a porte chiuse con i rappresentanti delle Ong, fortemente critiche con la posizione statunitense anti-Protocollo di Kyoto, e il  Times of India dice di essere entrato in possesso di registrazioni del colloquio  fatte di nascosto.

«Siamo uno dei finanziatori  che rendono possibile per voi essere al tavolo - ha detto Pershing ai rappresentanti delle Ong ambientaliste -  Spero che molti di voi che vengono ai meeting che facciamo, riconoscano che  gli Stati Uniti combattono perché abbiate ogni possibilità di essere in questa stanza».

Anche se non sono certo paragonabili a quello che sta succedendo in Russia alle Ong che hanno rapporti internazionali ormai definite "agenti stranieri" e sotto attacco e vandalizzate dai gruppi giovanili, le parole di Pershing sono sembrate a molti delegati un chiaro avvertimento, sensazione che si è acuita quando il capo della delegazione Usa a Doha ha aggiunto senza mezzi termini: «Quello che penso è che questo riguarda anche la partecipazione di un gran numero di Paesi là fuori, compresi quelli che non sono d'accordo con noi».

Gli americani a Doha sono duramente criticati dalle Ong e dai Paesi in via di sviluppo (ma anche dall'Ue)  perché non stanno stanziando fondi per la mitigazione del global warming né stanno aumentando i loro modesti obiettivi di riduzione delle emissioni, anche dopo che il presidente Barack Obama, appena rieletto, aveva detto di non aver fatto abbastanza nel suo primo mandato per affrontare il cambiamento climatico. Pershing pensa che le Ong dovrebbero concentrarsi nel chiedere maggiore intervento da parte del mondo sviluppato per ridurre le emissioni: «In qualche modo mi colpisce che la notizia che attira un sacco della vostra attenzione e un sacco di attenzione globale non è quella sull'effettiva applicazione. La domanda che fa eccitare la gente è: qual è il nuovo impegno, la nuova cosa successiva?».

Pershing sembra infastidito perché la società civile globale sta svolgendo un ruolo cruciale nei negoziati sui cambiamenti climatici, in particolare nel mobilitare la pressione dell'opinione pubblica per forzare i Paesi a fare di più. Anche se tra le Ong ci sono differenze su quanto devono fare i Paesi più ricchi o le economie emergenti, l'Unione europea e gli Stati Uniti a Doha sono oggetto di critiche severe perché né impegnano  più soldi, né aumentano i loro obiettivi di riduzione delle emissioni che sono notevolmente inferiori a quelli chiesti dai  Paesi in via di sviluppo.

Pershing, prima dell'incontro con le Ong, aveva dichiarato pubblicamente che gli Usa non aumenteranno i loro impegni per la lotta al cambiamento climatico entro il 2020, mentre l'Ue ha detto che porterà il taglio di emissioni al 30% solo se i Paesi emergenti e quelli in via di sviluppo si impegnano a dare un contributo ancora più grande per combattere il cambiamento climatico.

In questo clima sempre più caldo sta per arrivare a Doha un alleato di ferro degli Usa: Tim Groser, il ministro conservatore a cambiamenti climatici ministro Nuova Zelanda, che si è fatto precedere da un'intervista a TvNz nella quale ha detto che è il momento di abbandonare il Protocollo di Kyoto.

Anche la Nuova Zelanda è stata attaccata dalle Ong per la sua decisione di non firmare la proroga dei Paesi aderenti al protocollo vincolante per la riduzione delle emissioni di gas serra. I neozelandesi sono già usciti dal Protocollo di Kyoto insieme a Russia, Giappone e Canada, gli Usa non ci sono mai entrati, così i Paesi industrializzati che continuano a sostenere Kyoto sono rimasti un pugno che si unisce intorno ad Ue ed Australia e che arriva a circa il 15% delle emissioni mondiali.

Oxfam ha detto che è fondamentale che questi Paesi si impegnano a firmare per la seconda fase del Protocollo di Kyoto, perché i Paesi poveri hanno un disperato bisogno di un'azione contro il cambiamento climatico.

Groser risponde indirettamente che il governo neozelandese «Continua ad agire per ridurre le emissioni, e il sistema di scambio di emissioni rimane saldamente al suo posto», ma a livello internazionale  «E' il momento di uscire dal Protocollo di Kyoto, che copre meno del 15% delle emissioni globali». Che questo sia successo perché Paesi come Nuova Zelanda, Canada e Giappone prima non hanno rispettato gli impegni presi e dopo sono usciti dal Protocollo non sembra sfiorare Groser che ha detto a TvNz che «La Nuova Zelanda ha deciso di prendere il suo impegno nella transizione verso un nuovo patto del cambiamento climatico per il 2020 ai sensi della Convenzione, ma di continuare a lavorare con il quadro generale delle regole di Kyoto», che naturalmente verranno adattate alla neozelandese. Il ministro ha cercato di metterla sul volontarismo operoso: «Mostreremo che un impegno  trasparente, basato su regole, può essere attuato ai sensi della Convenzione. Contribuiremo portare avanti i risultati strutturali di Kyoto, pur evidenziando che il protocollo non è l'unico modo serio di impegnarsi per i Paesi sviluppati».

Secondo Goser l'obiettivo alla conferenza di Doha sarebbe quello di concludere l'attuale sistema "a doppio binario", che comprende i negoziati del Protocollo di Kyoto e le trattative parallele ai sensi dell'Unfccc, e quindi di avviare negoziati per il nuovo accordo previsto dalla "Piattaforma di Durban". Il ministro neozelandese si scorda che tutti i Paesi in via di sviluppo e l'Ue e l'Australia sono favorevoli ad un secondo periodo "ponte" del Protocollo di Kyoto, e dice che «Il nuovo accordo avrà bisogno di "massima partecipazione" per avere successo. Si tratta di far salire più Paesi possibile sul "bus della mitigazione" e  questo significa la progettazione di un accordo più flessibile, un bottom up agreement che tutti possano accettare».

Peccato che la Nuova Zelanda sia scesa in corsa dal bus che funzionava e che gli Usa non siano mai saliti alla fermata di Kyoto.

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