[26/10/2012] News

¡Tierra!, i dieci anni del caffè italiano che tutela foresta pluviale e caficultores

«Questo è il punto di partenza per fare diventare Salone del Gusto-Terra Madre il più grande appuntamento dell'enogastronomia e dell'alimentazione nel mondo». Così ha commentato Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, in occasione della cerimonia d'apertura dell'atteso evento, oggi a Torino. Domani, questo stesso ospiterà un convegno internazionale sul tema della sostenibilità, organizzato da Lavazza in collaborazione con Rainforest Alliance, la ONG con cui da 10 anni Lavazza realizza il progetto ¡Tierra!, che ad oggi ha coinvolto 6 comunità di caficultores in Honduras, Perù, Colombia, Brasile, India e Tanzania. Per approfondire l'argomento greenreport.it ha contattato Giuseppe Lavazza, Vicepresidente Lavazza, e Daniel Kats, fondatore e Presidente di Rainforest Alliance.

¡Tierra! È il primo progetto di CSR (responsabilità sociale d'impresa) interamente realizzato da Lavazza: con quali premesse è nato, e quali obiettivi è riuscito a conquistare?

GL: «Il Progetto ¡Tierra! Si basa su tre aspetti fondamentali, quello della qualità del prodotto finale, dell'attenzione verso le condizioni di vita delle popolazioni dei paesi produttori di caffè e della tutela dell'ambiente.

In questi anni il progetto ha visto la realizzazione di interventi che hanno migliorato stabilmente le condizioni di vita delle comunità coinvolte e condotto ad un risultato che soddisfa tutti i beneficiari del progetto, con lo scopo comune di portare tutte le comunità a raggiungere la piena autonomia. Le prime tre comunità coinvolte nel progetto hanno, dal 2009, raggiunto un'autonomia completa, mentre gli interventi in atto nelle tre aree di Brasile, India e Tanzania, stanno guidando le comunità proprio al raggiungimento di quest'importante obiettivo».

In quanto grandi consumatori di caffè, i nostri impatti indiretti sull'impronta ecologica di tale industria non sono trascurabili. Per quanto le compete, cosa ha pianificato Lavazza per ridurli?

GL: «Lavazza ha sempre avuto una grande attenzione al patrimonio umano, ambientale e culturale dei Paesi con cui opera. Questa attenzione si è trasformata nel corso degli anni in azioni concrete a favore dei Paesi produttori e in un sostegno forte a organizzazioni attive nel sociale.  Da oltre 10 anni abbiamo intrapreso un percorso volto ad aiutare le comunità coltivatrici del caffè all'interno dell'associazione International Coffee Partners, una società no profit che persegue e realizza attività per implementare le tecniche di agricoltura sostenibile e migliorarne le infrastrutture.

Parallelamente collaboriamo con partner autorevoli che operano a tutela dei minori, come Save the Children, per lo sviluppo di progetti a favore dell'infanzia in Africa, Centro America e India. Nel 2004 viene istituita ufficialmente la Fondazione Giuseppe e Pericle Lavazza con l'obiettivo di raccogliere sotto di sé e sviluppare tutte le attività nell'ambito della responsabilità sociale d'impresa. La Fondazione Lavazza ha come scopo la realizzazione di progetti internazionali di sostenibilità nei paesi produttori di caffè e, parallelamente, si impegna a supporto dell'infanzia e in attività a favore dei diritti dei bambini».

Con l'avanzare delle difficoltà economiche avanza anche il timore fondato che le preoccupazioni per l'ambiente finiscano in fondo alla scala di priorità di grandi multinazionali come di interi paesi. Attualmente, come giudicherebbe lo stato di tutela della foresta pluviale?

DK: «La foresta pluviale si può trovare in decine di paesi, ma e in particolare in  Indonesia, Brasile e  Zaire, ma è difficile generalizzare. Alcuni paesi hanno ottenuto  grandi risultati. Altri no. In generale possiamo dire che alcune cose buone sono state fatte, ma molte altre restano da fare. Un concetto che ripeto spesso è che ogni battaglia che vinciamo è temporanea, ogni battaglia che perdiamo è un sconfitta permanente».

Paolo De Castro, presidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, ha dichiarato che «i problemi dell'alimentazione mondiale sono acuiti da un fenomeno nuovo: l'accaparramento di terre fertili (land grabbing) da parte dei paesi in cui si registra un'esplosione dei consumi». È un pericolo che minaccia da vicino anche la foresta pluviale?

DK: «La policy di Rainforest Alliance è quella di lavorare con terreni coltivati a mano e con le comunità che li lavorano. Quindi il Land Grabbing è un punto importante della nostra attività. Siamo consapevoli di questo problema e difenderemo queste comunità,  anche se non è questo il problema principale su cui lavora Rainforest Alliance».

Quali sono le azioni più importanti da attuare per tutelarla dai principali pericoli che la minacciano? E in questo, quale ruolo si è ritagliata la Rainforest Alliance in questi 25 anni di vita?

DK: «Negli ultimi 25 anni Rainforest Alliance ha stabilito delle operazioni di cooeperazione con le comunità che vivono ai margini delle foreste pluviali e anche con i paesi del mondo che utilizzano prodotti estratti da questi luoghi. Crediamo che non è necessario distruggere la biodiversità per estrarre i prodotti che vengono da queste aree. Possiamo trovare modi sostenibili per farlo e che inoltre supportino le comunità che vivono in questi luoghi. Obiettivo di Rainforest Alliance è creare un'economia accessibile a tutti, in modo che tutti gli abitanti delle zone interessate dalla foresta pluviale possano trarne beneficio anche a livello di qualità della vita. Conosciamo bene i problemi della sovrapopolazione e della sanità e se riusciremo a risolvere anche il problema dell'ignoranza potremo ottenere luoghi più sostenibili».

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