[26/10/2012] News

Titolo V, la riforma è la punta di un iceberg e non risolve certo il problema Nimby

Azzena (Unipi): «C’è volontà di ritorno al centralismo»

Tra mille incertezze sui contenuti e sui tempi continua il viaggio del disegno di legge di riforma del Titolo V della Costituzione. Il governo Monti vorrebbe incassare un risultato positivo entro la fine della legislatura, ma le frizioni nel mondo politico non mancano, fino ad arrivare alla boutade di cattivo gusto del leghista Roberto Calderoli: «Che dire, continuano a dire di fare e poi non si fa niente. I conti son presto fatti: a fine legislatura mancano 3 mesi e 20 giorni. Si tolgano le feste di Natale, restano 3 mesi. È impossibile farne niente. Si impiccassero loro oppure la riforma del Titolo V».

Certo è che il treno del ddl per adesso continua la sua corsa: è già stato presentato in commissione Affari costituzionali, col termine per la presentazione degli emendamenti fissato per martedì 30 ottobre. Provando a districare il bando di una matassa che si fa sempre più fitta, greenreport.it ha contattato Luisa Azzena, docente di Diritto regionale e degli enti locali all'università di Pisa (Nella foto).

Già 11 anni fa ci fu una riforma del Titolo V. Dopo poco più di un decennio si pensa già a cambiarla nuovamente. Con quali presupposti si presentò la riforma del 2001?

«Nasce dando corpo ad un punto di vista sulle istituzioni al tempo fortemente condiviso, in linea col principio di sussidiarietà, e con lo scopo dichiarato di portare l'amministrazione più vicino al cittadino, con l'intento di renderla più utile ed efficace».

La sua esperienza viene però giudicata adesso come fallimentare: quali sono le maggiori criticità che presenta?

«Personalmente non sono dell'idea che quella riforma debba essere valutata come un fallimento. È sull'onda lunga dei recenti scandali che hanno investito regioni come Lazio e Lombardia che si sta facendo di tutta l'erba un fascio, decidendo di intervenire un po' con l'accetta.

Credo fosse utile piuttosto pensare a portarla a compimento fino in fondo, la riforma: alla fine, alle regioni la riforma del 2001 non ha portato grandi poteri, come invece è stato successivamente enfatizzato. Le materie di competenza esclusiva dello Stato rimanevano di primo piano, e anche sulle altre veniva lasciata a Roma larga possibilità d'intervento, o comunque di precisa delimitazione delle possibilità per le Regioni. Dovessi indicare la principale carenza della riforma del 2001 direi la non compiuta autonomia finanziaria. Non sono dati alle regioni strumenti come la potestà tributaria, attribuendo loro la sola potestà legislativa: un'arma spuntata».

Su alcuni punti però, prendendo ad esempio il macrotema dell'energia - dalle infrastrutture energetiche al parco eolico - è vero che si manifestano spesso casi Nimby (Not in my back yard) che si traducono in immobilismo. Come intervenire?

«La soluzione al problema sarebbe già almeno in parte contenuta nell'attuale forma del Titolo V: andrebbe conferito molto più vigore al principio della sussidiarietà orizzontale. Ovviamente non è possibile conferire lo stesso potere al premier quanto al sindaco di un piccolo comune: quest'ultimo non può esercitare diritto di veto su ambiti strategici dalla portata nazionale. Dovrebbe però concorrere nell'elaborazione della decisione. Ecco, un vero fallimento della riforma del Titolo V forse è proprio qui: sul piano della sussidiarietà orizzontale».

Le Regioni hanno espresso ieri in Conferenza Unificata parere negativo sul testo del disegno di legge che riforma Titolo V della Costituzione. Vasco Errani, il presidente, spiega che la decisione è stata presa perché «siamo convinti che questo provvedimento non risolve i problemi reali che abbiamo incontrato in questi anni. A parte la mancanza della Camera delle Autonomie contestiamo la parzialità dell'intervento e l'unilateralità della scelta d'azione del Governo». Cosa ne pensa?

«Il progetto del federalismo è fallito proprio perché le regioni non hanno una voce solida a livello centrale. Una Camera delle regioni sarebbe il perfezionamento necessario, come in tutti gli stati federali. È difficile però pensare che la politica sia disposta a sacrificare il Senato per creare una nuova Camera di questo tipo. Sarebbe però la soluzione più adatta: crearne una terza sembra infatti un'alternativa più peregrina. Al momento questa rimane però soltanto - appunto - un'idea. Lontana dall'orizzonte di questo governo. Dietro la riforma del Titolo V (che comunque non è detto riesca a passare) si presentano infatti molti provvedimenti che si sono cumulati nel tempo e che suggeriscono una decisa volontà di tornare al centralismo».

Torna all'archivio