[12/10/2012] News

La Norvegia raddoppia la carbon tax sull'industria petrolifera offshore, per finanziare la lotta al climate change

Un esempio virtuoso imbarazzante per i vicini scozzesi e inglesi

Il governo laburista norvegese ha annunciato l'intenzione di raddoppiare la sua carbon tax sul settore petrolifero off-shore della nazione per creare un fondo di 10 miliardi di corone (circa 1,24 miliardi di euro) per aiutare la lotta ai  cambiamenti climatici anche nei Paesi in via di sviluppo. La proposta di bilancio pubblicata questa settimana prevede un "programma clima" che farebbe aumentare la tassa sulle compagni a 410 corone (circa 56 euro) per tonnellata di CO2, oggi la carbon tax è di circa 30 euro/tonnellata. La nuova "finanziaria" norvegese prevede anche una carbon tax di 50 corone su ogni tonnellata di CO2 emessa dall'industria della pesca, l'altro pilastro dell'economia nazionale. Inoltre, la Norvegia stanzierebbe circa 54,5 milioni di euro per aiutare i Paesi in via di sviluppo a salvaguardare le foreste tropicali, che svolgono un ruolo essenziale nello stoccaggio naturale della CO2. La Norvegia sta già finanziando, con alterni successi e qualche truffa subita,  progetti per ridurre la deforestazione in Brasile, Indonesia ed Etiopia e così a sua spesa complessiva in questo settore salirebbe a 405 milioni di euro.

Secondo Environmental Finance, la Norvegia stanzierà anche 10 miliardi di corone per la mitigazione dei cambiamenti climatici, le fonti rinnovabili di energia, la sicurezza alimentare nei Paesi in via di sviluppo e per la conversione dell'economia a fonti energetiche low carbon. Nel 2013 il governo di Oslo prevede  anche di spendere circa 85,5 milioni di euro per l'acquisto di carbon credits, per compensare parte delle emissioni della Norvegia, l'approvazione di nuovi regolamenti edilizi per rendere tutte le nuove abitazioni ad emissioni zero entro il 2015 e l'aumento degli sforzi per ridurre fortemente le emissioni delle auto, con incentivi per passare ai veicoli elettrici.

La Norvegia, con un picco produttivo di 3 milioni di barili di petrolio al giorno, è il terzo Paese esportatore di petrolio del mondo ed ha 51 campi petroliferi e gasieri attivi nel Mare del Nord, dove nelle acque della sua Zona economica esclusiva ci sarebbero riserve per più di 7 miliardi di barili non ancora scoperte. La sua industria petrolifera e gasiera è la più ricca del mondo: i dipendenti guadagnano in media 180.000 dollari all'anno. Anche per questo alcune associazioni ambientaliste dicono che il raddoppio della carbon tax e le altre iniziativa puzzano un po' di greenwashing mentre questa ricchissima nazione petrolifera scandinava vuole espandere le ricerche di idrocarburi e le trivellazioni petrolifere e gasiere nel delicato e pericoloso Mare di Barents, tra la Norvegia e la Russia. Ma è indubitabile che l'entità delle misure proposte rappresentano una sfida politica significativa per gli altri Paesi produttori di petrolio, che stanno investendo in tecnologie low carbon per tagliare le proprie emissioni, ma che non investono quasi nulla nella lotta contro gli effetti del cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo, provocati dai combustibili fossili che estraggono.

Greenwashing o meno, l'esempio virtuoso del bilancio della Norvegia rischia di imbarazzare non poco il governo britannico e quello autonomo scozzese che nei prossimi 40 anni prevedono di estrarre, dallo stesso Mare del Nord dove "pescano" i norvegesi, fino a 24 miliardi di barili di petrolio e gas ad ovest delle Shetland ed anche da piccoli siti offshore ad ovest dell'Inghilterra. The Guardian fa notare che «Questo porterebbe ad un extra totale di 10 miliardi di tonnellate  di emissioni di CO2, che fa impallidire gli attuali 500 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 annue, in un momento in cui molti scienziati del clima sollecitano tagli nell'utilizzo di petrolio, gas e carbone per evitare un significativo global warming e per soddisfare gli obiettivi climatici». Dai campi petroliferi offshore scozzesi si estrae circa l'80% del petrolio e del gas del Mare del Nord del Regno Unito, con una produzione che ad agosto è arrivata a 1 milione di barili di petrolio al giorno. Ma né il governo centrale britannico né quello autonomo scozzese pensano ad una carbon tax per l'industria petrolifera e gasiera. Sempre The Guardian fa notare che «Il governo scozzese, che guarda spesso alla Norvegia come un modello per i suoi piani per l'indipendenza, ha notevolmente aumentato il suo finanziamento e il sostegno agli investimenti delle energie rinnovabili. Mercoledì ha annunciato un fondo di 103 milioni di sterline di investimenti per le energie rinnovabili marine e i "community power schemes"  ed ha un "climate justice fund" da 4 milioni di sterline per aiutare i Paesi in via di sviluppo».

Se fosse indipendente (come si prepara a chiedere con un referendum) la Scozia, con una popolazione di 5 milioni di abitanti, grazie alle sue esportazioni di petrolio e di gas, sarebbe a livello pro-capite il terzo Paese più ricco del mondo. Il 10 ottobre il primo ministro scozzese, Alex Salmond, ha ammesso che le economie petrolifere «Hanno l'obbligo morale di aumentare l'energia low carbon e di affrontare il cambiamento climatico», ma ha aggiunto di non vedere alcuna contraddizione con la massimizzazione della produzione di petrolio, gas e carbone. Intervenendo ad una conferenza sul "low-carbon investment" ha spiegato: «Mentre Paesi come la Danimarca dimostrano che non c'è contraddizione tra il fare un sostanzioso utilizzo delle riserve, nel loro caso di gas, che nei prossimi decenni saranno necessarie per il resto del mondo mentre conduce la transizione verso una low-carbon economy»

Ed Davey, ministro per il clima e l'energia della Gran Bretagna, ha detto al Guardian che il  Regno Unito non ha niente da invidiare alla Norvegia: è tra i leader mondiali nella lotta al cambiamento climatico e per l'energia verde e sta investendo 3 miliardi di sterline nella nuova (e criticatissima) green investment bank, e che punta a ridurre del 34% le emissioni di CO2 entro il 2020: «Siamo stati uno dei primi paesi al mondo a superare gli obiettivi giuridicamente vincolanti per noi stessi, con il Climate Change Act 2008 che ha avuto un supporto bi-partisan. Ed il governo dopo ha introdotto il fourth carbon budget e la  whole electricity market reform, il green deal, la green investment bank. Questi sono tutti i nostri strumenti raggiungere i nostri obiettivi, che sono incredibilmente ambiziosi e forse alcuni Paesi stanno recuperando terreno».

Ma il direttore del Wwf Scotland, Richard Dixon, non ne è molto convinto: «La Norvegia sta dimostrando come sia possibile utilizzare le entrate petrolifere per finanziare la transizione dal petrolio, dovremmo fare lo stesso con i proventi del petrolio del Regno Unito. Quelli dello Scottish national party sono sempre stati ammiratori del Norwegian oil fund ed ora è un esempio che vale davvero la pena seguire».

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