[02/10/2012] News

Figueres: «Progressi nei negoziati climatici, ma gli impegni bastano solo per il 60% degli obiettivi»

Gli Stati insulari e vulnerabili: «Ogni momento di ritardo è un passo più vicino alla nostra morte»

Intervenendo al Carbon Forum North America in corso a Washington, la segretaria esecutiva dell'United Nations framework convention on climate change (Unfccc), Christiana Figueres (nella foto) ha detto che sebbene sia i Paesi in via di sviluppo e quelli sviluppati stanno facendo «Buoni progressi nella giusta direzione» verso un accordo per il post-Kyoto, «Gli attuali sforzi globali sono insufficienti. Stiamo aumentando la portata e la copertura delle emissioni e anche aumentando la natura giuridica di tali riduzioni, perché stiamo passando dagli impegni volontari a un accordo giuridicamente vincolante - ha detto la Figueres in una conferenza stampa a margine del Forum- Tuttavia, anche nel caso che entrasse in vigore, il fatto è che tutti questi sforzi in realtà rappresentano il 60% per cento dello sforzo globale che deve essere fatto, se vogliamo mantenere l'aumento della temperatura entro un livello di 2 gradi».

Insomma, a meno di due mesi dalla Conferenza delle parti Unfccc di Doha, i Paesi del mondo non hanno fatto passi indietro rispetto a quanto concordato alla Cop di Durban, ma nemmeno passi in avanti e gli impegni presi sono ancora insufficienti.

La Figueres detto che «Nonostante alcuni report dopo Durban che alcune grandi economie emergenti, come la Cina e l'India, hanno fatto marcia indietro sull'accettazione di un accordo giuridicamente vincolante, non  vedo alcun allontanamento da dove ci eravamo lasciati a Durban. Non ci sono commenti che ho sentito dopo Durban che mi abbiano sorpresa,. Sono davvero molto grata che i Paesi stiano prendendo il testo Durban molto seriamente». Una dichiarazione da equilibrista dei defatiganti negoziati climatici che la Figueres spiega ulteriormente dicendo che «La Durban Platform, così come altri testi negoziati a livello internazionale, sono stati lasciati "creativamente ambigui" per servire come punto di partenza per la prossima tornata di negoziati. Un principio che avrà un ruolo nel nuovo accordo sarà il concetto di "responsabilità comuni ma differenziate"», cioè il cavallo di battaglia dei cinesi , che permetterà nuovamente ai Paesi in via di sviluppo, ma anche a grandi potenze emergenti come Cina, India, Brasile e Sudafrica di sfuggire ai tagli obbligatori di gas serra. «Quello che è importante - ha detto la Figueres -  è riconoscendo la chiara responsabilità dei Paesi ricchi abbiamo anche bisogno di andare avanti.

La responsabilità comune  ma differenziata rimarrà un principio, ma dobbiamo anche essere uniti in un nuovo concetto per assicurare che tutti i Paesi abbiano equo l'accesso allo sviluppo sostenibile. Gli Stati Uniti, il secondo più grande emettitore di gas serra del mondo dopo la Cina, devono aumentare il loro attuale obiettivo di riduzione delle emissioni, entro il 2020, del 17% al di sotto dei livelli del 2005, altrimenti corrono il rischio di restare dietro a Paesi in via di sviluppo che stanno facendo grandi progressi nel campo dell'energia pulita. Questa sarebbe una grande opportunità persa per gli Usa e in particolare per le industrie manifatturiere statunitensi, se non sfrutteranno le opportunità che vengono date a loro con l'esplosione in tecnologie verdi».

Chi è molto preoccupato della piega presa dai negoziati in vista di Doha sono i Piccoli stati insulari che hanno approfittato dell'Assemblea generale dell'Onu per suonare nuovamente l'allarme sugli effetti devastanti dei cambiamenti climatici sulle popolazioni più vulnerabili di tutto il mondo, sollecitando una maggiore cooperazione internazionale per realizzare un grande accordo climatico.

Il ministro degli esteri di Barbados, Maxine McClean, dalla tribuna dell'Onu ha sottolineato che  «L'inazione azioni inadeguate sono imperdonabili e moralmente indifendibile, dato il livello di certezza dei dati scientifici e gli strumenti tecnologici e finanziari a nostra disposizione per apportare i cambiamenti necessari. Non c'è nessuna minaccia più grande per la sopravvivenza, la vita e la sicurezza delle Barbados e di altri piccoli Stati insulari in via sviluppo (Sids) delle modificazioni potenzialmente catastrofiche al sistema climatico globale. Nonostante alcuni progressi siano stati  alla Durban Climate Change Conference dello scorso anno, il mondo è rimasto lontano dal trovare una soluzione al problema. "Barbados accoglie con favore la decisione presa a Durban di avviare nuovi negoziati perché entri in vigore un accordo giuridicamente vincolante che sarebbe efficace dal 2020. Tuttavia, per noi, un accordo post-2020 non ha senso se non si prendono subito  provvedimenti ambiziosi per ridurre le emissioni e per un finanziamento globale e la tecnologia per i Paesi vulnerabili in via di sviluppo».

La rappresentante di Grenada all'Onu, Dessima Williams, ha chiesto che alla Conferenza Unfccc di Doha  «Ci si muova con fermezza verso la messa a punto di un nuovo trattato climatico vincolante entro il 2015. Senza un regime giuridicamente vincolante per preservare l'integrità ambientale, i Caraibi e gli altri piccoli Stati insulari perderebbero l'opportunità di raggiungere la sostenibilità ed alcuni potrebbe presto addirittura scomparire.  Vediamo la prossima Cop 18 di Doha, in Qatar, come opportunità per muoversi con decisione oltre l'attuale scenario».

Il ministro degli esteri del Suriname, Winston G. Lackin, ha ribadito che «La comunità internazionale non può abbandonare i suoi obblighi di fornire i mezzi  necessari mezzi per combattere le gravi conseguenze di un consumo eccessivo, dell'inquinamento e delle emissioni di carbonio, che minacciano di annullare nostri successi nella tutela dell'ambiente e nella protezione del benessere dei nostri popoli».

Il ministro degli Esteri del Belize, Wilfred P. Elrington, ha ricordato che «L'impatto dei cambiamenti climatici sul nostro territorio è diretto e devastante, ci costringe a lavorare con i nostri partener del Caribbean Community and Common Market (Caricom) e con l'alleanza più ampia dei piccoli Stati insulari per far avanzare i nostri interessi nel processo negoziale sul cambiamento climatico».

Il ministro degli esteri di Trinidad e Tobago, Winston Dookeran, ha avvertito che «Ogni momento di ritardo nella piena attuazione dell'Unfccc è  un passo più vicino alla nostra morte». Dookeran a richiamato gli Stati membri dell'Onu a «Rispettare i loro impegni  come previsto dal protocollo di Kyoto. Questo potrebbe garantire la sopravvivenza dei più vulnerabili ai cambiamenti climatici, affrontando la variabilità climatica e l'innalzamento del livello del mare».

Il rappresentante all'Onu di Dominica, Vince Henderson, ha detto che «Il consumo e sistemi di produzione non sostenibili che continuano ad esaurire le risorse del mondo ed allo stesso tempo contribuiscono al global warming, rimangono una grave minaccia per la sopravvivenza di quelli di noi che vivono vicino agli oceani del mondo. La grande vulnerabilità della Dominica agli effetti del riscaldamento globale, sottolinea il nostro impegno a favore di un approccio multilaterale, rivolto a lotta al cambiamento climatico»."

Il rappresentante della Repubblica di Palau, Stuart Beck ha reso noto all'Assemblea generale dell'Onu che il suo Parlamento «Ha respinto il consiglio, contenuto nel Report on managing risks dell'International anel on climate change, che i policy-makers dei Paesi Sids potrebbero, in alcuni casi, prendere in considerazione lo spostamento delle popolazioni. Vi assicuro che Palau non ha intenzione di spostare il suo popolo. Le nostre isole sono la nostra casa. Sono la vera essenza del nostro essere. Proseguiremo legittimamente con  ogni ricorso a nostra disposizione prima di abbandonare ogni speranza». 

 

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