[25/09/2012] News

La frana delle 5 Terre, Fiorito e l'ecologia della politica

La frana che il 24 settembre ha travolto 4 turiste australiane che percorrevano il sentiero forse più famoso d'Italia, la "via dell'amore" Rio Maggiore-Manarola, nel Parco Nazionale delle Cinque Terre è sicuramente una pessima notizia per l'immagine turistica del nostro Paese e un nuovo duro colpo ad un territorio che stava faticosamente uscendo dalla tragedia dell'alluvione del 2011. Va però anche detto che in quell'area senza l'istituzione del Parco nazionale la situazione sarebbe sicuramente peggiore e pezzi di quel famosissimo sentiero e delle Cinque Terre, patrimoni mondiali dell'Unesco, sarebbero probabilmente già scivolati in mare se non ci fossero stati i progetti per tenere in equilibrio sui ripidi costoni le vigne ora raggiungibili con le monorotaie e se i sentieri non fossero stati protetti da quelle reti paramassi che pure non sono riuscite a contenere le rocce staccatesi dal versante più alto e che hanno colpito le sfortunate turiste.

I geologi dicono che almeno l''80%  del territorio delle Cinque Terre è a rischio idrogeologico, ma per Legambiente si può palare del 100% del territorio del Parco Nazionale.

Sembra che il fronte franoso sia ancora in movimento e l'Ente Parco ha provveduto immediatamente a vietare il transito sul sentiero, mentre i sindaci di Riomaggiore e Vernazza ne hanno disposto la chiusura. Inoltre il Parco «Stanti le attuali condizioni meteorologiche, attualmente non particolarmente avverse ma in peggioramento, e l'inaspettato prodursi dell'evento», ha anche chiesto ai Comuni del Parco «La verifica urgente dello stato dei sentieri, per i provvedimenti di sicurezza eventualmente necessari. 

Il sindaco di Riomaggiore, Franca Cantrigliani, traccia un quadro più ampio della situazione: «Il cambiamento climatico ci ha insegnato che la siccità fa danni almeno quanto le alluvioni. Sono mesi che non piove e dalla parte più alta della montagna si sono staccati dei massi di rocce che hanno piegato anche le reti di protezione. Nella sfortuna è andata anche bene perché di solito la passeggiata è affollata. È La prima volta che accade una cosa del genere. La strada è messa in sicurezza ma le fette di roccia sono partite molto dall'alto scavalcando le reti di protezione poste a metà della parete».

Ieri, dopo aver appreso della disgrazia sulla "via dell'amore" il ministro dell'ambiente Corrado Clini ha annunciato per l'ennesima volta un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio e ha sottolineato: «Le Cinque terre sono una zona vulnerabile. L'anno scorso abbiamo già avuto un evento drammatico proprio a Vernazza. Il governo sta preparando un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio e stiamo lavorando per muovere le risorse finanziarie necessarie per intervenire. Abbiamo vincoli di bilancio ma spero di riuscire a muovere le risorse che servono per la prevenzione del dissesto idrogeologico».

Fa male sentire che un Paese che frana e che va sott'acqua ad ogni nubifragio, che paga ogni anno un pesantissimo tributo in vittime e danni, è ingabbiato da vincoli di bilancio per fare la più necessaria delle grandi opere (e anche quella che darebbe più posti di lavoro e più duraturi) la messa in sicurezza del suo territorio, mentre si investono miliardi di euro in opere che se va bene aggravano quelle fragilità e che se va male si rivelano anche inutili cattedrali nel deserto.

Fa malissimo pensare che le forze politiche mettano questa grande opera di risanamento ambientale e civile nei loro programmi e poi se ne dimentichino fino all'alluvione o alla frana successiva, ma è davvero tragico che un ministro come Clini sia costretto a dire che non ci sono i soldi mentre l'Italia assiste attonita e schifata all'immonda frana della politica nel Lazio, in Lombardia e in altre regioni, dove signori supervotati hanno trasformato il denaro pubblico in affari privati e in un'orgia di spreco da corte di una dittatura africana.

La voracità dei nostri Bokassa, dei nostri Fiorito, si è mangiata anche le priorità, si è divorata la possibilità di risanare questo Paese cominciando dal suo territorio malato. Sono i figli dell'antipolitica berlusconiana, diventata poi politica del fare senza lacci e  lacciuoli e controlli ambientali, sono la deregulation votata a furor di popolo da elettori che hanno riempito il cesto della politica di mele marce dal quale ora distolgono schifati lo sguardo disconoscendone la paternità e pronti a buttarsi nelle braccia di un qualsiasi nuovo demagogo di turno. E' la tragedia di un Paese che si dimentica delle proprie responsabilità, dove in pochi si assumono le responsabilità, dove chi denuncia i problemi ambientali e del territorio, la distorsione di una crescita basata sull'ingordigia privata ed il disprezzo del bene pubblico è considerato di solito un "rompicoglioni" mal tollerato.

C'è bisogno di ecologia della politica che non si potrà avere senza ecologia in politica, perché questo nostro Paese non si risanerà se non lo restituiremo alla bellezza che tutto il mondo ci invidia, dalle magnifiche 5 Terre alla regione Lazio, finita in mano alla politica dell' "io voto la persona" che stava tentando l'ultimo sacco edilizio di una terra già soffocata dal cemento, in nome dell'eterno "A fra', che te serve?"   

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