[18/09/2012] News

Allarme per l’estrazione di minerali in acque profonde

Due grandi progetti nel mare di Bismark, in Papouna Nuova Guinea e nel Mar Rosso, tra Sudan ed Arabia Saudita

Il World conservation congress dell'International Union for Conservation of Nature (Iucn) ha approvato due mozioni sulle attività minerarie sottomarine proposte dai membri Iucn dell'Oceania, cioè dell'area che attualmente è al centro del dibattito su questo tema molto controverso. 

La prima mozione, presentata da Te Ipukarea Society delle Cook Islands, dall'Agence des Aires Marines Protégées e da 20 co-sponsor, riguarda la protezione degli ecosistemi e la biodiversità delle profondità oceaniche dalle minacce dell'estrazione mineraria ad alta profondità e Teina Mackenzie di Te Ipukarea Society ha spiegato che «questa mozione chiede inoltre all'Iucn di sviluppare gruppi di specialisti e conoscenze sugli effetti dell'esplorazione dei fondali marini o delle attività minerarie. Si raccomanda inoltre che le popolazioni indigene e locali, come custodi dei loro territori, abbiano la possibilità di partecipare effettivamente alle decisioni che hanno un impatto sulla biodiversità dell'oceano e sugli ecosistemi  oceanici e che possono influenzare i loro diritti e interessi».

Il Congresso Iucn terminato il 15 settembre ha anche approvato, una mozione che chiede al governo australiano di «effettuare valutazioni strategiche sull'impatto dell'espansione mineraria e dell'estrazione di  gas in aree protette, ai sensi del diritto ambientale nazionale». La mozione richiama gli impegni presi dall'Australia con la comunità internazionale per proteggere, conservare e valorizzare i siti del Patrimonio mondiale dell'Unesco nel suo territorio e ricorda che «Il diritto ambientale nazionale prevede un meccanismo importante per la protezione delle specie minacciate e migratorie, le zone umide importanti a livello internazionale e le aree Patrimonio mondiale come la Grande Barriera Corallina».

Le associazioni ambientaliste sono fortemente preoccupate anche per i rischi ambientali potenzialmente importanti posti dalla rapida e sfrenata espansione delle attività minerarie e gasiere in Australia, tra le quali le miniere di carbone e la "coal seam gas extraction". Tra le raccomandazioni rivolte al governo australiano dalla mozione presentata da Nature Conservation Council of New South Wales e da 6 co-sponsor, compresa Te Ipukarea Society, c'è anche quella di «Continuare ad attuare misure volte a migliorare la base scientifica e la trasparenza del processo decisionale per i giacimenti di gas e di carbone e degli sviluppi su larga scala dell'estrazione del carbone, anche attraverso il lavoro dell'Independent Scientific Committee on coal seam gas and large coal mining».

La richiesta globale di minerali è in aumento e l'attenzione si sta spostando verso i depositi minerali dei fondali marini. Un grosso progetto della Nautilus Minerals potrebbe prendere il via entro i prossimi 18 mesi al largo della costa di Papua Nuova Guinea, nel Mar Bismark, e i governi delle Isole del  Pacifico stanno valutando i costi ed i benefici di un loro possibile impegno nelle attività minerarie nelle acque profonde,.

Al Congresso Iucn ha parlato Samantha Smith , della Nautilus Minerals, che evidentemente non ha convinto i delegati, ma  Jan Steffen, coordinatore del Marine Programme dell'Iucn Oceania regional office, ha detto che «L'Iucn ritiene che il dialogo sia importante e che le eventuali ripercussioni sulla biodiversità, sul benessere e le condizioni di vita delle persone da parte delle industrie è considerato con attenzione, per minimizzarlo il più possibile».

La Nautilus, una multinazionale canadese, è la prima azienda ad esplorare le alte profondità del fondo marino per sfruttare a livello commerciale i Seafloor massive sulphide (Sms), una potenziale fonte di rame, oro, zinco e argento di alta qualità, utilizzando un sistema di produzione con tecnologie esistenti adattate dall'offshore petrolifero e gasiero e dal dragaggio dell'industria mineraria. Il primo progetto per l'estrazione di rame ed oro, il Solwara 1 , è in fase di sviluppo in Papua Nuova Guinea. Dovrebbe sere il primo passo per oi sfruttare altre concessioni nelle acque territoriali di Papua Nuova Guinea , Figi, Tonga, Isole Salomone, Vanuatu e Nuova Zelanda, così come in altre zone al di fuori del Pacifico occidentale.  I suoi principali azionisti sono Metalloinvest, il più grande produttore di minerale di ferro in Europa e della Comunità di Stati indipendenti, la multinazionale Anglo American, e Holding Mb, un gruppo dell'Oman con interessi nell'industria mineraria, petrolifera e gasiera.

Sta suscitando preoccupazioni anche il progetto di un'altra società canadese, la Diamond Fields International Ltd. (Dfi)vche entro un anno prevede di completare lo studio di fattibilità per estrarre metallic ad una profondità di 2.000 metri nel Mar Rosso, tra l'Arabia Saudita e il Sudan. Nel 2011 il Kiel institute for world economy ha stimato che il valore totale deli giacimenti di minerali nel Mar Rosso potrebbe arrivare fino  8,21 miliardi di dollari e che la loro estrazione si sarebbe dimostrata  fattibile. Il documento si basa su campioni di sedimenti prelevati dal bacino Atlantis II Deep del Mar Rosso negli anni ‘70, quando il governo sudanese sperava di avviare miniere nel Mar Rosso in collaborazione con la Preussag, una compagnia mineraria tedesca. Ma nei primi anni '80 i prezzi mondiali dei minerali calarono e la Preussag abbandonò i suoi piani minerari e in seguito donò i nuclei dei sedimenti di Atlantis II all'Istituto Kiel.

Il recente aumento dei prezzi dei minerali e l'elevata domanda da parte delle economie emergenti, comprese  Cina e l'India, hanno fatto rinascere l'interesse per lo sfruttamento dei metalli nelle acque profonde. Nel 2010 la Dfi e la Manafa International Trade Company dell'Arabia Saudita hanno ottenuto una concessione dalla commissione congiunta saudita-sudanese per un progetto minerario nel bacino., per un costo di centinaia di milioni di dollari e, se tutto andrà secondo i piani, l'avvio dell'estrazione di minerali è previsto l'avvio nel 2014. I sauditi e sudanesi con Atlantis II aumenterebbe la disponibilità di metalli quali rame, zinco e argento. Il Sudan, che ha perso circa due terzi delle sue riserve petrolifere con l'indipendenza del Sud Sudan, è fortemente interessato e sta già chiedendo che venga formato personale specializzato sudanese per sfruttare e trasformare le risorse sottomarine, anche per superare il gap tecnologico che lo divide dai sauditi. Ci sono però forti dubbi sulla capacità dei due Paesi di difendere l'ambiente marino .  

Studio di fattibilità di Atlantis II, che sarà completato il prossimo anno, è la prima di diverse valutazioni, tra le quali c sono lo studio di impatto ambientale e il piano di monitoraggio, che saranno avviati prima che la  joint-venture candese-saudita-sudanese possa iniziare l'estrazione, e sarebbero già stati individuati gli organismi viventi che potrebbero essere disturbati dalle attività estrattive. La concessione comprende diversi "camini" termali sul fondo del Mar rosso, ma Ian Ransome, chief executive officer della Dfi, ha assicurato: «Non vogliamo disturbare i batteri che vivono lì». Un articolo pubblicato su Plos One il 20 agosto ha però rilevato che le comunità microbiche che vivono in un'area ricca di zolfo nei sedimenti di Atlantis II probabilmente svolgono un ruolo dominante nel ciclo del metano, un potentissimo gas serra, e dello zolfo e uno degli autori dello studio, Rania Siam, dell'università americana del Cairo, conferma che «Questi microbi presenti che provocano l'ossidazione del metano ... sono molto importanti per capire il global warming». La valutazione di impatto ambientale dovrà quindi assicurare che l'estrazione di minerali non disturbi gli organismi che vivono nel sedimento, intorno ai camini idrotermali e nella colonna d'acqua soprastante. Inoltre l'utilizzo di sostanze tossiche come il mercurio nell'estrazione e lavorazione dei minerali potrebbe influenzare la biodiversità.

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