[18/09/2012] News

Sweet Home Busto Arsizio

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione/provocazione di Isidoro Malvarosa

Capire prima degli altri, intuire.
Interpretare i mutamenti sociali in atto, le correnti profonde.
Prendere la direzione opposta all'abitudine, e fare bene.
Osservare da un'altra prospettiva.
Fermarsi, riflettere, ritornare.
Quali professioni richiedono una "presenza fisica" in una metropoli?
Il mercato del lavoro lì presente, l'offerta, giustifica un costoso trasferimento?
Il mercato immobiliare, il costo di una stanza in un appartamento condiviso, si rivela sostenibile?
Il costo della vita nella Capitale d'Italia si aggira sui mille euro mensili, di cui metà viene spesa in affitto. Il più delle volte in nero. Insomma, spese a "fondo perduto".
Parliamo di una vita media, fatta di pochi svaghi, parliamo di una stanza in periferia.
Dunque, azione: fuga dalle città.
Fuga dal risparmio zero e dalla bolla immobiliare.
Millecento euro di salario, cinquecento euro per una stanza, ottocento per un mini-appartamento.
La domanda crescente sostiene i canoni di locazione, ridurli sarebbe solamente un gesto di beneficienza dei locatori.
Una buona azione, un mancato guadagno, una stupidaggine.
Delocalizzare, riappropriarsi degli spazi, sembra essere una soluzione.
Ritornare alla campagna, una provocazione.
O forse no.
Nell'era della telecomunicazione, dei trasporti low cost, delle idee in rete, vivere al centro non è più necessario. In città si è troppi, si vive male, ci si inquina vicendevolmente.
Vivere in metropoli non è conveniente né sostenibile.
Gli stimoli, gli eventi, le occasioni d'incontro non reggono il confronto con lo stress, il traffico, il costo della vita. È un bilancia che pende nettamente da una parte.
Ben vengano, dunque, Siena, Catania, Parma, Cosenza, Lecce e Varese.
Una provincia dove ritornare, da dove ripartire.
Ben vengano salari più bassi, a fronte di costi dimezzati.
La delocalizzazione potrebbe rappresentare una svolta non solo personale ma anche politico-economica. Riconquistare, "colonizzare" ampie porzioni di territorio nazionale consegnate all'incuria, sarebbe per lo Stato una sfida secolare. Zone ove gli unici avamposti sociali sono rappresentati da Parrocchia, Municipio e Scuola primaria.
Già un secolo fa, mentre l'Italia era impegnata in sanguinose guerre di colonizzazione oltremare, lungimiranti economisti e politici auspicavano una più coerente "Reconquista" locale.
Infrastrutture, vie di comunicazione ma anche mostre cinematografiche e anteprime nazionali.
Delocalizzare per decongestionare.
I bozzetti di Salvador Dalì al Museo Nazionale di Bari, le avanguardie socialiste alla Pinacoteca Nazionale di Cagliari. Il processo deve partire dal centro.
La consapevolezza, la lungimiranza, dei cittadini deve fare il resto.
Una nuova fase di sviluppo "sostenibile e condivisa" è possibile.

Torna all'archivio