[11/09/2012] News

Le nanotecnologie spiegate

Lo annunciava, alla fine del XX secolo, la prestigiosa National Science Foundation (NSF) degli Stati Uniti: «Una rivoluzione è in corso nella scienza e nella tecnologia, fondata sulla recente acquisizione della capacità di misurare, manipolare e organizzare la materia a livello della nanoscala: da 1 a 100 miliardesimi di metro».

La rivoluzione produrrà tanta ricchezza da risultare oggi inimmaginabile. Entro la fine del secolo aggiungerà 100 economie pari a quella degli Stati Uniti al Prodotto interno lordo mondiale, assicurava Thomas  Kalil, un esperto in forze alla Casa Bianca. E insieme alle biotecnologie e alle tecnologie informatiche formerà il "triangolo della conoscenza"  creando traffici per milioni di miliardi di dollari, incalzava Bill Joy, fondatore della Sun Microsystems.

E allora acceleriamola questa straordinaria rivoluzione, sosteneva nell'anno 2000 il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, perché oltre ai quattrini presto ci porterà risultati straordinari, come la vittoria totale contro ogni e ciascun tipo di cancro. Così, per dare un corpo alla speranza, Clinton raddoppiò i fondi a favore della National Nanotechnology Iniziative, dotandola di un budget (oltre 400 milioni di dollari) pari a quello che l'Italia destinava all'intero Consiglio Nazionale delle Ricerche.

No, blocchiamola del tutto questa rivoluzione, sostenne invece Eric Drexler, ricercatore in forze al Massachusetts Institute of Technology, perché essa dannerà l'uomo. E porterà alla catastrofe l'intera biosfera, incalzava Bill Joy, fondatore sì della Sun Microsystems ma divenuto subito dopo un nanotecnologo pentito. Drexler e Joy paventano un futuro popolato di nanorobot che si ribellano all'uomo e violano la biosfera. Le loro paure trovarono espressione nel romanzo Preda di Michael Crichton.

No, che non hanno ragione, sostenne Richard Smalley, premio Nobel per la chimica in un articolo sul Chemical & Engineering News. Drexler preconizza un futuro - fondato su assemblatori molecolari in grado di realizzare, atomo per atomo e con precisione assoluta le nanomacchine che assumeranno il controllo della Terra - che non ha alcun fondamento chimico, scriveva il compianto Smalley. Ci sono vari principi di impossibilità dettati dalle leggi chimiche che impediscono la realizzazione dell'assemblatore molecolare: nessuno, né noi né alcun altro possiede dita abbastanza sottili da poter manipolare con precisione assoluta la materia a livello atomico; l'energia in gioco per costruire tali macchine è enorme; il tempo per metterla a punto è esorbitante. Morale, i principi della chimica impediscono che si avveri.

Ammettiamolo. Il dibattito, in cui una decina di anni fa intervennero Michael Crichton e il principe Carlo, i nanotecnologi pentiti Drexler e Joy, il premio Nobel Smalley, aveva un che di surreale. Perché si avviluppava appassionatamente intorno a null'altro che a una promessa. Anzi, a una costellazione di promesse. Tutte straordinarie. Ma poco corroborate da fatti concreti: allora e, per certi versi, ancora.

E poiché questa costellazione di promesse annunciava meraviglie mirabolanti - dalla vittoria sul cancro alla messa a punto di tecnologie che renderanno i moderni soldati invulnerabili come Achille (il racconto omerico delle gesta dell'eroe evidentemente non ci ha guarito dall'illusione di carpire l'invulnerabilità), fino alla capacità (sia pure detenuta in comproprietà con le biotecnologie e l'informatica) di moltiplicare per dieci o per venti l'economia planetaria - e/o bibliche catastrofi, come quelle associate a nanorobot autoreplicanti che si ribellano all'uomo e assumono il dominio del creato - forse conviene dare uno sguardo più da vicino ai contenuti di questa rivoluzione annunciata e ai suoi possibili effetti.

Poiché producono preoccupazioni ambientali. Tanto che in un  editoriale pubblicato su Nanomedicine nel 2007, Roland Clif, un esperto del Centre for Environmental Strategy dalla University of Surrey, in Gran Bretagna, sostiene: «Negare che vi siano rischi per la salute umana e per l'ambiente associati alla "nanomateria" potrebbe essere autodistruttivo e potrebbe limitare lo sviluppo e le applicazioni delle nanotecnologie».

E poiché, come abbiamo visto una settimana fa, producono anche ecoterrorismo, conviene cercare di saperne di più. Perché un fatto è certo: di nanotecnologie l'opinione pubblica, negli Usa come in Europa, sa e riconosce di sapere molto poco.

Ebbene, l'indicazione data dalla NSF una decina di anni fa è fondata. Effettivamente gli scienziati stanno acquistando una sempre maggiore capacità di manipolare la materia a una scala compresa tra 1 e 100 nanometri (un nanometro è pari a un miliardesimo di metro). Si tratta di una scala davvero particolare: perché a questa dimensione la fisica, la chimica, la biologia, la scienza dei materiali e l'ingegneria convergono verso i medesimi principi e strumenti.

La nanoscala non è un altro semplice passo verso la miniaturizzazione, ma una dimensione qualitativamente nuova.  Perché qui la materia cessa di comportarsi come la vediamo fare a livello macroscopico, seguendo le leggi classiche della fisica e della chimica, ma assume un comportamento nuovo. Un comportamento «dominato dalla meccanica quantistica, dal confinamento dei materiali in piccole strutture, da una notevole frazione del volume interfacciale e da altre proprietà, fenomeni e processi unici», per dirla con i tecnici della NSF.

Questa dimensione presenta problemi scientifici inediti, perché molte delle attuali teorie della materia, a macro e microscala, raggiungono le loro lunghezze critiche proprio alle nanodimensioni. Gli strumenti teorici oggi a nostra disposizione sono inadeguati a descrivere nel dettaglio i nuovi fenomeni alla nanoscala.

La ricerca di spiegazioni significative del comportamento della materia a livello dei nanometri, ovvero al livello in cui si muovono e interagiscono gli atomi e le molecole, può definire una disciplina di studio, le nanoscienze, che può risultare qualitativamente diversa dalla semplice somma delle conoscenze che già abbiamo in fisica, in chimica e in biologia.

Se le nanoscienze produrranno davvero progressi scientifici fondamentali ne deriverà un cambiamento profondo nel modo in cui i materiali, i dispositivi e i sistemi vengono compresi e creati. Ovvero avremo nanotecnologie che saranno qualitativamente diverse dalle tecnologie miniaturizzate, anche le più minuscole, che già conosciamo.

La declinazione al futuro è d'obbligo. Perché se è vero che la nanoscienza, come vedremo in una prossima puntata, ha raggiunto risultati di notevole portata, e se è vero che al 31 agosto 2008 risultavano, secondo un'indagine del Project on Emerging Nanotecnologies, ben 800 prodotti identificabili come nano tecnologici (con un giro d'affari che, secondo il rapporto Nanontechnology Research Directions for Societal Needs in 2020 coordinato da Michale Roco e pubblicato da Springer, ha superato i 250 miliardi di dollari), le nanotecnologie sono ancora nella loro infanzia. I nanotecnici sono, infatti, capaci di produrre e controllare solo nanostrutture molto rudimentali. Certo, la previsione è che nei prossimi dieci anni, grazie alle applicazioni delle nanoscienze l'efficienza dei computer potrà aumentare di molti ordini di grandezza, la ricostruzione di organi umani mediante tessuti ingegnerizzati potrà migliorare, il design dei materiali creati assemblando direttamente atomi e molecole sarà estremamente preciso. E questo al netto dei nuovi fenomeni chimici e fisici che emergeranno alla nostra conoscenza.

Molti pensano che riusciremo a costruire sistemi di dimensioni nanometriche, con precisione nanochirurgica. Impareremo a manipolare un atomo dopo l'altro con precisione assoluta. Questa ipotesi è in parte fondata, perché da sempre la chimica ha il suo nucleo d'azione a livello dei nanometri.  Ma in parte non lo è. Non ancora, almeno. Il compianto Richard Smalley (che pure vanta alcuni tra gli articoli, sul fullerene e i nanotubi, più citati nel campo delle nanoscienze), sostiene - giustamente a detta dei chimici - che la manipolazione della materia atomo per atomo con precisione assoluta è, in linea di principio, impossibile.

Questo per dire che, nell'ambito delle nanotecnologie, siamo ancora nel campo della speculazione. Delle ipotesi. Nessuno in realtà è in grado di dire se, in che direzione e con quali reali capacità si svilupperanno.

Eppure sono in molti, già oggi, a chiedersi come la nanorivoluzione influenzerà la nostra visione del mondo, la nostra economia, la nostra società. A interrogarsi sulle implicazioni etiche connesse alle nanoscienze e alle nanotecnologie.

A porsi questi interrogativi - qui è la vera novità - non sono solo i pessimisti e gli ammalati di tecnofobia. Ma anche gli ottimisti. I tecnofili. Gli stessi protagonisti. In America, per esempio, i dirigenti della National Nanotechnology Initiative (NNI).

Con il ricco budget messo a disposizione da Clinton e ulteriormente aumentato da George W. Bush e poi da Barack Obama, la NNI si è posta cinque obiettivi principali: fare ricerca fondamentale; sviluppare nuove tecnologie, allestire centri di eccellenza (fondati sulle università); creare le infrastrutture per la ricerca. E, ultimo ma non ultimo, verificare quali effetti culturali e sociali avranno le nanoscienze e le nanotecnologie. Come sarà la nanosocietà. Come possiamo costruirla, tra le molte possibili. Perché di questo loro sono convinti, quella del futuro sarà una nanosocietà.

Insomma, la NNI investe parte non banale del suo budget per studiare le implicazioni etiche, economiche, legali e sociali delle nanoscienze e delle nanotecnologie e per dare fornire una formazione specifica "sociale" ai ricercatori e ai tecnici.

Non accusate il vostro cronista di eccessiva ingenuità. Sappiamo bene che questo tipo di investimenti da parte dell'americana NNI e di altri organizzazioni in altri paesi (dalla Gran Bretagna, alla stessa Unione Europea) hanno il fine di aumentare l'accettabilità sociale delle nanoscienze e delle nanotecnologie, dopo la lezione delle biotecnologie. Che, accreditate di una capacità d'innovazione non inferiore alle tecnologie nano, si sono imbattute, soprattutto in Europa, in un'opinione pubblica decisamente sfavorevole tra lo stupore dei ricercatori e degli industriali che non se lo aspettavano.

Tuttavia questo interrogarsi e questo riconoscere in anticipo l'importanza prioritaria della domanda sulle conseguenze sociali di una (promessa) rivoluzione tecnoscientifica ha tratti di marcata originalità.

Interrogarsi sulle conseguenze di una promessa non è usuale. E meno ancora lo è  per degli scienziati naturali riconoscere, mentre operano, l'importanza della storia. Della storia sociale della tecnologia. Che si incammina sempre lungo strade lunghe, tortuose, dense di contraddizioni, che non sempre sono arterie aperte verso sorti magnifiche e progressive.

La rivoluzione prodotta dallo sviluppo delle tecnologie del vapore, la rivoluzione industriale, ha modificato il modo di produrre. Ma ha anche cambiato il modo di vivere dell'uomo. Scatenando bibliche migrazioni dalle campagne alle città. Distribuendo ricchezza e facendo conoscere al mondo la fattispecie della disoccupazione, sconosciuta in ambiente rurale. Favorendo la nascita dell'idea di nazione e delle ideologie nazionaliste. Favorendo la nascita dell'idea di classe e delle ideologie classiste. Favorendo la nascita del liberismo e del socialismo. Del comunismo. E anche del nazifascismo.

Insomma, ogni innovazione tecnologica importante crea nuove cattedrali. Ma, soprattutto nell'immediato e se mal governate dal punto di vista politico, crea anche macerie. Resta da capire quali saranno, allora, le cattedrali che edificherà e le macerie che produrrà la nanoinnovazione. I catastrofisti, come Dexler e Joy immaginano che questa sarà la tecnologia che perderà l'uomo. Gli apologeti immaginano che lo salverà definitivamente. È molto probabile che né gli uni né gli altri siano nel giusto. Come sostiene lo storico Edward Terner, l'innovazione tecnologica, in genere, non produce catastrofi, ma problemi cronici. Molto probabilmente le conseguenze sociali ed ecologiche delle nanotecnologie saranno un'intera costellazione che informerà la società attraverso mille canali diversi.

E della montagna di quattrini che la nanorivoluzione produrrà? Al netto dell'entusiasmo di Kalil e della disperazione di Joy, è probabile che la nanoscienza produrrà frutti economici. Perché la promessa delle nanotecniche è di quelle capaci di autoavverarsi. Gli Stati Uniti e, con loro, l'intero occidente (Italia, naturalmente, quasi esclusa) hanno deciso di puntare con decisione e di investire somme colossali sul loro sviluppo. Aumentando, ipso facto, la possibilità che la profezia si avveri. Così, anche se prudenza consiglia di ridurre di uno o due ordini di grandezze le previsioni ottimistiche, è lecito porsi fin d'ora la domanda: a chi andrà il nanodividendo?

(Parte 1 - Continua)

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