[10/09/2012] News

Il "bazooka" ci ha fatto vincere una battaglia contro la speculazione, non la guerra. Per quella serve la politica

Se anche il colpo di "bazooka" sparato dalla Bce ha fermato la speculazione, come dimostrerebbe la riduzione dello spread - mentre mastichiamo amaro domandandoci perché si è aspettato così tanto ad intervenire - è bene tuttavia non illudersi. Perché forse è stata vinta una battaglia, ma la guerra contro la finanziarizzazione dell'economia è ancora in corso e l'esito è tutt'altro che scontato.

Oltre un anno fa dicevamo che quella in corso era la terza guerra mondiale, che invece di essere nucleare come in molti temevamo e Einstein profetizzò, è finanziaria. Conforta la nostra tesi quanto Cosimo Pacciani - risk manager nella City di Londra e dunque molto più esperto in materia di noi - ha scritto ieri su linkiesta.it: «La III Guerra mondiale non sarà nucleare, ma digitale e finanziaria» e «se perdiamo, collettivamente questa Guerra Finanziaria Mondiale, lasciando che regole, modelli finanziari temperate al fuoco del disastro che sono stati gli anni dal 2007 al 2012 dominino ragionevolezza e senso comune, la prossima Guerra mondiale la combatteremo con la clava. Se troveremo qualcuno che ce la possa prestare».

Di particolare interesse l'analisi di uno dei punti che per greenreport.it è parte della linea editoriale, ovvero la necessità da parte di chi governa la polis di riprendere in mano il "tempo", rubatogli dall'informatizzazione della finanziarizzazione. Scrive Pacciani: «Un tempo i capitali viaggiavano alla velocità dell'uomo, dei suoi mezzi di trasporto. I mercanti fiorentini osservavano ansiosi i loro corrieri partire, ben sapendo che delle due o tre navi di pezze o di argento, forse solo una sarebbe arrivata a destinazione, integra o senza aver dovuto esigere un costo esorbitante di dazi e tasse. Il famoso "un fiorino" di Benigni e Troisi ripetuto all'infinito. Oggi, la finanza viaggia a velocità assolutamente impossibili da concepire. Il trading è spesso automatizzato, non solo per gli operatori che immaginiamo come vampiri assetati di liquidità, ma anche per le persone normali, che possono vendere sui siti di trading on-line, appena un'azione arriva al prezzo voluto. Ed in quell'ammasso di operazioni e di trasferimenti di denaro si nasconde, oggi, il segreto del benessere di un paese, di una regione.

Chi controlla la liquidità controlla i mercati. Perché sarà sempre in grado di smuovere prezzi e distruggere/creare ricchezza. Non che prima non fosse così, ma oggi l'informatica e la sofisticazione dei sistemi e dei processi, nonchè la globalizzazione del settore della finanza, hanno creato uno sbilanciamento enorme fra l'economia fisica e quella digitale. Non uso la dicotomia reale/sintetica, perché in realtà tutto è reale. In fondo alla catena di futures sul petrolio, c'è sempre un operaio che mette barili di greggio su una nave, ci sono persone che mangiano, studiano e vivono, sui proventi di quella catena di contratti».

Che fare dunque? «Questa guerra dei flussi di capitale, che ha spostato la ricchezza del pianeta sempre più verso nuove aree, leggasi Cina, Singapore, Medio Oriente, alcune repubbliche ex sovietiche, come il Kazakistan, il Brasile, viene combattuta in maniera sempre più esplicita, anche da banche centrali ed istituzioni internazionali. Con l'arma della regolamentazione finanziaria, della vigilanza bancaria. La finanza e la sua esuberanza hanno prima creato le condizioni per una crescita drogata dell'economia dell'Occidente ed ora è diventata un problema geopolitico. Una Guerra che si misura in termini di numero giornaliero di poste elettroniche con inviti a convegni e seminari, su temi ogni volta nuovi, da decifrare, su nuove leggi e nuove disposizioni su rischi operativi, derivati, collaterale, etc. Un trionfo di sigle ed acronimi, come Cva, Isda, Reg. 67bis-x. Nel mondo che osservo da vicino, nei 15 anni che lavoro nella City, la Financial Services Authority è stata scorporata e reinglobata nella Bank of England almeno due volte, con ogni volta un cambiamento delle sue mansioni e responsabilità». Eccoci quindi al dunque: o si affronta globalmente questo fenomeno con una regolamentazione che riporti i mercati al loro "posto", ovvero al servizio del "popolo" oppure si potranno anche vincere delle battaglie, ma la guerra la perderemmo sempre.

Da questo punto di vista, pur condividendo quanto scrive Paolo Leon sull'Unità di oggi, noi ci andiamo piano sul definire che  Monti "potrebbe aver vinto la guerra", mentre siamo d'accordo sul fatto che il suo compito comunque sia finito. Serve infatti una forza di governo - che non può non essere il Pd, pur con tutti i suoi difetti e contraddizioni a meno che non si voglia un Monti bis - serve la politica insomma, che sia in grado di combattere sui due fronti: quello internazionale della finanza speculativa con regole globalmente concordate e rispettate; e quello nazionale che assomiglia molto a uno scenario post bellico, come dimostrano i numeri dell'Istat di oggi che raccontano di un Paese praticamente in ginocchio. E qui ha ragione Prodi a segnalare l'importanza dell'industria manifatturiera per il rilancio industriale del Paese, che come si è visto non può campare solo di turismo, peraltro quello insostenibile delle seconde case.

C'è insomma un Paese da ricostruire al termine o piuttosto durante un conflitto globale contro la finanza. Una sfida storica che le forze progressiste devono combattere senza sosta, soprattutto ora che lo scenario, scarnificato dalla crisi, appare chiarissimo.

 

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