[06/09/2012] News

Altro che declino: per il World Economic Forum l’Europa, se sostenibile, è in testa al mondo

La sostenibilità è il nuovo, fondamentale parametro. E premia il Vecchio continente

Il World Economic Forum, la fondazione svizzera celebre per l'organizzazione degli incontri che riuniscono a Davos ogni 12 mesi il gotha politico ed economico mondiale, ha pubblicato la sua classifica annuale sulla competitività dei Paesi del mondo, proseguendo in una tradizione che continua da più di 30 anni. Per esprimere il verdetto finale, il Wef ha incrociato valutazioni su vari parametri, tra i quali la bontà delle infrastrutture, della capacità d'innovazione, della cooperazione nelle relazioni sindacali, degli investimenti in ricerca e sviluppo, dei bilanci pubblici, della qualità della concorrenza, della collaborazione tra università e industrie, dell'efficienza istituzionale.

Ebbene, tra le prime dieci nazioni in classifica, sei sono europee. Nord europee, per la precisione: dalla Spagna alla Grecia, passando per l'Italia e il Portogallo, si va invece dalla 36esima pozione alla 96esima. Klaus Schwab, direttore esecutivo del Wef, vede proprio in queste profonde discrepanze nella competitività tra regioni, «specialmente in Europa», come l'origine «della profonda turbolenza che stiamo vivendo oggi». Ecco che esorta dunque i governi «ad agire con decisione attraverso l'adozione di misure a lungo termine per migliorare la competitività e riportare il mondo su un percorso di crescita sostenibile». Con una posizione chiara, il Wef - che non è certo un covo di socialisti sovversivi - riconosce in buona sostanza la necessità di una programmazione politica per le dinamiche economiche mondiali, ponendo particolare accento sul tema della sostenibilità.

È proprio su questo punto che il Wef spinge di più l'acceleratore. Fuori dalla cassa di risonanza dei grandi media, quest'anno la fondazione ha presentato per la prima volta il Sustainability-Adjusted Global Competitiveness Index (GCI), misurando con questo «l'insieme delle istituzioni, delle politiche e dei fattori che permettono ad una nazione di restare produttiva nel lungo termine, garantendo nel contempo la sostenibilità sociale e ambientale», i due pilastri introdotti dal nuovo indice e declinati in 20 diverse valutazioni, dalla qualità dell'ambiente naturale alla disuguaglianza nella distribuzione dei redditi nella popolazione.

Osservano la classifica dei Paesi stilata secondo i parametri del GCI - classifica «preliminare e provvisoria», essendo all'esordio -  gli Stati europei escono a maggior ragione vincitori nel confronto, occupando le prime 8 posizioni; nelle prime 20 posizioni, solo 5 sono occupate da nazioni extraeuropee. Anche l'Italia migliora la sua pur ignominiosa posizione, passando dalla 42esima della classifica "tradizionale" alla 38esima. Lo spazio per migliorare è ancora tanto, ma questo significa che - banalmente - abbiamo ancora qualcosa da fare, piuttosto che lagnarci della stagnazione dell'economia. Tramite politiche mirate, il progresso è ancora una volta a portata di mano, e da europei abbiamo la fortuna (e la responsabilità, soprattutto) di poter partire già dalla prima fila.

In una recente intervista al settimanale Der Spiegel, è il filosofo francese André Glucksmann ad affermare che «l'Europa è ancora un parco giochi delle idee»: in effetti, e lo si vede benissimo dalla profonda titubanza con la quale il continente ha finora gestito la crisi - tra rigurgiti nazionalisti e mancanza di vera solidarietà - l'Unione europea non ha ancora affatto chiaro quale sia la sua identità, e soprattutto che cosa intende fare da grande. È un vero peccato, perché al contrario di gran parte del comune sentire, l'Europa nel suo complesso mantiene ancora salda la testa dell'economia globale, ed avrebbe tutte le carte in regola per rimanere in sella ancora per molto tempo.

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