[04/09/2012] News

Angela l'anticapitalista, la sinistra e il drago

Il giorno in cui Moody's rivedeva la sua prospettiva sul debito a lungo termine dell'Unione europea, che passa da "stabile" a "negativo", avvisando che potrebbe esserci un possibile declassamento dell'Ue rispetto all'attuale "Aaa", per le prospettive negative dei Paesi forti, a partire dalla Germania e passando per Francia, Gran Bretagna e Olanda, la cancelliera tedesca Angela Merkel tuonava dal congresso della  Christlich-Soziale Union (Cdu) ad Abensberg, in Baviera, che i mercati «Non sono al servizio del popolo». Aggiungendo perentoria che «negli ultimi cinque anni hanno consentito a poca gente di arricchirsi a spese della maggioranza.  Non si può permettere ai mercati di distruggere il lavoro delle persone e i Governi non possono essere alla loro mercé a causa del debito. Abbiamo bisogno di Europa, ma di un'Europa che sia forte nel mondo». E poi ha aggiunto che Paesi come la Grecia «Meritano la nostra solidarietà».

E' proprio il caso di dire che la fame "elettorale" fa uscire il lupo dal bosco e che il lupo anche in Germania si ammanta del candido vello del populismo. Il lupo indossa la pelle della pecora-cittadino oppressa da quei poteri forti che l'eterna cancelliera, che con quei poteri ci va a pranzo e a cena, ha contribuito a rendere così forti con una politica che ha adottato l'ideologia neo-liberista come unico orizzonte e a shock economy come terapia dell'Europa malata e del sud Europa vagabondo e spendaccione.

Secondo diversi commentatori italiani la Merkel è stata molto coraggiosa ad andare a dire queste cose nella tana dell'orso bavarese, nel congresso della destra democristiana della Csu. Niente di più sbagliato: quella platea etnica, dalla quale sono nate molte delle suggestioni populiste della destra europea, maneggia tutti i giorni un populismo da fortino assediato, teorizza l'interclassismo democristiano nella patria bavarese ed uno spietato darwinismo sociale appena fuori i confini. L'attacco della Merkel ai mercati è musica per le orecchie della destra bavarese, purché si parli dei mercati e delle multinazionali altrui, esattamente come fa il Partito repubblicano statunitense che teorizza un liberissimo mercato in patria e la necessità di proteggere l'America tenendo sotto controllo l'economia e le risorse mondiali e impedendo a cinesi e russi di allargarsi troppo.

E' vero che la Merkel ha aggiunto che la Germania «Deve dare l'esempio per rafforzare la competitività e preservare lo Stato sociale, senza accumulare debito» e che «La vera questione in Germania e in Europa è: si possono vincere le elezioni pronunciandosi a favore di solide finanze pubbliche ed evitando di spendere più di quanto abbiamo?», ma poi ha aggiunto: «Dobbiamo mettere fine all'unione del debito ed è per questo che insistiamo perché gli Stati facciano le riforme, anche se a volte siamo severi. Il resto del mondo, non dorme e non possiamo indebitarci al punto da finire alla mercé dei mercati».

Un colpo al cerchio ed uno alla botte, senza autocritica, rispolverando frasi che forse la giovane Merkel diceva senza crederci troppo quando militava nella gioventù comunista della Germania Orientale, dicendo cose (verissime) sui mercati che a François Hollande sono costate critiche e minacce degli stessi mercati e che la stessa Merkel in campagna elettorale accusava di essere un pericoloso marxista, mentre  appoggiava entusiasticamente e in nome del libero mercato il suo amico Nicolas Sarkozy.

La verità e che il governi di centro-destra europei (e buona parte della sinistra moderata) stanno scoprendo con terrore di essersi rinchiusi nella gabbia con il drago che hanno amorevolmente liberato dalle consunte catene del welfare socialdemocratico, quello stesso spirito animale del capitalismo che ora rischia di divorare (e probabilmente lo ha già fatto) ogni potere e competenza della politica e dei governi, ridotti ad esecutori impauriti e quotidianamente ricattati dai mercati, che hanno osannato per decenni come unica medicina del mondo.

Ascoltando la Merkel viene in mente quel che succede in un Paese molto più povero e sfortunato dell'attuale Germania, la Georgia, dove un oligarca populista e miliardario, Bidzina Ivanishvili, potrebbe vincere le elezioni contro il presidente iperliberista Mikheil Saakashvili che, nonostante i suo metodi non proprio democratici, gode dell'incondizionato appoggio di americani ed europei.

Sul giornale moscovita Ogoniok la giornalista russa Olga Allenova, chiede ad un entusiasta elettore di Ivanishvil se quello del miliardario è il "sogno georgiano". «No - risponde l'uomo - il sogno georgiano è quello di vivere in maniera dignitosa. Di sentirsi sicuri e di non temere per il futuro dei propri figli». La Allenova  spiega che «Si tratta della visione dominante (...) nella Georgia intera. Bidzina Ivanishvili lo sa e non esita a lanciare a più riprese slogan di chiaro stampo socialista».

Se anche sulla bocca di un oligarca georgiano e di un'ex attivista della Sed diventata cancelliera del  governo di centro-destra del più potente Paese europeo parole "socialiste" non sono più una bestemmia, è il segnale forte che il sogno del povero georgiano è ridiventato quello della gente comune del mondo. Anche di chi, passata la sbornia liberista che voleva farci credere che dalla macelleria sociale della shock economy saremmo usciti tutti più ricchi, ora, con i negozi e le piccole imprese che chiudono a decine di migliaia, si accorge di essere più povero ed insicuro e che i suoi figli sono prigionieri di un destino senza certezze e tutele sociali per il quale ha entusiasticamente votato. Rischia di accorgersi della trappola in cui si è cacciato.

La Merkel, Ivanishvili, Mitt Romney e la destra italiana utilizzano questa paura per  trasformarla in populismo, per continuare sulla stessa strada dell'ineguaglianza insostenibile, mitigata da un conservatorismo compassionevole che sconfina nel darwinismo sociale, dando la colpa a poteri invisibili. Forse la sinistra (almeno dove esiste) dovrebbe trasformare nuovamente in speranza il sogno di vivere in maniera dignitosa e di dare un futuro ai propri figli. Non erano queste le fondamenta sulle quali sorsero i movimenti operai e di liberazione? Non è questo l'unico modo per impedire al populismo di vincere ancora, cambiando pelle come un serpente mentre chi dovrebbe pretendere giustizia ed equità sta a guardare spaesato ed atterrito la nuova mutazione del drago?

Torna all'archivio