[16/08/2012] News

Il “caso Ilva” e il “caso Germania”

Ci sono due fatti che, in queste ore, dominano le cronache dei media italiani. In apparenza affatto diversi tra loro. Uno è il "caso Ilva di Taranto", con il possibile conflitto di attribuzioni tra governo e magistratura. L'altro è il "caso Germania": l'economia tedesca nell'ultimo trimestre ha fatto registrare una crescita superiore alle attese e superiore a quella di ogni altro paese dell'area euro, che nel suo complesso è in recessione.

A ben vedere, sullo sfondo del «caso Ilva» e del «caso Germania» c'è un medesimo tema: il rapporto tra industria e ambiente.

Nel caso di Taranto, il nesso è evidente. Anche se la soluzione non è chiara. Nella città pugliese c'è una grande industria - la più grande d'Europa nel suo settore - che ha prodotto e produce inquinamento a ridosso di una città, con effetti sanitari tragici documentati. Due opposte letture del caso convergono nella soluzione finale. Il nodo del rapporto tra industria e ambiente è gordiano. Non può essere sciolto. Va solo tagliato. Chi fa prevalere le ragioni dell'ambiente e della salute chiede la chiusura della fabbrica, anche in un'area - il Mezzogiorno d'Italia - che è sempre più un deserto industriale. Chi fa prevalere le ragioni del lavoro, chiede una deroga (una nuova deroga) alle leggi ambientali.

Chi propone questa lettura estremistica, in un senso o nell'altro, non si accorge che invece Taranto, il Mezzogiorno e il paese hanno bisogno di entrambi, l'ambiente sano e l'industria produttiva. E che rinunciando o all'uno o all'altro si finisce per rinunciare a entrambi. Né la chiusura dell'industria per salvare l'ambiente, né nuove deroghe ambientali per salvare il lavoro sono strade praticabili. Di strade da percorrere, magari stretta, ce n'è una sola: salvare l'industria e l'ambiente.

Il nodo non è affatto gordiano. Può essere sciolto, anche nel caso della grande industria metalmeccanica. Non è una petizione di principio. Altrove, in Europa e ormai anche fuori d'Europa, è stato già fatto. Si produce acciaio, ma non inquinamento. Certo, occorrono investimenti. Che non sono spese, ma appunto investimenti.

Proprio il caso della Germania lo dimostra. L'economia tedesca non è in crescita per la (discutibile) politica finanziaria del governo. Ma per la sua industria manifatturiera. L'unica, in Europa, che supera l'industria italiana. La crescita fatta registrare nell'ultimo trimestre si aggiunge a quella del trimestre precedente ed è trainata da un aumento delle esportazioni oltre che dei consumi interni. La Germania esporta e i suoi cittadini acquistano beni materiali di produzione industriale. La Germania cresce grazie alla sua industria.

Già, ma perché in Germania la produzione industriale cresce se sia gli stipendi dei lavoratori (il doppio, in media, di quelli italiani) sia gli standard ambientali (un caso Ilva in Germania da molti lustri non è più possibile) sono più alti? Quali sono gli elementi di forza che determinano la competitività tedesca?

Beh, una delle chiavi di lettura sta proprio nel rapporto tra industria e ambiente. Noi chiediamo che, in un modo o nell'altro, l'asticella di questo rapporto sia posta in basso. Sacrificando l'una o l'altro o entrambi. In Germania hanno posto l'asticella di questo rapporto in alto, imponendo è l'industria e l'ambiente.

E sviluppando questo rapporto sia in termini difensivi: non si può fare industria sacrificando ambiente e salute; non si può salvaguardare ambiente e salute sacrificando l'industria. Sia, soprattutto, sviluppando il rapporto in termini di attacco: producendo beni di qualità ad alto valore di conoscenza aggiunto, più competitivi sui mercati internazionali, che incorporano un tasso sempre più elevato di valori ambientali. E non solo nei settori ormai tradizionali dell'economia verde, ma a larghissimo spettro. La Germania, forse più di ogni altro paese al mondo, ha scelto di puntare su una produzione industriale di alta qualità tecnologica che tende a incorpora in sé l'alta qualità ambientale.

Quella tedesca è stata una scelta strategica lucida e vincente. E ora la Germania ne raccoglie i frutti. Non dobbiamo invidiarla. Dobbiamo imitarla. Perché è l'unica possibile, per un paese a economia matura, qual è l'economia dei paesi che una volta venivano chiamati occidentali.

Il guaio è che in Italia pochi ne sono consapevoli. E quei pochi stentano a farsi ascoltare. Così i media continuano a riproporre stancamente il conflitto tra industria e ambiente, mentre il paese affonda.

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