[13/08/2012] News

L’oblio colpevole: la crisi e le responsabilità dimenticate della finanza

«L'oblio e direi perfino l'errore storico sono un fattore essenziale della formazione di una nazione», scriveva Ernest Renan. Il linguista Raffaele Simone riprende su La Repubblica il pensiero del filosofo francese, riflettendo sulla «gestione della memoria collettiva». La  "storia ufficiale", scrive Simone, è «una sequela di dimenticanze, casuali o più spesso volute, che si fanno più estese quando il potere ci mette la zampa. È per questo che di dimenticanze ogni paese ha le sue», e sempre per questo «non c'è in pratica segmento della storia in cui non si celino dimenticanze e occultamenti non dovuti a mancanza di documenti ma all'azione dei gestori della memoria collettiva».

Riscrivere il passato, anche solo tacendone fette importanti, è usanza da sempre molto in voga, in un allenamento intenso che produce sovente i suoi buoni effetti nel modellare le forme e le reazioni del corpo sociale. Per fare un esempio, è ormai un dato di fatto che il vero nemico da abbattere, per quanto riguarda lo spread, è da inquadrare nei dissestati conti pubblici, che come voraci spugne suggono la linfa dei propri cittadini. Anche al netto dell'innegabile mal gestione che si annida nel settore pubblico come in quello privato, quello che viene venduto come il pensiero mainstream si marcia sul dettame di "affamare la bestia" (cioè lo Stato), come direbbero i più duri e puri dei repubblicani Usa. Raramente si fa però notare come sia stata proprio questa "bestia" a salvare le penne al libero mercato, colpito una prima volta dalla crisi finanziaria 2007-2008: vale dunque la pena ricordare nuovamente che l'attuale crisi dei debiti sovrani non è causata da presunte, scellerate politiche keynesiane, ma dall'andamento incontrollato dei mercati finanziari. Che ringraziano facendo schioccare indisturbati la frusta dello spread.

Oltre i proclami e i manifesti d'intenti, ben poche azioni concrete sono state portate avanti su questo fronte. E la situazione è di nuovo sfuggita di mano. Come mai? «L'interrogativo è legittimo - afferma Federico Rampini ancora su La Repubblica - a quattro anni dalla "madre di tutte le crisi finanziarie": era ragionevole pensare che il disastro del 2008 provocato dalla finanza tossica avrebbe vaccinato il sistema bancario dai comportamenti più distruttivi. Non è andata affatto così».

«Un responsabile della vigilanza bancaria Usa di recente ha confessato al New York Times: "I banchieri oggi mi sembrano perfino più prepotenti di quanto fossero prima della crisi". L'impunità individuale - continua Rampini -alimenta l'arroganza. Lord Turner arriva a conclusioni analoghe: "La dimensione dell'attività finanziaria è aumentata, il suo peso sull'economia è sempre più largo, di conseguenza i potenziali benefici dalle frodi sono ancora maggiori"».

Qual è dunque la vera bestia da affamare? Sembra piuttosto che la bestia della quale s'è perso il controllo sia proprio quella della speculazione, quella della finanza che guarda al profitto immediato e mangia l'economia reale. Se si fanno due conti, come sono stati fatti per uno studio di Privatisation Barometer ripreso dal Financial Times e dal Corriere della Sera, si vede ad esempio che «i salvataggi delle banche hanno mandato in fumo 30 anni di ricavi dalle privatizzazioni: i governi hanno investito 1.700 miliardi di dollari per salvare colossi finanziari quali Aig negli ultimi 4 anni a fronte dei 1.800 miliardi incassati a partire dal 1981 dalla privatizzazione di asset, come tlc e aeroporti». Il cerchio si chiude, senza lasciare spazio a qualsivoglia forma di sostenibilità sociale, ecologica e men che meno economica. 

È nostro dovere non cedere alla tentazione di chiudere gli occhi di fronte a questa forma cancerogena di conflitto d'interessi, la stessa che denuncia Guido Rossi (dalla prima pagina del Sole24Ore) scrivendo come questa sia «l'indubbio frutto del pensiero unico del neoliberismo che ispira operatori, organismi di vigilanza e governi e li induce ad accettare le peggiori disuguaglianze e a creare politiche e interventi paradossalmente contraddittori, come la politica di austerità dalla quale si vorrebbe far dipendere la crescita, mentre ha l'unico effetto di aumentare la depressione e di rendere impossibile la crescita e quindi le future possibilità di pagamento del debito».

Mentre è ogni giorno in ballo il nostro futuro come uomini e come cittadini, atomi in balia dei mercati, lasciar scivolare via questa consapevolezza sarebbe un grave delitto e la nostra condanna. Una condanna non solo per l'ambita società sostenibile che viene da più parti invocata, ma anche per quel residuo di democrazia che ancora rimane in nostra mano. «Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato», denunciava già Orwell in 1984, e noi dobbiamo avere il coraggio di ammettere che oggi il presente è nelle mani sbagliate: è il primo passo per riprendercelo. 

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