[09/08/2012] News
Tanto quanto in Atene si può identificare la culla della democrazia, i riflessi di Roma la rendono protagonista per "l'invenzione" del diritto - lo Ius - così come ancora oggi siamo abituati a conoscerlo. La formalizzazione delle regole sociali ideata nell'antica Roma ha forgiato nei millenni una fetta consistente dell'anima europea (che ha volentieri esportato nel resto del globo, non di rado tramite violenti soprusi), e continua ancora a farlo. È una coincidenza carica di significato quella che vede proprio in Roma ed Atene tra i bersagli primari della crisi economica, che mina alle basi la nostra concezione di diritto e democrazia.
In onore ai nostri retaggi antico-romani, in Italia conosciamo così bene il diritto che nel resto del mondo siamo oggi noti - in parte per solo mito, in parte, purtroppo, per merito - come uno dei popoli più abili nell'infrangerne le regole: la dimensione elefantiaca della nostra economia sommersa (pari al 31,1% del Pil, secondo la più recente stima di Bankitalia) è tra noi a ricordarcelo. Nonostante questo, in termini di evoluzione giuridica, nella mutazione da sandalo romano a Stivale italico abbiamo molto camminato e consumato parecchie metaforiche suole da riconoscere alcuni degli errori più marchiani che sembrano sfuggire ad alcuni dei nostri nordici e virtuosi vicini nel fazzoletto di terra che è l'Unione Europea.
In merito all'ostinazione rigorista con cui avanzano i ribattezzati "falchi" della Germania (e relativa sfera di influenza), Barbara Spinelli già scrisse su La Repubblica che «cruciale è il culto del dogma, impacchettato con carta europeista in modo da imbarazzare i francesi. È quel che Walter Benjamin, in un frammento del 1921, chiama religione del capitalismo: quest'ultimo diventa "puro culto", che non redime ma colpevolizza soltanto. Non a caso, dice Benjamin, schuld ha in tedesco due significati: debito e colpa». Ancora una volta, l'articolazione linguistica è specchio naturale di quella culturale.
Sebbene la (vera e propria) schiavitù per debiti sia tristemente una pratica ancora ampiamente diffusa nel mondo, tramite le Leggi delle XII tavole - una delle prime declinazioni in forma scritta del diritto romano - nella Roma antica venne introdotto il nexum, quella forma di garanzia tra debitore e creditore rappresentata dalla vita del debitore stesso. Se il debito non fosse stato ripagato, il creditore aveva diritto ad incatenarlo e tramutarlo in schiavo. Particolare importante, circa tre secoli prima di Cristo a questa brutale pratica i romani avevano pressoché tolto fondamento giuridico. Questo non impedì certo il perpetuarsi della schiavitù nei secoli, ma per l'epoca fu già un importante passo avanti.
In un certo senso, dopo più di due millenni, nella civilissima Europa siamo ancora invischiati nello stesso problema. La cieca austerità e i dogmi della teologia neoliberista hanno sostituito le catene, mentre l'abito dell'avido creditore è passato di mano agli eterei mercati finanziari ed alla loro dittatura. «La verità è che la responsabilità del debito - scrivono Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini in una spalla de La Repubblica - deve essere ripartita in modo equivalente tra debitori e creditori poiché il debito non è stato imposto ai creditori; anzi, questi ultimi hanno spesso alimentato l'indebitamento per lucrare sui prestiti. Lo stesso John Maynard Keynes a Bretton Woods aveva proposto che ci fossero pari responsabilità tra debitori e creditori per contrastare gli squilibri finanziari con un impegno comune e con delle soluzioni solidali».
Ecco che «la riduzione degli squilibri non può essere affrontata oltre senza che ci sia un piano per lo sviluppo», un drastico ripensamento verso un modello economico che sta andando oltre ogni limite sostenibile, e proprio verso la sostenibilità deve essere reindirizzato. Una direzione che può essere impressa solo da una volontà democratica che riconquisti quegli spazi (ormai globali, fatti di persone con diritti da salvaguardare e flussi di materia ed energia da ridurre e dirigere) e tempi (che, dati gli attori, non possono che essere umanamente lenti) che ha perso nella sua corsa ad occhi chiusi verso la globalizzazione dei capitali, lasciando al palo quella dei diritti.