[20/07/2012] News

L'ambiente e la crisi in mancanza di programmazione

Che le questioni ambientali incombano non meno di quelle economico-finanziarie sull'Europa e il Pianeta, è ormai innegabile. Ed entrambe sembrano destinate -come già si va profilando - a incidere profondamente nelle scelte politiche e istituzionali.
E tuttavia, stando anche alle recenti conclusioni di Rio non si profila certo un percorso agevole e ancor meno chiaro. Fuori discussione è il venire meno dei "negazionisti" sul riscaldamento globale del pianeta e i suoi drammatici effetti.

E che l'attenzione si stia spostando sulla green economy specialmente in riferimento alle energie rinnovabili ne è a suo modo una conferma che tuttavia rischia -come è stato detto proprio a commento di Rio e del ruolo di alcune grandi potenze economiche - di fare imboccare una strada che reintrodurrebbe nelle nuove condizioni una subalternità delle politiche ambientali a quelle economico-finanziarie.

Deve dire pur qualcosa che alcuni contributi di esperti - anche dei più recenti e tra di loro molto diversi per carattere e provenienza da Jeffrey D. Sachs (Il prezzo della Civiltà) al più agile "La crisi dell'Europa" di Ulrich Beck o quello che ci riguarda ancor più direttamente di Carlo Trigilia "Non c'è Nord senza Sud" - facciano le bucce alla storia degli USA o alle vicende della Unione Europea o ricostruiscano quelle dello stivale, evidenziando senza eccezione alcuna che quella che è venuta meno è una capacità e volontà di pianificazione.

Naturalmente un conto è parlare delle scelte degli Stati Uniti di Reagan o di quelle di Maastricht o delle nostre politiche di coesione tra nord e sud, ma quel che ritorna è un termine che di fatto e non soltanto da noi è stato da tempo praticamente cancellato e ignorato per lasciare il posto alla sregolatezza in cui i beni comuni sono anch'essi al servizio del privato, che si tratti dell'acqua, del suolo, delle risorse naturali, del paesaggio.

E anche quando a fine anni ‘90 guardando allo sviluppo del Mezzogiorno ‘la nuova programmazione si pone l'obiettivo di stimolare la mobilitazione e la responsabilizzazione delle forze locali intorno a progetti di sviluppo integrati dei territori' (Barca e Ciampi 1998), essa trae spunto dalle politiche regionali europee, ma anche da una riflessione all'interno di questo contesto di sistemi locali di piccole imprese.....L'idea di fondo è quella di promuovere la crescita del capitale sociale relazionale -cioè forme di cooperazione efficace tra soggetti pubblici e privati- come strumento di sviluppo locale. La cooperazione dovrebbe, infatti, favorire la realizzazione di beni e servizi collettivi atti a sostenere la crescita di determinati settori produttivi a livello locale, che vengono anche incentivati con contributi alle azioni'.

Come annota conclusivamente Trigilia "anche il tentativo della nuova programmazione ha dovuto sempre convivere con la preferenza di settori consistenti di tutto lo spettro politico -oltre che il mondo imprenditoriale e della cultura economica -per politiche di incentivazione e di sostegno individuale alle singole aziende piuttosto che di promozione di beni collettivi per qualificare i territori, malgrado la sua impostazione teorica si qualificasse proprio per la centralità dei beni e servizi collettivi. Inoltre, contrariamente a quanto in genere sostenuto da molti critici dei patti territoriali, gli interventi ad essi riconducibili non sono stati prevalenti in termini di risorse allocate per lo sviluppo economico".

Questa lunga citazione smentisce peraltro la tesi in base alla quale si sono giustificati interventi ‘assistenziali' e non di progetto ‘integrato' in quanto la penalizzazione di quei beni e servizi collettivi non avrebbe fatto bene alla qualità della vita delle comunità ma alla economia si. Invece basta guardare alla nostra capacità di avvalersi delle politiche comunitarie e delle risorse disponibili per avere la conferma inequivocabile che le cose non sono andate e non stanno così.

Tema assillante in particolare oggi perché in Europa -come mette in guardia Beck- ‘c'è il pericolo concreto di un nuovo nazionalismo non aggressivo ma regressivo' derivante dai processi di rinazionalizzazione rimessi in moto proprio dalla crisi in atto. Così quel processo comunitario ma anche nazionale (vedi nuovo titolo V della Costituzione) che sembrava intravvedere nel federalismo o quanto meno in un più accentuato regionalismo la risposta a quelle esigenze di ‘integrazione' con conseguente maggiore partecipazione dei cittadini non conseguibili con una ripresa delle politiche meramente intergovernative nulla è andato in quella direzione ‘anzi, come dice Stefano Rodotà, si va verso accentramenti e smantellamenti di equilibri e garanzie . E questa è una linea autolesionista al limite del suicidio'.

Tanto che come risulta ormai da dati incontestabili mai come in questa stagione politico- istituzionale che aveva preso le mosse appunto dal più polentato e cafone dei federalismi si è assistito ad un ritorno centralistico così massiccio e mortificante per regioni e enti locali come è oggi sotto gli occhi di tutti.

Ma ci sono per fortuna anche delle novità dopo troppi silenzi e complicità anche da parte di chi avrebbe dovuto e potuto contrastare il fallimento di politiche di programmazione di cui stiamo pagando un prezzo altissimo in campo ambientale ma anche economico-sociale (vedi le vere rotture della legalità costituzionale a cominciare dall'accantonamento delle implicazioni dei risultati dei referendum).

Lo stato confusionale -perché di questo si tratta in soldoni- dell'assetto istituzionale in cui tutto è sulle ruote dai compiti delle regioni, il ruolo delle province e quello dei comuni e non di meno delle autorità di bacino e dei parchi e delle aree protette.
Ed è sulle ruote nonostante -anzi anche a causa del nuovo accentramento statale - il venir meno di quel ruolo nazionale senza il quale non si fa politica nazionale di coesione ‘integrata' e ancor meno ci si "federalizza" con l'Europa.

E torniamo così a quel rischio di sbandamento che l'economia verde di per sé non è in grado di garantire se l'ambiente nel suo complesso non torna finalmente ad essere al centro di quelle politiche di programmazione cadute in disuso. Aldo Bonomi su Il Sole 24 Ore ha scritto "Occorre ancora fare molto per costruire quelle filiere produttive capaci di produrre ricerca, innovazione e, fatto non certo irrilevante, civilizzazione ambientale e sostenibilità sociale. Non dimenticando che un bene comune per il nostro Paese è anche il paesaggio, bene positivo per l'economia delle esperienze e del turismo e dell'agricoltura. Anche pale eoliche come boschi d'acciaio, e pannelli solari al posto degli ulivi per vantaggi a breve possono essere nel lungo periodo scorciatoie poco ambientali'.

Ecco, io questo rischio lo vedo tanto più quando si cerca di reintrodurre posizioni volte di fatto a separare nuovamente economia e ambiente a partire proprio dagli assetti istituzionali come se i beni comuni possano o essere ‘dismessi' o comunque non ‘governati'. Può così accadere che una legge recente toscana sul piano energetico stabilisca che i piani dei parchi devono ‘conformarsi' a quello dell'energia e non esattamente il contrario.

Renzo Moschini, coordinatore gruppo di San Rossore

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