[11/07/2012] News

Se la crisi globale colpisce le fonti fossili non date la colpa alla green economy

La marcia nera dei minatori spagnoli è arrivata nella capitale

Dalla Spagna alla Norvegia vanno in scena gli effetti di un'evoluzione lasciata in balia del caso. Come riporta El Pais, «Il taglio del 63% delle sovvenzioni per il carbone quest'anno suggerisce che i lavoratori possono essere davanti al punto di chiusura delle miniere delle Asturie, León, Palencia, Aragona e Castiglia-La Mancia». In circa 300, a piedi, hanno percorso 400 km in 18 giorni per scendere dal nord del Paese a protestare oggi davanti al ministero dell'Industria: la marcha negra è arrivata a Madrid.

Dopo 43 giorni di sciopero, i minatori sono stati accolti nella capitale spagnola, che già aveva ricevuto a Puerta del Sol il grande movimento degli indignados. Il sostegno della popolazione è stato anche stavolta caloroso. I cittadini spagnoli hanno ben presente che cosa significhi la parola crisi, ed hanno appoggiato in massa la protesta, scendendo in piazza: "minatore in marcia, sentiti come a casa", come pure "preferisco salvare un minatore che un banchiere" sono i messaggi che stanno passando. Come spiega ancora El Pais, «Fuori dalle miniere, il carbone non piace: è inquinante e costoso». Ma il dibattito va oltre la sua idoneità ambientale ed economica come combustibile. Il taglio agli aiuti al settore «arriva all'improvviso, nessuno si è preso la briga di sviluppare un piano per ristrutturare il settore o la posizione dei lavoratori. Tutta l'area mineraria è sul bordo di un abisso».

Drammaticamente, si sottolinea qui la mancanza di programmazione che dovrebbe essere propria della politica. Si taglia il settore minerario, che è ancora oggi la principale fonte di ossigeno occupazionale per vaste aree del nord della Spagna, non perché mossi da particolare spirito ecologista, ma perché è necessario trovare con urgenza le risorse finanziare che domandano gli oracoli dei mercati.

All'estremo opposto dell'Europa, anche il mercato petrolifero della Norvegia (primo produttore di oro nero in Europa, e uno dei maggiori al mondo) ha rischiato un blocco pressoché totale della produzione. I lavoratori delle piattaforme petrolifere chiedono un arretramento dell'età pensionabile da 67 a 62 anni, e solo un intervento in extremis del governo norvegese è riuscito a mettere una toppa alla falla che si stava pericolosamente allargando, dopo uno sciopero iniziato il 24 giugno.

I segnali di interconnessione tra le crisi che stiamo vivendo - ecologica, sociale, economica - sono sempre più evidenti, e gridano l'impossibilità di affrontare una crisi globale, una crisi di civiltà, con piccoli ed impauriti passi politici nell'unica direzione di edificare un muro contro il caos della speculazione finanziaria.

In Italia, Il Giornale identifica piuttosto il grave problema sociale della disoccupazione per i lavoratori del settore carbonifero spagnolo, legandolo agli incentivi concessi alle energie rinnovabili: dà voce ad un sentimento popolare che si immagina diffuso. La conclusione più semplice e scontata, però, quella che punta ad un nemico troppo facile verso cui scagliare la propria rabbia, spesso è anche fallace. Come in questo caso.

Gli incentivi, riporta il quotidiano diretto da Sallusti, dal 2000 al 2010 hanno «creato 50mila posti di lavoro, ma solo 5mila permanenti». Al contempo, l'industria del carbone impiegava negli anni '80 «50mila lavoratori, e ora solo poco più di 5mila». Ciò non toglie che l'utilizzo del carbone rimanga altamente inquinante, acceleri il riscaldamento globale, sfrutti una fonte fossile non rinnovabile: è necessario pianificare il suo abbandono, tutelando e formando per nuovi impieghi chi del lavoro col carbone ci vive. Incentivare filiere industriali green è frutto di scelte politiche. Gli stessi minatori sembrano rendersi conto della situazione.

«Tutti ripetono la rivendicazione, il senso della marcia: esigere che il ministro dell'Industria, José Manuel Soria, rispetti l'accordo strategico rinnovato nel corso degli anni tra governo e sindacati. Un patto che prevede - spiega l'Ansa - oltre al lancio di un "nuovo modello di sviluppo" per le zone minerarie, aiuti per tutto il 2012 prima di un progressiva chiusura delle miniere entro il 2018. I nuovi tagli imposti dalla crisi significano invece la chiusura immediata di tutte le strutture, sostengono i sindacati e i grandi industriali del settore».

Il cambiamento è in atto. Se sarà un arretramento o un'evoluzione dipenderà dalla capacità col quale siamo in grado di governarlo: «Se questo non è regolato, guerra, guerra guerra», gridano i minatori spagnoli. Secondo l'Ocse, l'Europa può ricavare da una transizione ad un'economia più sostenibile almeno 8 milioni di nuovi posti lavoro: per uscire dalla crisi dell'occupazione sembra proprio l'unica via da poter percorrere.

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