[03/07/2012] News

De Rita: «Nel mondo dell'ecologia manca una cultura di governo»

E sulla crisi della sovranità il presidente Censis è lapidario «Nemmeno l’Onu è all’altezza della finanza»

Quest'anno il tradizionale appuntamento "Un mese di sociale", organizzato dal Centro Studi Investimenti Sociali, si è concentrato sul tema della crisi delle sovranità tradizionali. Appena terminata la collana di eventi, greenreport.it ha intervistato proprio il presidente Censis, il sociologo Giuseppe De Rita (Nella foto), per approfondire le cause profonde di questa crisi: anestetizzata la sovranità esercitata entro i confini degli Stati-nazione piangiamo ora una disincarnata sovranità dei mercati, che si è realizzata proprio tramite una deliberata deregolamentazione della finanza e della globalizzazione.

Quelle della politica sono dunque lacrime di coccodrillo?

«Non credo, direi che la politica non si è neppure accorta di star perdendo potere in questa maniera. Capisce solo adesso che di sovranità ne è rimasta poca negli stati nazionali, nei grandi governi (Usa e Cina) o nelle istituzioni internazionali; il rimanente fa parte di una cessione implicita di sovranità. L'avessero ceduta esplicitamente (magari tramite legge costituzionale), ci sarebbero state polemiche. Non c'è stata una vera deregolamentazione, la politica non ha avuto questo potere: ci sono in giro capitali pari a sette volte il Pil mondiale, e chi è che ha immesso nel circuito tutti questi soldi? Non c'è stata una deregolamentazione voluta, c'è stato piuttosto un processo, un fenomeno. Se pensiamo che la finanziarizzazione sia stata una decisione sbagliamo».

Dal Consiglio Europeo appena terminato, Monti torna a casa con piccolo bottino. Forse, il miglior risultato che potessimo aspettarci, viste le premesse. I mercati sembrano brindare: come interpreta il linguaggio della finanza, che pare festeggiare per regole che dovrebbero delimitarla?

«Giornalisti e non, siamo noi che facciamo il mestiere dei commentatori che abbiamo bisogno di un titolo, ma la finanza internazionale valuta in termini di mesi, di anni; Monti e i suoi risultati al Consiglio Europeo non la riguardano, riguardano gli equilibri della politica italiana. Quando il presidente della Goldman Sachs dichiara - come ha dichiarato - di avere poteri quasi divini, potendo gestire le costellazioni (finanziarie), si riferisce a meccanismi lenti, proprio come i movimenti delle costellazioni. Quando si dice che le banche, in passato, hanno dato soldi alla Grecia sapendo che dieci anni dopo (cioè adesso, ndr) avrebbero guadagnato ancora di più... la finanza internazionale governa le costellazioni, specula a cinque, sei, venti anni, e non sta lì a vedere cosa succede nella borsa italiana di oggi».

La sensazione, però è un'altra, e vede gli appetiti della finanza internazionale diretti in buona parte alla speculazione a breve termine. È proprio questa sgradita attenzione a drenare gran parte delle risorse degli Stati-nazione ed al contempo la loro possibilità di programmare politiche a lungo termine...

«Naturalmente. Se la finanza governa le costellazioni, ai governi rimane la gestione delle emergenze, come quella del terremoto in Emilia. Però, riconosciamolo: per lunghi anni abbiamo pensato che la politica a breve termine, dell'azione immediata, fosse più nobile di quella a lungo termine. Parlo anche del mio ruolo di programmatore, e dico che in passato siamo stati sbeffeggiati. Adesso, invece, del lungo periodo si sono impossessati altri poteri, quelli finanziari, e la politica se ne è distaccata completamente».

Secondo dati Censis, circa il 77% degli italiani ritiene che la propria voce non conti nulla né all'interno del Paese, né in Europa. Al contempo, 9 milioni di italiani hanno partecipato nell'ultimo anno a manifestazioni di protesta autorizzate, ma sovente non si va oltre l'indignazione. La società rischia di adattarsi ad un nuovo status quo, dove la delegittimazione democratica è la nuova normalità?

«La caduta delle tante sovranità che c'è stata (la sovranità dello Stato, delle regioni, delle banche, delle singole imprese) induce naturalmente ad avere una tentazione alla sudditanza, una tentazione che deriva dal pensare di non contare più niente: né io, né il mio Paese. Nessuno però vuole essere suddito senza protestare, e si trova il modo di riuscire almeno a sfogarsi. Il meccanismo che collega la sudditanza ad un antagonismo errante è immediato, proporzionale e unidirezionale. Un cane che si morde la coda».

Zygmunt Bauman afferma che anche «il tipo di politica "internazionale" (leggi: inter-statale, inter-governativa, inter-ministeriale)» in stile Onu «non può farci fare alcun passo in avanti sulla via di un'autentica politica globale». Lei cosa ne pensa?

«Sostanzialmente, concordo. Bauman ha una concezione - banalmente - molto liquida della società, dove l'acqua vera è la dimensione finanziaria. E l'acqua, come si sa, entra dappertutto. Questo tipo di fenomeno rimane non controllabile all'interno della una cultura solida, piramidale, come lo è quella delle culture politiche moderne».

Con tutti i difetti del caso, quello offerto dall'Onu è comunque il più vasto esempio di una politica globale istituzionalizzata che già abbiamo.

«È l'unica che c'è, ma non è un governo del mondo. Rappresenta piuttosto una riserva di potere, una riserva di potere armata, che entra in gioco soltanto per limitati periodi e in limitati casi. Non è un potere globale. È esercitabile solo al momento giusto: può esserlo in Serbia, in Libia ma, ad esempio, forse non in Siria. Ecco perché quello dell'Onu non è un governo sovranazionale, un potere che non è esercitabile con continuità. Se la foresta amazzonica è rovinata dalla speculazione, l'Onu che fa? Sta lì. Lo stesso per affrontare il macrotema delle emissioni in atmosfera di gas climalteranti: si fa una conferenza, e ci si ferma».

In effetti, la Conferenza Onu sullo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro è stato l'ennesimo mezzo fallimento. Eppure, per raggiungere l'obiettivo di una sostenibilità economica, sociale ed ecologica, l'unico piano d'azione adeguato sembra essere quello di una governance globale. Lo ritiene un bersaglio alla nostra portata, una via d'uscita per cominciare a sciogliere questa crisi della sovranità?

«Dal punto di vista del "dover essere", questo sarebbe l'obbligo morale di tutto il mondo. Dal punto di vista tecnico, però, non mi pare ci sia una cultura politica di questa realtà, nel mondo dell'ecologia, comparabile alla forza della finanza o anche della dimensione militare dell'Onu, le uniche forze internazionali presenti sullo scenario mondiale. Non c'è la cultura dell'immediatezza delle forze dei caschi blu, o del governo delle costellazioni. Se hai solo l'indignazione della denuncia non presenti una cultura di governo. È questa che manca, come nella politica italiana».

Dati riportati dal linguista Tullio De Mauro parlano dell'80% degli italiani classificabile come analfabeta funzionale, un numero frastornante: c'è un asse spezzato che unisce capacità culturale inadeguata, deficit democratico e inettitudine ad accettare la sfida di significati complessi come quello della sostenibilità?

«Non credo che il problema sia quello dell'analfabetismo di ritorno, o cose equivalenti. Piuttosto, direi che abbiamo proprio un problema di cultura sociopolitica La gente preferisce parlare di calcio e non di ambiente perché non ha il linguaggio adeguato? Può darsi, ma io mi domando se piuttosto la mancanza di attenzione per la sostenibilità venga o meno da una variazione antropologica di egoismo. Personalmente, propendo più per la dimensione antropologica della nostra crisi, più che per quella semantica».

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