[29/06/2012] News

Rio+20 è passato ma l'urgenza di agire è oggi ancora più forte di prima

Il sipario è ormai calato da una settimana su Rio+20 e resta la sensazione dell'amarezza profonda di una grande occasione mancata.
Come ho già ricordato nella rubrica dello scorso venerdì, i 283 paragrafi delle 49 pagine del testo finale della Conferenza ONU sullo Sviluppo Sostenibile (che potete leggere e scaricare dal sito www.uncsd2012.org ) lasciano molto amaro in bocca.

Sono passati 40 anni dalla prima grande conferenza ONU sull'ambiente umano nel giugno 1972 a Stoccolma, 20 dall'Earth Summit ONU di Rio del 1992 e 10 dal Summit ONU sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg del 2002 ed oggi abbiamo un testo dal titolo forte "The Future We Want" (il futuro che vogliamo) dove si legge continuamente, come incipit dei paragrafi stessi : "riconosciamo, riaffermiamo, riteniamo, incoraggiamo, sottolineiamo, stressiamo, ecc." .

Rispetto alla gravissima situazione attuale in cui versa il mondo dal punto di vista economico, sociale ed ambientale ed all'urgente necessità di porre mano ad un nuovo corso dell'impostazione dei nostri modelli economici e di sviluppo, il testo di Rio auspica, sottolinea, riconosce e incoraggia. Ma i leader politici, come ben sappiamo, hanno la possibilità e la capacità di impostare nuove strade ma non lo hanno fatto. Rio doveva contribuire seriamente a farci imparare a vivere tutti nei limiti di un solo Pianeta.

Il vuoto dell'impegno politico ha avuto luogo nonostante (come ho sempre illustrato nelle pagine di questa rubrica) la conoscenza scientifica che abbiamo raggiunto sugli effetti che la nostra pressione e il nostro intervento stanno causando ai sistemi naturali che costituiscono la base stessa della nostra sopravvivenza, hanno ormai raggiunto livelli di autentica allerta per il nostro immediato futuro.

E nei mesi prima di Rio e a Rio stesso, la comunità scientifica internazionale non ha certo perso tempo ed ha accuratamente illustrato la situazione e ha fornito numerose e valide proposte per uscire fuori dal tunnel nel quale ci siamo infilati.

Rio+20 avrebbe dovuto riconoscere le fondamenta della nuova impostazione economica nel capitale naturale, nella ricchezza della natura sulla Terra, nella nostra meravigliosa biodiversità, elemento essenziale per garantire lo sviluppo ed il benessere dell'umanità.

A margine della Conferenza ONU, tra le tante iniziative promosse dalla comunità scientifica, l'IUCN ( l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura www.iucn.org) ha presentato l'aggiornamento della storica Lista Rossa sulle specie in via di estinzione, documento che ha sempre costituito un segnale emblematico della progressiva perdita della biodiversità e del progressivo e costante indebolimento dei sistemi di supporto e sostegno della vita sulla Terra (www.redlist.org).

La Lista Rossa dell'IUCN viene infatti ritenuto un indicatore critico della salute della biodiversità nei sistemi naturali del mondo: la fonte della nostra alimentazione, delle nostre medicine, della sicurezza dei regimi idrici e dell'acqua pulita come base per la vita di milioni e milioni di esseri umani è messa sempre più a rischio a causa del rapido declino di tantissime specie di animali e di piante e degli straordinari ecosistemi che hanno costituito sulla Terra.

L'aggiornamento della Lista Rossa 2012 ha preso in esame 63.837 specie viventi delle quali 19.817 sono risultate minacciate di estinzione. Di queste il 41% sono anfibi, il 33% specie di coralli, il 25% di mammiferi, il 13% di uccelli e il 30% di conifere. Il valore della ricchezza della vita sulla Terra è straordinario per le nostre vite, per il nostro benessere, per il nostro sviluppo, per le nostre economie (come hanno ampiamente dimostrato gli approfonditi rapporti del Millennium Ecosystem Assessment, www.maweb.org e del The Economics of Ecosystems and Biodiversity - TEEB - www.teebweb.org dei quali ho più volte trattato in queste pagine) .

Ad esempio, la produzione di almeno un terzo di tutto il cibo prodotto a livello mondiale, incluse 87 delle 113 specie di piante o di cultivar principali che costituiscono la base dell'alimentazione mondiale dipende dall'impollinazione dovuta agli insetti, ai pipistrelli ed agli uccelli. Il valore del servizio fornito dagli ecosistemi che è dovuto ai fenomeni di impollinazione viene calcolato intorno ai 200 miliardi di dollari annui.

Secondo i dati della Lista Rossa dell'IUCN il 16% delle specie endemiche di farfalle sono minacciate in Europa. Anche i pipistrelli che sono importanti impollinatori sono a rischio di estinzione. Oltre al loro importante ruolo di impollinatori uccelli e pipistrelli svolgono anche un ruolo altrettanto importante e fondamentale che è quello di controllori delle popolazioni di insetti che possono essere dannosi per l'agricoltura.

Ho già ricordato il numero speciale del 7 giugno scorso della prestigiosa rivista scientifica "Nature" dal titolo "Second Chance for the Planet" dedicato proprio a Rio+20. Il numero riporta diversi articoli, compreso l'editoriale, relativi a commenti e resoconti su quanto si sarebbe poi discusso a Rio e pubblica alcuni lavori scientifici estremamente significativi sullo stato di salute dei sistemi naturali e il ruolo e gli effetti documentati e registrati della pressione dell'intervento umano.

Tra questi il lavoro molto importante di cui ho già parlato in queste pagine, pubblicato da 22 scienziati di fama internazionale dal titolo "Approaching a state shift in Earth's biosphere" dove si fa presente che la nostra conoscenza, derivante da decenni di ricerche sulla dinamica dei sistemi naturali, ci ha portati a comprendere come diversi ecosistemi possono transitare in maniera repentina e irreversibile da uno stato ad un altro quando sono forzati e costretti ad attraversare una soglia critica.

Oggi abbiamo le evidenze scientifiche che l'ecosistema globale, la meravigliosa biosfera dalla quale dipende la nostra stessa esistenza, può reagire in modi simili avvicinandosi ad una transizione critica a livello planetario, come risultato degli effetti pervasivi e di ampie dimensioni esercitate dall'intervento umano.

Il lavoro sottolinea come gli studi sulle dinamiche degli ecosistemi a piccola scala dimostrano che percentuali che vanno da almeno il 50% fino al 90% delle aree stesse, risultano alterate e che interi ecosistemi stanno sorpassando punti critici che li conducono in stati differenti da quelli originali. A scala più ampia i ricercatori fanno presente che per sostenere una popolazione di più di 7 miliardi di abitanti, ormai il 43% della superficie delle terre emerse è già stato convertito ad agricoltura, infrastrutture, aree urbane e con profonde modificazioni di tanti ecosistemi e con i sistemi stradali che attraversano molto altro di ciò che resta. La crescita della popolazione, prevista dalle Nazioni Unite a 9 miliardi al 2045, fa ipotizzare uno scenario dove almeno metà delle terre emerse saranno profondamente disturbate già entro il 2025.

Questo aspetto viene ritenuto dagli studiosi un profondo disturbo che è molto vicino a rappresentare il verificarsi di un punto critico su scala planetaria e che si riverbera drammaticamente sulla ricchissima biodiversità presente sulla Terra.

Un altro importante lavoro pubblicato sempre nello stesso numero di "Nature" è stato scritto da 17 autorevoli ecologi ed esperti di biodiversità (che sono Bradley Cardinale, Shashid Naeem, David Hooper, J. Emmett Duffy , Andrew Gonzalez , Charles Perrings, Ann P. Kinzig, Patrick Venail, Anita Narwani , Georgina M. Mace, David Tilman, David A. Wardle, Gretchen C. Daily, Michel Loreau, James B. Grace, Anne Larigauderie e Diane Srivastava) con il titolo "Biodiversity loss and its impact on humanity".

Il lavoro costituisce il risultato di un consenso scientifico di più di 1.000 studi scientifici autorevoli pubblicati nelle ultimi due decenni che dimostrano la forte evidenza scientifica che è emersa rispetto al fatto che la perdita della ricchezza della biodiversità planetaria riduce la produttività e la sostenibilità degli ecosistemi e riduce la loro abilità nel fornire beni e servizi alle società umane come cibo, legname, fibre, suoli fertili, e protezione dalle malattie e dai parassiti.

L'azione umana sta distruggendo gli ecosistemi del pianeta, producendo un estinzione delle specie viventi ad un tasso di parecchi ordini di grandezza superiori ai livelli di estinzione che abbiamo registrato nelle analisi dei reperti fossili. Abbiamo ancora la possibilità di conservare una parte importante della varietà della vita sulla Terra e ripristinare, per quanto possibile, quanto è andato perduto a causa del nostro intervento, ma dobbiamo agire rapidamente e con convinzione. Strumenti come la Convenzione sulla Diversità Biologica (vedasi www.cbd.int) e la nuova International Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES, vedasi www.ipbes.org) istituita nell'aprile 2012, devono funzionare al meglio per guidare una adeguata risposta globale alla gestione sostenibile della biodiversità e degli ecosistemi a livello mondiale.
Rio+20 è passato ma l'urgenza di agire è oggi ancora più forte di prima.

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