[20/06/2012] News

Chi sono i lobbisti del greenwashing che rischiano di far fallire Rio+20

Il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, ieri ha detto che il testo del documento della presidenza brasiliana alla conferenza Onu Rio+20 non presenta «Nessuna garanzia relativa agli aiuti per i Paesi in via di sviluppo; nessun riferimento preciso ai target di sviluppo sostenibile e solo un generico accenno all'eliminazione dei sussidi per le fonti fossili: il nuovo testo della presidenza brasiliana è decisamente debole. Certo, va segnalato positivamente l'avvio di un processo dove le associazioni ambientaliste, la società civile e la parte più avanzata del mondo delle imprese cerca di costruire una green economy equa e solidale ma manca evidentemente una leadership politica in grado di capitalizzare questo patrimonio».

La mancanza di questa leadership ha una storia che viene da lontano. In un'altra pagina del giornale riferiamo della denuncia del Corporate Europe  observatory (Ceo) sui gruppi di interessi che stanno favorendo l'ingresso delle istanze delle multinazionali nel dibattito di Rio+20, sono praticamente le stesse lobby del big business che hanno fatto deragliare il percorso indicato dal primo Earth Summit di Rio de Janeiro nel 1992 e che in questi anni hanno allevato la crisi economica, ambientale ed enegetico-alimentare, applicando le ricette dell'iperliberismo e traendone enormi guadagni.

Allora il Business council for sustainable development (Bcsd), riuscì ad evitare proposte di nuovi regolamenti per il business ed a fare dell'industria il nuovo partner dell'Onu per lo sviluppo sostenibile. Secondo Pratap Chatterjee e Matthias Finger di Brokers Terra, «L'Unced ha impostato un processo attraverso il quale sono stati trasformati dei lobbysti a livello nazionale in legittimi agenti globali, vale a dire in partner dei governi. L'Unced ha dato loro una piattaforma da dove potevano inquadrare le nuove emissioni globali nei loro termini. 20  anni dopo, è chiaro che il big business è visto da molti come parte della soluzione anziché come parte del problema». 

E' per questo che la possibilità di regolamentare le attività  delle corporations è quasi scomparsa come opzione dalla scena internazionale, garantendo alle multinazionali la possibilità di continuare senza vincoli nel business as usual, magari con una bella pennellata di greenwashing. Il business council ed i suoi alleati hanno così stabilito una partnership sempre più forte con l'Onu e le sue diverse Agenzie.

Nel 1995 il Bcsd si fuse con il World industry council for the environment, costituendo il World business council for sustainable development (Wbcsd), un'organizzazione fortemente voluta dall'International chamber of commerce (Icc) presieduta da Rodney Chase della Bp. L'Icc e il Wcbsd  furono insieme i protagonisti dell'operazione di lobbyng al secondo summit Onu sullo sviluppo sostenibile "Rio+10" di Johannesburg, dove vide la luce un'altra piattaforma delle multinazionali: la Business action for  sustainable development (Basd) presieduta da Mark Moody Stuart della Shell.

La strategia principale della Basd da Rio+10 a Rio+20 è stata quella del greenwashing delle principali attività delle grandi imprese che ne fanno parte e che hanno gravi ripercussioni ambientali e sociali in settori come il petrolio, l'estrazione mineraria o i prodotti chimici. La strategia è quella del dividi et impera, anche attraverso il dialogo e le partnership con alcune Organizzazioni non governative "responsabili", mentre le Ong più critiche vengono screditate perché non vogliono collaborate con le grandi imprese. Questa strategia permette alle multinazionali ed alle loro filiali di non abbandonare attività che hanno forti impatti ambientali, sociali e sui diritti umani e che contraddicono la loro retorica di facciata sullo sviluppo sostenibile.

Corporate groups come il Wbcsd e l'Icc specializzati nel greenwashing delle attività delle aziende associate, cercano di evitare in ogni modo norme che limitino le loro principali attività, eppure le "buone pratiche" di cui si vantano raramente raccontano tutta la storia. Ceo  esamina due dei casi portati ad esempio dall'attività di lobbyng della Wbcsd riguardante la biodiversità: quelli della Basf e della Holcim. 

Il gigante tedesco dell'agrochimica Basf è esaltato dal Wbcsd per i suoi sforzi nel «Proteggere e preservare gli ecosistemi attraverso pratiche agricole rispettose».  Una delle attività citate la piantumazione di alberi per recuperare 300 ettari intorno ad un'industria chimica  in Brasile, nell'ambito del progetto "Mata Viva" e la Basf dice di aver educato gli agricoltori e ripristinare la biodiversità. Ma il Ceo fa presente che «Questo progetto è molto piccolo rispetto alle dimensioni della superficie occupata dalla soia e da altre monocolture  che la Basf promuove in Brasile e in tutta l'America Latina. La produzione di soia ha già distrutto 21 milioni di ettari di foreste in Brasile, le monocolture di soia distruggono  gli ecosistemi tropicali, accelerano il cambiamento climatico e causano violazioni dei diritti umani, in primo luogo per la produzione di agrocarburanti e alimenti per il bestiame. L'industria della soia fa fuori la biodiversità, distrugge la fertilità del suolo, inquina l'acqua dolce e sloggia le comunità». La Basf produce e promuove l'utilizzo di prodotti chimici che servono a produrre soia in Brasile e insieme a Monsanto, Syngenta, Bayer, Dow e DuPont controlla il 75% del mercato globale dei pesticidi e il 67% del mercato delle sementi.

Recentemente il Tribunale Permanente dei Popoli riunito a Bangalore ha condannato queste 6 multinazionali perché responsabili di  «Gravi, diffuse e sistematiche violazioni del diritto alla salute e alla vita, dei diritti economici, sociali e culturali, nonché dei diritti civili e politici, e dei diritti delle donne e dei bambini» e perché «Con i loro atti sistematici di corporate governance hanno causato rischi catastrofici evitabili, aumentando le prospettive di estinzione della biodiversità, comprese le specie la cui sopravvivenza è necessaria per la riproduzione della vita umana».Un bruttissimo colpo per l'immagine della Basf che vuole dimostrare che «La moderna e registrata protezione delle colture e le buone pratiche agricole sono compatibili con la biodiversità», invece, graffiando la patina del greenwashing viene fuori che gli impatti negativi causati dalla promozione di pesticidi e sostanze chimiche pericolose siano superiori ai benefici.

L'Holcim, una multinazionale svizzera, socio fondatore della Cement sustainability initiative (Csi), uno dei principali progetti del Wbcsd che riunisce i 23 principali produttori di cemento, si vanta di produrre cemento sostenibile anche se l'estrazione delle materie prime necessarie è estremamente dannosa per l'ambiente, distrugge interi habitat e impoverisce la biodiversità, oltre a causare inquinamento acustico e atmosferico, esaurimento dell'acqua e sedimentazione. Il Csi è stato visto dai più come un tentativo di  promuovere linee guida volontarie e non vincolanti con l'obiettivo di evitare la fissazione di target di emissioni.

Eppure l'Holcim dice di aver realizzato un'oasi della biodiversità in Spagna, dove ha ripristinato un'area dove aveva una cava di ghiaia vicino a Toledo: «Le zone risanate ora hanno una maggiore qualità ambientale di prima che iniziasse l'estrazione, attirando specie che non erano presenti nel momento in cui la terra era tata occupata da campi agricoli». Ma le associazioni ambientaliste locali non sono d'accordo: la coalizione spagnola Ecologistas dice che ci sono diversi problemi sia nelle  aree ripristinate che nelle cave operative della Holcim. I laghi artificiali realizzati dalla multinazionale stanno alterando la qualità delle acque del fiume Jarama, aumentando l'inquinamento e la gente non ha più accesso alla zona. In tutta l'area del progetto della cava l'Holcim viene accusata di non rispettare le leggi ambientali. Un suo cementificio vicino a Toledo sta sollevando le proteste delle comunità locali perché l'Holcim vuole bruciare pneumatici e altri materiali, due siti minerari della Holcim nella regione di Madrid sono stati denunciati dai gruppi ambientalisti per aver violato le normative ambientali e minerarie e per aver danneggiato specie autoctone di uccelli. Il fatto che la Holcim abbia ripristinato un sito non operativo non cambia nulla rispetto all'insostenibilità delle sue attività globali. 

Intanto anche le attività della Holcim in America Latina sono costantemente criticate ed aumentano le proteste ed i conflitti ambientali e sociali. Nel maggio 2010 il Tribunale Permanente dei Popoli ha accusata l'impresa svizzera per i danni ambientali e sociali causati dalle sue attività estrattive in Colombia, Guatemala e Messico, anche con casi di violazioni dei diritti umani e di criminalizzazione delle comunità che si oppongono allo sfruttamento delle loro risorse biologiche. La Corte ha condannato l'Holcim «Per le sue pratiche immorali e illegali». Inoltre l'Holcim è molto attiva nel lobbying nell'Unione europea per contrastare un aumento degli obiettivi di riduzione delle emissioni e nel 2011 ha usufruito del settimo più grande surplus di permessi nell'ambito del sistema Ets-Ue di scambio di emissioni. 

Secondo l'Ong britannica Sandbag, «Holcim ha chiuso l'anno con un surplus di 12,5 milioni di permessi, del valore di 213 milioni di euro . Questo fa seguito allo stesso andamento negli anni precedenti. Questo eccesso di permessi  permetterà ad Holcim di raggiungere i suoi obiettivi senza apportare cambiamenti reali per ridurre le emissioni», Ma la lobby  del cemento, rappresentata dal gruppo Cembureau ha anche avuto un ruolo importante nel persuadere la Commissione Ue non mettere all'asta i permessi per l'industria manifatturiera, che ora continuerà  a ricevere permessi gratuiti almeno fino al 2020, creando profitti inattesi dagli Ets. Eppure l'industria del cemento è ampiamente criticato per il suo impatto sulle emissioni di CO2, la distruzione della biodiversità e del'acqua.

Il problema è che una green economy senza regole non ha senso, ma le multinazionali le regole non le vogliono e quindi non sopportano nemmeno i vincoli fisici, sociali e politici posti dalle risorse, dalla biodiversità e dalla natura in generale.

 

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