[11/06/2012] News

Globalizzazione e frontiere, Augé: «Necessario ridare la parola al paesaggio»

Il mondo surmoderno è un mondo accelerato, porta ad una globalizzazione «senza frontiere che amplia le possibilità di comunicazione ma che al contempo porta ad una frammentazione planetaria, dove le divisioni che rifiutano questo sistema non possono evitare di trovarvisi comunque all'interno». Una prospettiva totalizzante, quella offerta da Marc Augé (Nella foto), etnologo ed antropologo francese nella sua lectio magistralis a Quanto Basta - festival dell'economia ecologica. «Il fatto che tutta la vita del pianeta dipenda da centri decisionali collegati tra loro e dislocati nelle città più importanti del mondo, completa il quadro. Il mondo è come una città immensa dove i settori della società non sono che dei frammenti».

Nella logica del surmoderno (dal francese surmodernité) si compendia quella dei nonluoghi, elaborata dallo stesso Augé, che parla di anonimi e standardizzati "dove" nei quali il tipico cittadino-consumatore pascola senza legarsi né agli altri suoi simili che vi transitano né al luogo in sé. Sono quelle autostrade, aeroporti, ma anche centri commerciali, che talvolta possono divenire anche nuovi e moderni spazi di socializzazione, ma che generalmente rimangono privi di una loro identità. L'onda della globalizzazione vibra nello spazio come nel tempo, accorciando le distanze - tramite vie di comunicazioni materiali o meno - tra individui da un capo all'altro del mondo, al contempo però appiattendone le relazioni e le identità.

«Davanti allo spettacolo affascinante della globalizzazione non ne vediamo le frontiere, ma le ritroviamo con forza nel tessuto urbano disgregato, con quartieri-ghetto che portano ad uno sviluppo al contrario - spiega Augé. Una metropoli, oggi, accoglie tutte le diversità e le disuguaglianze del mondo, ed è in questo senso una città-mondo. Il mondo appare in questa visione un mondo della discontinuità e del vietato». I nostri luoghi divengono così espressioni tangibili delle contraddizioni della globalizzazione. «Bisogna ridare la parola al paesaggio: rimodellare il paesaggio nel senso inteso da Charles Baudelaire, con stili ed epoche da mescolare in modo cosciente come le diverse classi sociali - ricorda Augé riprendendo la lirica Paesaggio, contenuta nel celebre I fiori del male, dove il poeta parigino canta de i camini, i campanili, alberi maestri della città, e i grandi cieli che fanno sognare l'eterno - L'importante è che questi alberi maestri, che rappresentano momenti diversi, si confondano in una visione unitaria».

«Bisogna ripensare oggi l'elemento della frontiera, per comprendere le contraddizioni della nostra società: una frontiera non è uno sbarramento, ma un passaggio. Segnala allo stesso tempo la presenza dell'altro e la possibilità di raggiungerlo. Molti miti in tutte le culture evidenziano i pericoli e le possibilità di questo passaggio. Molte culture hanno rappresentato in modo simbolico il limite e l'incrocio come punti dove si aprono avventure umane, dove uno va all'incontro dell'altro. Ci sono frontiere naturali, linguistiche, culturali o politiche.

Le frontiere non si cancellano mai, si ridisegnano: come nel caso della conoscenza scientifica, ad esempio. La scienza è lo sforzo continuo per spostare passo passo le frontiere dell'ignoto. Un pensiero scientifico non è mai assoluto, ha sempre davanti nuove frontiere, ed è questo che lo distingue dalle ideologie e dalle cosmologie. La frontiera ha sempre un ordine temporale, ed è segno di speranza. Al giorno d'oggi esiste però un'estetica della distanza, un'estetica dominante che ci porta a non considerare tutti i punti di rottura che ci sono nel mondo reale».

Dipenderà dunque dalla nostra capacità di rammendare i confini e i legami nei luoghi come negli individui, tornando ad una visione delle frontiere come linea di passaggio, come ponte, per «far saltare le barriere invisibili della disuguaglianza, della distanza tra ricco e povero, tra acculturato ed ignorante: distanze oggi in aumento, un divario che avanza insieme al fenomeno della globalizzazione».

Portare avanti un ampio cantiere di ripresa dall'interno delle nostre città significa ripensare il paesaggio anche e soprattutto come espressione della sostenibilità come traguardo da raggiungere, come espressione di quella volontà di smussare e raccordare tra loro le disuguaglianze, ricercando un equilibrio come la fusione di colori in un unico quadro. Tenendo presente che «solo le frontiere visibili si possono attraversare. Quelle invisibili escludono in partenza».

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