[08/06/2012] News

Gli ostacoli alla piena attuazione della legge quadro sulle aree protette

Nel recente Congresso Nazionale di Federparchi sono state poste all'attenzione alcune ipotesi di modifica alla legge 394/91; tuttavia, ciò che è emerso nei documenti congressuali riguarda questioni prevalentemente di principio, tra cui "il superamento della logica della protezione, per soli fini conservativi, per includervi pienamente anche obiettivi economici", "il rafforzamento della funzione delle comunità locali nei processi decisionali", il coinvolgimento delle organizzazioni agricole nei Consigli direttivi e l'ampliamento della rappresentanza degli enti locali per "allargare il fronte delle alleanze".  Su queste proposte, che sono oggetto di discussione in sede di Commissione Ambiente del Senato, c'è stata una levata di scudi delle associazioni impegnate sul fronte della conservazione della natura, tra cui WWF, il FAI, la LIPU, Mountain Wilderness, che considerano tali iniziative un passo indietro nei confronti della salvaguardia della biodiversità. Il WWF e la LIPU hanno, quindi, annunciato la loro fuoriuscita da Federparchi.  

Se è pur vero che la mission degli enti parco è quella della conservazione dei valori naturalistici, architettonici, artistici e storici delle aree protette, nel rispetto di paradigmi e standard della conservazione della natura definiti a livello internazionale, dobbiamo evidenziare che il dibattito, incentrato su tali questioni di principio, tralascia aspetti critici della gestione, da cui dipende il funzionamento dei parchi e su cui andrebbe fatta una più attenta riflessione, che di seguito poniamo sinteticamente all'attenzione.

Natura giuridica.

La natura giuridica degli enti Parco prevista dalla normativa vigente è ibrida. Infatti, da un lato essi si configurano come enti che concorrono a realizzare i fini dello Stato e perciò sottoposti alla vigilanza del Ministero dell'Ambiente; dall'altro somigliano a enti locali a carattere territoriale i cui organi di direzione politica, però, non sono eletti dal popolo, ma sono di nomina ministeriale. Ne discende che gli enti parco, da una parte non hanno l'autonomia né la rappresentanza degli enti locali, dall'altra manifestano un deficit di capacità decisionale, come dimostra il ritardo in cui si trovano i parchi italiani nell'attuazione delle previsioni della legge quadro.

Beni demaniali

Le aree protette non dispongono direttamente di beni demaniali, rappresentati da monti, acque, foreste, aree lacuali e marine ecc. Tali beni appartengono a enti pubblici territoriali, cioè allo Stato, alle Regioni, alle Province o ai Comuni; gli Enti Parco pertanto perseguono le proprie finalità di tutela indirettamente, attraverso l'apposizione di limiti all'utilizzo di tali beni, nel senso che l'uso degli stessi subisce condizionamenti derivanti dalle prescrizioni necessarie per la tutela dell'ambiente naturale. Ciò comporta che per preservare gli habitat naturali, occorre negare le richieste di utilizzazione e l'Ente deve sottostare a ingenti esborsi e, laddove non ha le necessarie risorse, non può che autorizzare le utilizzazioni richieste.

Struttura istituzionale

La struttura istituzionale dell'ente è costituita da una pletora di amministratori tra cui un Presidente, un Consiglio direttivo di dodici membri, un Consiglio della Comunità del Parco composto, in alcuni casi, anche da più di ottanta membri. Troppi per garantire un buon funzionamento dell'amministrazione!  Per di più, nel gioco della politica, gli organi di gestione delle aree protette sono stati condizionati da interessi di parte o di partiti politici; questi ultimi, spesso hanno utilizzato i consigli direttivi degli enti per concedere premi elettorali "di consolazione", a personaggi privi di cultura e competenze amministrative sulla conservazione e valorizzazione della biodiversità. Di conseguenza assistiamo a rivendicazioni e pressioni provenienti dagli enti locali e da organizzazioni che rivendicano più o nuove rappresentanze negli organi di gestione.  

Profilo giuridico del direttore del Parco

Il profilo giuridico del direttore del Parco è "declassato" a un rango marginale, pur essendo un organo dell'Ente perché a esso compete, in via esclusiva, l'attività di gestione amministrativa secondo i principi sanciti dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n.165. In effetti al Direttore, che riveste un ruolo dirigenziale e una funzione gestionale, spetta ogni attività amministrativa a efficacia esterna, di qualunque natura si tratti, nonché ogni attività negoziale, unilaterale o contrattuale, che impegni l'Ente all'esterno.Tale riduttiva interpretazione ha fatto ritenere che la figura del direttore potesse essere sostituita da collaboratori esterni, con la produzione di atti di dubbia legittimità.

Governance territoriale

Nel perseguire la propria missione istituzionale, l'Ente parco è inserito in un sistema territoriale complesso, dove la gestione e le azioni di conservazione,  per avere consenso e successo, dovrebbero essere in grado di generare "valore territoriale".  Tuttavia, la complessità degli elementi da tutelare e la conflittualità degli interessi da comporre, sono gestiti con una cultura organizzativa prevalentemente burocratica,  che produce  miopia gestionale, lentezza decisionale, paralisi strategica e scarsità d'innovazione, così come avviene in genere nelle pubbliche amministrazioni. La normativa, invero,  disciplina dettagliatamente le finalità del Parco, individuando il contenuto e l'iter procedurale degli strumenti di programmazione e gestione ma, nella sostanza, ciò che conta è la capacità manageriale di perseguire gli obiettivi di tutela e di uno sviluppo economico sostenibile del  territorio.    Allora, per garantire una governance efficace, l'ente parco dovrebbe dotarsi di una cultura organizzativa in grado di mobilitare le forze in campo, che sia sensibile alle attività in corso sulle problematiche emergenti, che preveda una comunicazione interna credibile,  coerente e saliente,  che stabilisca intense e chiare relazioni tra tutti gli interlocutori istituzionali, le associazioni e i cittadini, che preveda una comunicazione efficace e ad alta capacità di penetrazione. Ciò presuppone un'organizzazione snella, agile e flessibile, i cui programmi strategici siano di specifica competenza della funzione manageriale.  Nella realtà, invece, si assiste alla costante, a volte caotica,  sovrapposizione di ruoli decisionali.

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