[04/06/2012] News

Petrolio in Kenya: maledizione o speranza per il lago Turkana?

La poverissima contea kenyana del Turkana, nota per il suo lago in forte pericolo e per la presenza di popoli autoctoni,  sembra seduta su riserve di petrolio, scoperte di recente, che dovrebbero essere sfruttate nei prossimi anni, ma il cui ricavato probabilmente finirà nelle tasche dei petrolieri che vivono in rutilanti grattacieli a migliaia di km dalle terre riarse dalla siccità del Turkana e in quelle dei governanti della lontana Nairobi. L'agenzia stampa umanitaria dell'Onu, Irin, racconta che «Gli abitanti di Lokichar, la città più vicina a questa concessione petrolifera la cui fattibilità è confermata, parlano del "Kenya" come se si trattasse di un altro Paese e dei "keniani", o di "quelli che portano i pantaloni lunghi" come se fossero degli stranieri».

Ma sono gli abitanti del Turkana ad essere stranieri in patria: tutti gli indicatori socio-economici indicano le forti ineguaglianze con il resto della popolazione keniana (non certo ricca), più del 96% della popolazione contea del Turkana è composta da pastori ed è considerata la più povera di tutto  il Paese africano. In Turkana si registrano anche i record negativi di disoccupazione, analfabetismo ed accesso alle cure sanitarie. Solo il 39% dei giovani tra I 15 e I 18 anni sono scolarizzati, rispetto alla media nazionale del 70,9%.

In molti sperano che la scoperta del petrolio  ed il processo di autonomia politica inserito nella nuova Costituzione kenyana potrebbero invertire la tendenza nella contea del Turkana. Nella più importante città della regione, Lodwar, dove l'attività economica principale è la confezione di panieri, stanno nascendo nuove attività: come il Ngamia-1 Mobile Phone Repair Shop, che prende il nome da un pozzo petrolifero esplorativo, e stanno nascendo piccole imprese di ospitalità turistica e ristoranti. Anche il sonnolento aeroporto ha registrato un aumento del traffico aereo.

I pastori sono sempre più in difficoltà a causa del cambiamento climatico, per Ie razzie di bestiame e per lo sviluppo dell'agricoltura che mettono sempre più a rischio la possibilità di pascolare liberamente i loro armenti, quindi una buona parte della gente turkana spera che la "manna" del petrolio serva a soddisfare almeno i loro bisogni basilari: acqua e cibo. Robert Kamaro, un abitante di  Lokichar, spiega all'Irin che «C'è ancora un buon numero di persone che non comprendono l'importanza del petrolio come risorsa. La maggioranza chiederebbe, se fosse possibile, di estrarre dell'acqua, piuttosto che del petrolio».  Simon Esekwen, che vive nei dintorni di Lokichar, ha detto all'Irin: «Il governo deve costruire delle scuole per i nostri bambini e non fare dei pozzi di trivellazione. Noi pensiamo che non ne trarremo profitto, soprattutto i più vulnerabili», mentre il dottor Lawrence Lomuria di e Lodwar pensa che «La scoperta di petrolio costituisce un'occasione per gli abitanti del Turkana di tener di conto dell'educazione. Non c'è ragione di aver paura dell'educazione, questa situazione può dar loro la possibilità di studiare e di riuscire nella vita». 

Secondo Christopher Ekaru Loskipat, coordinatore della Commissione  cattolica giustizia e pace di Lodwar, «Il petrolio è considerate come un'occasione che permette alla popolazione di  risalire la scala sociale. Quando le compagnie verranno ad istallarsi qui, gli abitanti si aspettano che propongano loro un lavoro. Se questo non succederà, ci sarà un conflitto. Il  governo come vuol condividere i benefici con la comunità?». 

Lokapel Katilu, un abitante di Lokichar conferma all'Irin: «Siamo contenti che sia stato scoperto del petrolio. Preghiamo perché la scoperta sia confermata. Qui non abbiamo niente da fare, Non c'è lavoro. Giriamo in tondo. Prima dipendevamo dalla pastorizia, ma ci hanno rubato il nostro bestiame». I giovani come Katilu, che abbandonano in massa la scuola già prima della fine del ciclo primario, sognano di saltare direttamente dal medioevo alla modernità: «Sappiamo di avere delle competenze limitate, ma ci piacerebbe che non ci fossero attribuiti posti di lavoro occasionali». Ma Antony Goldman, un esperto dell'industria petrolifera e direttore di Promedia Consulting, un agenzia di analisi dei rischi londinese, smorza queste speranze: «Non ci sarà il miracolo del lavoro. Il petrolio è un'industria a forte concentrazione di capitale piuttosto che a forte intensità di manodopera: paragonato all'industria mineraria, l'industria petrolifera non offre molti posti di lavoro non qualificati o semi-qualificati. La scoperta del petrolio all'interno dei territori può comportare la creazione di posti di lavoro nella costruzione di oleodotti; l'industria petrolifera, durante il periodo di espansione, offre numerose opportunità nel settore dei servizi... Resta da sapere se le comunità locali possano accedere ad altri impieghi oltre a quelli di base». Katilu spiega che fino ad ora solo poche persone hanno trovato lavoro nell'industria petrolifera, soprattutto come guardiani, «Per sorvegliare la circolazione ed impedire che la gente non accede ai luoghi di trivellazione».

Intanto a Lokichar sta crescendo il  timore che la mancanza di personale qualificato locale porti ad un'invasione di "lavoratori keniani" nel Turkana: «La gente di qui teme l'arrivo di stranieri e delle malattie che portano, i problemi di sovra-popolazione e l'inquinamento della loro cultura - spiega Kamaro - Altri hanno avvertito che ogni strada verso  il petrolio potrebbe provocare un aumento sensibile della criminalità, della  prostituzione e dello sfruttamento sessuale dei minori». 

Eunice Majuma Wasike, responsabile della protezione dell'infanzia della diocesi cattolica di Lodwar evidenzia che «L'arrivo del petrolio in una comunità di "analfabeti" si tradurrà in un apporto di conoscenze e di denaro, ma può anche essere legato a problemi associati alla protezione dell'infanzia. Se riusciremo a sensibilizzare la popolazione al problema della protezione dell'infanzia, se dei giuristi accettano di lavorare volontariamente, se disporremo di centri di soccorso, allora potremo far fronte ad eventuali  problemi di protezione». Per Joseph Elim, coordinatore dell'Ong locale Riam Riam, «Bisogna gestire le attese della popolazione. Bisogna presentare le informazioni e mobilitare la popolazione perché le riceva, Bisogna raccogliere e tenere conto delle proteste. Ho sentito delle persone chiedere "Che ne verrà ai pastori?" o "Ci  deporteranno in Sudan?". Bisogna informare le persone preoccupata. La gente dice : "Non vogliamo che della gente vestita con i pantaloni lunghi venga qui, perché hanno complottato con le persone che hanno venduto le terre"». Goldman conferma che a lungo termine «La scoperta del petrolio avrà un impatto sui prezzi delle terre e le entrate pubbliche... l'industria petrolifera keniana avrà come sfida quella di mettere in opera una strategia inclusiva che sia profittevole per tutte le parti interessate», 

Patrick Imana, dell'Agency for pastoralist development, è molto preoccupato: «Vedremo delle milizie come in Nigeria dove l'élite sta saccheggiando le ricchezze tratte dal petrolio?». 

In Turkana fa paura la "maledizione delle risorse" che ha colpito altri Paesi Africani, ma il governo centrale di Nairobi assicura di essere impegnato affinché «Il Paese e in particolare le comunità ospiti profittino a lungo termine dei benefici economici e sociali generati dallo sfruttamento delle risorse naturali. Per questo occorrerà effettuare una revisione del quadro giuridico e regolamentare esistente al fine di confermarsi alle migliori pratiche internazionali e di allinearsi al nuovo ordinamento costituzionale». 

Ma la popolazione della contea del Turkana teme di non guadagnare nulla dall'apprezzamento dei terreni  sui quali insistono le concessioni petrolifere che sono comunitarie e gestite dal Consiglio di Contea. Elim spiega che «Quando il petrolio è stato scoperto, la gente ha cominciato a dire, "Siamo in Kenya, qui si producono delle cose positive". Ma sapendo che appartengono ad una comunità di pastori che non da valore pecuniario alla terra, ora si chiedono: "Che avverrà delle terre che saranno interessate dagli investimenti"», e Loskipat aggiunge: «Qui le persone non hanno atti di proprietà, non hanno documenti. Questa situazione preoccuperà coloro che non hanno documenti fondiari ed alcune persone rischiano di approfittarsene. E' possibile che le persone vulnerabili finiscano per dare le loro terre o per venderle per un boccone di pane». 

Poi ci sono i Pokot, i vicini dei Turkana in conflitto con loro per le risorse naturali, e molti temono che cerchino di appropriarsi delle terre ricche di petrolio ed lo stesso Elim lancia l'allarme: «Bisogna proteggerci dai nostri vicini ostili, Ci sono molte armi leggere nella regione. Dobbiamo uscire da questa situazione, se la gente si vedrà attaccata, anche solo per una storia di cultura o per un banale conflitto legato all'acqua o al pascolo, il petrolio farà risalire i costi dei terreni all'asta». Per molti turkana il concetto stesso di proprietà fondiaria individuale è altrettanto strano come quello "degli uomini che portano i pantaloni lunghi": «Come potremo vendere il suolo?» ha chiesto all'Irin un giovane di Lokichar.

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