[04/06/2012] News

Crisi, exit strategy: perseverare è disumano

La crescita del Pil normalmente intesa è morta, si prega di non nominarla onde evitare di rinnovare il dolore. Dopo quindici anni di zero virgola qualcosa l'Italia è bene prima di tutto che prenda atto di questa situazione, solo dopo rifletta sul che cosa un singolo Stato possa - nella situazione data - davvero fare e poi agisca. Tempi tecnici ridotti al minimo, per non dire che siamo già ampiamente fuori dagli stessi, ma vale la formula del meglio tardi che mai. Tutto questo con 28 milioni di italiani - certificati dal governo - in sofferenza (uno su due, quasi) che è un limite quasi da non ritorno. Senza interpretazione. Io no, tu sì, una malattia chiamata povertà.

Una situazione davvero critica se si pensa che persino il Corriere della Sera arriva a pubblicare in prima pagina un intervento di Gian Arturo Ferrari che, analizzando la storia delle crisi mondiali, afferma: «Entriamo nel mondo del qualcosa di più e del qualcosa di meno, un mondo più sottile e più intelligente di quello cui siamo abituati, un mondo fatto di scelte, appunto. Ma che cosa di più e che cosa di meno? Ebbene, questo è il terreno proprio della politica o per meglio dire della proposta politica».

 Questo significa che qualcosa sta cambiando, e non necessariamente in meglio. Significa nel bene che sull'analisi si comincia a trovare un minimo comune multiplo almeno sul fatto che «Questa volta è diverso: ci spiegheranno poi se è finito un ciclo o cos'altro e successo, ma sta di fatto che non torneremo più come prima, con la stessa ingenua voracità, con la stessa inconsapevolezza». Nel male, invece, significa che nonostante si sia arrivati alla suddetta comune analisi, la distanza - visto quanto ancora accade in Italia e in Europa - tra quanto si è intuito e quanto si sta facendo è ancora siderale. Dai dinieghi tedeschi ad ogni proposta di cambiamento degli accordi Ue, fino alle italiche ricette alla crisi che ripropongo i soliti vecchi schemi, gli esempi sono purtroppo troppi e alcuni dei quali persino stupefacenti per idiozia. Pensiamo alla proposta di Passera - evidentemente partorita nelle notti che lui dice passare insonni per colpa del fatto che non sa come far ripartire la crescita  -  di autorizzare la trivellazione a 5 miglia dalle coste. Un'idea al fronte della quale verrebbe da dire al ministro che forse è meglio se dorme di più e pensa di meno! Come l'altra, al momento per fortuna bloccata, di costruire un deposito di gas di notevoli dimensioni proprio a Finale Emilia, che ancora sta tremando dopo le violente scosse di terremoto dei giorni scorsi.

Senza fare i moralisti, ma ai nostri figli che gli racconteremo di questi anni? Quando gli diciamo non toccare la pentola bollente altrimenti ti scotti che lezione impareranno scoprendo che ancora si costruiscono case sotto il Vesuvio, come ci torna a raccontare Gian Antonio Stella sempre sul Corsera? Oppure che le scuole che frequentano, nonostante il nostro sia uno dei Paesi più a rischio sismico del mondo, non sono a norma? L'attuale governo ora dice che a questo si metterà mano, stanzia risorse e fa dire sempre a Passera cose del tutto ragionevoli come che si debba costruire e ricostruire secondo i dettami della sicurezza e dell'efficienza energetica, ma come stanno insieme queste cose con le altre?

L'Italia, dovrebbe essere chiaro, deve fare i conti con un uso distorto e vorace del suo territorio. Per esempio, la messa in sicurezza (e gli incentivi) riguarderanno anche i milioni di appartamenti abusivi e/o condonati sorti in una notte spesso nelle zone più a rischio e nel completo disprezzo della legge e degli strumenti urbanistici? La fuoriuscita del nostro Paese dalla crisi non è prima di tutto una fuoriuscita dalla furbizia e dalla mancanza di senso dello Stato e della legge, che ha avvelenato la nostra comunità nazionale drogandola di rendita e irresponsabilità verso la base stessa della nostra economia, la risorsa ambiente?

Ma non è tutto. Come conclude Ferrari il suo pezzo, ora è il tempo delle scelte: «Le forze politiche, se volessero riguadagnare la grandezza e la nobiltà di questo nome, dovrebbero spiegare e motivare con chiarezza che cosa vogliono promuovere, dove vogliono investire, dove vogliono che il Paese cresca. E parimenti - ma con maggior puntiglio - che cosa invece intendono posporre, ridurre, eliminare. Rifuggendo, se possibile, da miracoli, taumaturgie, eldoradi e paradisi». Tuttavia le scelte di cui si ha notizia "rifuggono" totalmente il tema e si declinano su un concetto di "far da sé" comprensibile e condivisibile se si parla di riqualificazione e manutenzione del territorio e del patrimonio urbanistico, nonché un rilancio della manifattura sostenibile che punti a valorizzare l'energia e la materia "rinnovabile", diversa assai da quella che invece punta a una sorta di autarchia legate allo sfruttamento di quel poco di materie prime che abbiamo sic et simpliciter. Come se di fronte alla globalizzazione l'Italia potesse davvero pensare di poter far da sola...

Come dice sempre Ferrari: «E' ora di svegliarsi. E' ora di buttar via i dolcificanti, di riassaporare il gusto aspro della verità». Una verità non rivelata, nessuno di non ce l'ha, ma una verità ben spiegata anche da Giuseppe De Rita ancora sul Corriere, quotidiano che fino a pochi giorni fa ignorava praticamente il tema: «Chi non ha voce o almeno appartenenza nel circuito del grande potere finanziario internazionale (di fatto la «moderna sede della sovranità»), rischia di apparire come semplice figurante di un panorama di impotenze. I grandi vertici mondiali, dai G5 ai G20, sembrano volenterose conferenze di vecchi e nuovi amici in attesa di un'affollata foto ricordo; i summit europei hanno il triste sapore di congregazioni che rincorrono, mai padroneggiandoli, i propri errori; i governi nazionali, una volta massimi titolari della sovranità decisionale, si affannano a controllare i propri «debiti sovrani»; i parlamenti (e tutte le altre rappresentanze elettive) non hanno più il necessario respiro decisionale, visto che sulla variabile fondamentale della spesa non sono loro i protagonisti; i soggetti politici (i partiti, ma non solo) si rifugiano in una mediocre autoreferenzialità, accodandosi a una logica di governo legittimata prevalentemente da fenomeni e decisioni che si svolgono altrove».

 Non siamo più artefici del nostro destino, lo siamo solo per una piccola parte e almeno quella va fatta andare in una determinata direzione se si vuole cambiare anche il resto. Herman Hesse nell'infinito "Siddartha" diceva: «Qual padre, qual maestro ha potuto proteggerlo da questa necessità di vivere egli stesso la sua vita, di caricarsi egli stesso la sua parte di colpe, di bere egli stesso l'amaro calice, di trovare egli stesso la sua via? Credi dunque, amico, che questa via qualcuno se la possa risparmiare? Forse il tuo figlioletto, perché tu gli vuoi bene, perché tu vorresti risparmiargli sofferenze, dolore, delusione? Ma anche se tu morissi per lui dieci volte, non potresti sollevarlo della più piccola particella del suo destino».

Nessuno forse può cambiare il destino ultimo dei nostri figli, ma almeno consegnarli un mondo con le stesse opportunità - di far bene e di far male - che è stato consegnato almeno a noi... Gli zombie, nonostante gli episodi di cannibalismo di cui i quotidiani nazionali hanno deciso di dare notizia, non esistono, ma c'è qualcosa davvero di disumano nel voler dare ancora ossigeno a un modello economico non solo morto ma che uccide anche il pianeta e pian piano chi lo abita.

 

Torna all'archivio