[22/05/2012] News

Fabi (ex Sole24Ore): «Una sorta di Tobin Tax servirebbe sulle High frequency trading»

«Quale crescita? Prima cosa non perdere di vista l'identità della persona»

Grecia al collasso, Spagna con l'acqua alla gola, il Portogallo non sta meglio e l'Italia nonostante i sacrifici chiesti ai cittadini non riesce ad alzare la testa. I mercati non si fidano più dell'Europa, siamo alla fine dell'euro?

«La fine dell'euro è certamente uno scenario possibile, ma per ora non il più probabile. Anche perché i costi di una frantumazione della moneta unica sarebbero molto maggiori di quelli necessari per evitare il tracollo. Il problema è che questi ultimi sono già noti e fanno paura mentre i primi sono solo stimabili perché non ci sono ovviamente esperienze precedenti a cui far riferimento. Non è che i mercati non si fidino dell'Europa, sono gli europei che non si fidano della loro Europa. A provocare la crisi sono stati i governanti greci che hanno costruito sul debito il proprio consenso e ora sono i cittadini greci che, per disperazione verso i politici del recente passato, votano per i partiti massimalisti e portano all'estero i propri capitali».

Se dovesse uscire la Grecia quali sarebbero le conseguenze per loro e per l'Europa?

«L'uscita forzata dall'euro di un solo paese avrebbe due conseguenze entrambe drammatiche:  1) un'enorme confusione giuridica, perché tutti i contratti pubblici e privati stipulati negli ultimi dieci anni prevedono comunque il pagamento in euro; 2) un'enorme costo sociale perché la moneta nazionale, in questo caso la dracma, sarebbe immediatamente svalutata provocando un'inflazione difficilissima da controllare e che avrebbe conseguenze pesantissime sulle fasce più deboli della popolazione, come i lavoratori e i pensionati. L'alternativa possibile potrebbe essere un'uscita pilotata e concordata, un ritorno alla moneta nazionale, ma con il mantenimento delle garanzie di solidarietà europea».

Dopo tre anni la grande crisi o grande recessione non sembra alle spalle, anzi, gli analisti parlano di double dip e il ritorno dei derivati e delle crisi bancarie (JP Morgan) sembrano dimostrare che è cambiato tutto per non cambiare nulla: dove si è principalmente sbagliato?

«Molti hanno creato l'illusione che la crisi fosse una delle tante crisi di natura congiunturale. Invece quella iniziata nel 2009 è stata, e continua ad essere, una crisi strutturale perché agli squilibri finanziari si sono sovrapposti, soprattutto sul fronte europeo, almeno quattro elementi: la scarsa capacità di crescita, la conseguente sempre maggiore difficoltà nel sostenere il debito pubblico, il forte impatto dell'innovazione tecnologica e, last but not least, la stagnazione demografica con l'invecchiamento della popolazione. Tutti elementi che non possono essere affrontati con politiche di breve periodo o di stampo keynesiano.

Che cosa è mancato? Sono mancate una chiara regolamentazione degli strumenti finanziari, la divisione tra banche d'affari e banche commerciali, la volontà di sottomettere la finanza alla politica. Gli Stati Uniti hanno grandi responsabilità nel mancato controllo degli operatori finanziari, ma anche l'Europa (e per la sua parte l'Italia) non hanno dimostrato una grande volontà costruttiva. Per esempio in Europa sono state varate nuove regole sui requisiti patrimoniali delle banche che non fanno differenze nelle valutazione dei rischi tra grandi banche e banche popolari o cooperative: queste ultime sono una grande realtà italiana la cui specificità non viene per nulla valorizzata. E l'Europa non ha saputo o voluto intervenire su di un altro paradosso della realtà finanziaria, quello delle società di trading e dei loro clamorosi ed evidenti conflitti di interesse.

Che cosa ne pensa dunque di una tassa sulle Transazioni finanziarie in stile Tobin Tax?

«Una Tobin Tax ha tantissimi pregi e un solo difetto, un difetto che tuttavia è quello che ne rende praticamente impossibile l'applicazione: per essere efficace dovrebbe essere una tassa globale e non limitata a un paese o a un'area geo-politica. Comunque è un'utopia che dovrebbe meritare più attenzione. Una Tobin Tax, o qualcosa di simile, potrebbe, per esempio, limitare fortemente le HFT(High frequency trading), quelle transazioni ad alta frequenza gestite unicamente dagli elaboratori che sfruttano le minime differenze sui mercati e che amplificano in maniera incontrollabile i movimenti dei valori finanziari».

Che ne pensa del dibattito rigore/austerità vs crescita?

«E' un dibattito spesso fuorviante. Il richiamo alla sobrietà rischia di essere a doppio taglio. Se è più doveroso evitare ogni spreco non si può dimenticare che una riduzione dei consumi non fa che accentuare la crisi, così come una flessione del Pil non porta di per sé una soluzione ai problemi ambientali, anzi rischi di aggravarli. I richiami alla sobrietà nascondono spesso un'incapacità di visione sulle prospettive dell'individuo e della società: se è vero che la crescita non deve essere solo quantitativa è altrettanto vero che lo sviluppo non porta con sé solo la creazione di valore, ma anche una maggiore potenzialità della ricerca scientifica e tecnologica e può quindi creare la soluzione di molti problemi. Aver fiducia nella creatività delle persone è un elemento fondamentale per far crescere la società nel suo complesso: le tentazioni agro-silvo-pastorali è meglio lasciare al novero della letteratura o delle scelte strettamente individuali».

Tutti invocano la crescita ma nessuno la declina, in un'ottica di -  pare - condiviso orizzonte di sviluppo sostenibile secondo lei cosa è che deve e può crescere e cosa no?

«Una crescita nella qualità, in un'era altamente tecnologica come quella attuale, presuppone di non perdere di vista l'identità della persona in tutti i suoi aspetti: cittadino, contribuente, consumatore, risparmiatore, lavoratore, soggetto di bisogni e di emozioni. La tecnologia, la finanza, il denaro,il mercato, devono tornare ad essere strumenti al servizio della persona. Valorizzando la libertà di ciascuno e il benessere collettivo. E quindi la responsabilità delle persone e il ruolo di uno stato capace di rendere più efficiente il mercato e più equa la divisione delle risorse».

Assieme alla crisi economica sono in corso quelle - in gran parte conseguenti -  sociale e quella ambientale: a 20 anni dalla conferenza di Rio e a pochi mesi della sua nuova edizione che cosa è cambiato e che cosa ancora non sembra essere stato capito?

«La crisi economica complica indubbiamente anche la gestione di strategie di compatibilità ambientale, per la carenza di risorse disponibili da parte della "politica". Ma resta il fatto che comunque non sembra diminuire l'attenzione sociale e la sensibilità verso i temi ambientali». 

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