[10/05/2012] News

La schizofrenia dell'analista finanziario e l'affidabilitą delle rotte per uscire dalla crisi

Fortuna che le migliori menti analitiche d'Europa si lambiccano quotidianamente il cervello per tratteggiare una (diversa) via d'uscita dalla crisi. L'affidabilità delle soluzioni, però, appare inficiata, all'occhio del comune cittadino, dalla continua altalenanza delle analisi e soprattutto delle previsioni, che sembrano accompagnare col loro movimento ondulatorio le profonde oscillazioni alle quali ci hanno ormai abituato gli indici borsistici di tutto il mondo, che dall'inizio della crisi non fanno che librare gli speculatori più abili e rapaci sulle ali della volatilità, verso sempre più grassi incassi.

Viene da sorridere ripensando al celebre economista John Kenneth Galbraith, del quale una ormai virale citazione recita, semiseria, che «La sola funzione delle previsioni in campo economico è quella di rendere persino l'astrologia un po' più rispettabile». Andando oltre la superficie scherzosa della battuta, che rompe la forse fin troppo alta opinione di sé di molti economisti, è comunque possibile trovare che l'economia, come scienza esatta, non è mai esistita, non esiste e non esisterà mai.

Un'affermazione del genere è incomprensibilmente vissuta da molti esperti del settore come un complesso d'inferiorità della propria disciplina verso le altre "scienze dure" quando, in realtà, nascondendo in malo modo questa verità con presupposti di perfetta razionalità non fanno che contribuire a svergognare una branca della conoscenza che rimane invece stimolante da indagare, decisiva nel suo ruolo di aiuto nell'offrire interpretazioni sociali e fondamentali indirizzi sui quali poggiare per scegliere e proseguire sulla via dello sviluppo. Di un vero sviluppo, basato sull'economia reale, sulla definizione dei termini per uno sviluppo che sia possibile e sostenibile, e non fatto soltanto di pezzi di carta.

Partendo da posizioni molto spesso ideologiche, viene così meno la possibilità del confronto e della discussione; tramite il filtro dei media, dalle alte ed elitarie sfere dell'indagine economica tutto questo si traduce per il grande pubblico (come pure, forse, in alcuni decisori politici, che su tali indagini basano la propria agenda quotidiana) solamente in sconforto e, soprattutto, confusione. La crisi economico-finanziaria, con l'urgenza ed i drammi che si porta dietro, non fa che acuire questa sensazione.

Chi stamani si sarà chiesto, ad esempio, quali scenari si apriranno nel caso di un'uscita della Grecia dall'euro, aprendo il Sole24Ore ed il Corriere della Sera sarà probabilmente rimasto deluso. Su due tra i quotidiani italiani più letti ed autorevoli compaiono infatti due visioni che appaiono antitetiche. Sull'approfondimento del Sole "Domande&Risposte" a precisa e sintetica domanda - «Che conseguenze ci sarebbero per l'Eurozona?»› - si risponde:

«Le simulazioni degli addetti ai lavori considerano le conseguenze dirette complessivamente contenute e più gestibili rispetto a quanto accadrebbe in Grecia. Secondo la società Cribis D&B, specializzata in business information, le conseguenze sul settore bancario sarebbero mitigate dal fatto che nell'ultimo anno e mezzo - lo attestano i dati della Banca dei regolamenti internazionali - l'esposizione delle banche europee sul debito greco è nettamente calata. Dal punto di vista macroeconomico, sempre secondo la ricerca di Cribis D&B, si stima che la crescita del Pil nei primi tre anni successivi all'uscita dall'euro di Atene calerebbe complessivamente dall'1,5% al 2% a seconda dei Paesi (di meno in Germania, di più in Paesi come Spagna e Italia). Più gravi appaiono le ipotetiche conseguenze indirette, a cominciare dall'impatto sui mercati e sulla loro percezione della stabilità dell'intera area euro».

Aprendo invece il quotidiano milanese, che nel suo approfondimento si affida ad uno studio della banca svizzera Ubs, non si limita a indicare come "più gravi" le "ipotetiche conseguenze indirette" di un abbandono della zona euro da parte della Grecia, ma si sofferma lungamente sulle stesse e sui grandi problemi che potrebbero portare al resto dell'eurozona. Scrive infatti che:

«Probabilmente si innescherebbe subito una reazione a catena, con contraccolpi negli altri Paesi dell'eurozona, in particolare quelli più vulnerabili, a cominciare da Portogallo e Spagna. Lo scenario è da tregenda: spread alle stelle, assalto agli sportelli di credito, per ritirare i propri depositi, stretta del credito, con paralisi dell'economia reale, disoccupazione. Ma una nuova Grande Depressione in Europa avrebbe inevitabili ripercussioni sull'economia globale, con un forte declino del commercio internazionale. Secondo le stime della simulazione di Ubs, la fine dell'euro porterebbe ad ogni contribuente tedesco un costo otto-dieci volte più alto del salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo insieme, perché questi al massimo comportano un onere di mille euro a testa una tantum. Se invece fosse solo la Grecia a tornare alla dracma, ogni contribuente tedesco pagherebbe tra i 9.500 e gli 11.500 euro il primo anno e 3-4 mila euro negli anni successivi. Come dire: il 20-25% del suo prodotto lordo».

In sintesi, se entrambe le posizioni concordano nel tratteggiare un futuro tenebroso per una Grecia che decidesse di ribellarsi alla chioccia europea abbandonando la moneta comune, dall'altro divergono completamente nell'attribuire un livello di rilevanza alla conseguenze per l'eurozona di questa possibile scelta ellenica. La domanda conseguente è ovvia: chi ha ragione? Sembra, appunto, che la confusione regni sovrana anche tra coloro che dovrebbero comporre il gotha dei massimi esperti in materia, e tirarci fuori dai guai.

L'irrazionalità dell'andamento dei mercati non facilita certo le previsioni, complicandole fino all'inverosimile: davanti a continui cambi di marcia, la speranza è che semplicemente si rinunci a proseguire su questa strada, imboccandone una nuova. Che parli meno di predominio della finanza e di spread che si allargano, e con più convinzione si occupi a ricalibrare l'economia reale, dando lavoro e possibilità a cittadini disoccupati insieme ad un futuro per la vita e le risorse dell'ecosistema, altrimenti inghiottite dalla psicosi dell'uomo in un lento ed assurdo processo di morte.

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