[23/04/2012] News

Come smantellare l'industria atomica

Nell'anno dopo la catastrofe di Fukushima, l'industria nucleare ha intrapreso sforzi giganteschi per convincere i politici e l'opinione pubblica che l'energia nucleare è il  puro e semplice destino del mondo: il cammino  dell'"atomo pacifico" non si fermerà. Si tratta niente di meno che dare un volto coraggioso ad un business che si mostra dispiaciuto per un evento di livello 7, come ci si poteva aspettare da un settore la cui pura sopravvivenza, sin dalla sua nascita, si è molto imperniata sulla manipolazione della percezione pubblica. Tuttavia, il divario tra questa facciata ottimista e la realtà è troppo forte per essere ignorato.

Lo scorso settembre, quando il peggio era apparentemente passato a Fukushima e la frenesia dei titoli dei giornali si era un po' placata, l'industria nucleare ha organizzato un massiccio e disperato contrattacco per recuperare le sue precedenti posizioni di influenza. L'International Atomic Energy Agency ha annunciato in una sessione annuale della Conferenza generale che l'industria nucleare non avrebbe rinunciato alla costruzione di un solo nuovo reattore, perché nuovi reattori di questa industria sono assolutamente sicuri.

Ahimè, questo nuovo mondo luminoso dell'assoluta sicurezza dei reattori è una realtà parallela nella quale piace fuggire all'industria nucleare per evitare i problemi reali. E su questo piano i problemi della realtà abbondano.

Il solo 2012, appena tre o quattro mesi dopo l'inizio dell'anno,  non è stato esattamente una cornucopia di buone notizie per l'industria. La Bulgaria ha informato la corporation nucleare di Stato Rosatom di aver preso la decisione di fermare la costruzione di Belene, una centrale nucleare che la Russia era ansiosa di costruire in quel Paese su progetto di Rosatom. Questa è stata la prima volta da Fukushima che un contratto di costruzione di un reattore, che aveva piena forza legale, è stato dissolto: un grave colpo per la reputazione di una società potente che aveva contato sull'affare per dimostrare al mondo intero che i reattori russi avevano  finalmente superato i rigorosi standard di sicurezza dell'Unione europea.

Bank Austria, che è una filiale della UniCredit italiana, ha deciso di tagliare una linea di credito concessa  precedentemente ad una società slovacca che sta costruendo i reattori 3 e 4 a Mochovce in Slovacchia. Altrove in Europa, i giganti energetici RWE e E.On hanno annunciato che stavano abbandonando i progetti di diversi reattori in Gran Bretagna. E la Germania, già uno delle nazioni del mondo più dipendenti dal nucleare, lo scorso anno ha dichiarato una completa "nuclear phase-out": un passo che fa parte della suo rivoluzionaria strategia energetica da 263 miliardi dollari che vedrà le fonti energetiche rinnovabili sostituire completamente i diciassette impianti nucleari che la Germania intende chiudere prima del 2022.

Mosse simili sono state fatte dopo il disastro Fukushima da Svizzera, Italia, Belgio, e persino in Giappone, dove un singolo reattore è rimasto in funzione su un totale dei 54 di quel Paese. In un'intervista pubblicata su  Forbes, il capo ormai in pensione della Exelon, il più grande operatore nucleare degli Stati Uniti,  ha lasciato intendere che la costruzione di un nuovo reattore mostra prospettive deboli dato che le centrali nucleari potranno difficilmente diventare economicamente competitive nel prossimo futuro.

Questa lista di sconcertanti rapporti è tutt'altro che finita e sta crescendo rapidamente. E' quindi tanto più surreale che il governo russo confermi ripetutamente il suo immortale appoggio all'"atomo pacifico" e una determinazione inflessibile a spingere per lo sviluppo nucleare in tutto il mondo. Rosatom ritiene di poter fare una palla di neve all'inferno: non importa quanto sia sgradita questa offerta.

Al di fuori della Russia, in quelle altre parti del mondo dove il confine tra reale e surreale è meno facilmente oscurato da una fede mal riposta o dalla propaganda intenzionale, la tragedia giapponese ha scatenato un'ondata di tsunami di sfiducia verso l'energia nucleare. Ma è ingenuo pensare che la causa di tutto questo sia stata l'emozione da sola. Nell'anno passato, le teste calde tra i leader politici e del business si sono raffreddate a lungo, anche quelle che raramente hanno la possibilità di incassare una protesta rumorosa dell'opinione pubblica. Per dirne uno, il gigante dell'ingegneria Siemens, ha deciso di rinunciare al business nucleare e la boardroom della Siemens non è certo un posto dove andare a cercare menti impressionabili o accesi attivisti anti-nucleari.

Molte delle decisioni politiche e imprenditoriali compiute oggi nei più diversi Paesi che stanno rivedendo la loro posizione sul nucleare sono fermentate per anni. Molte hanno spesso una lunga storia di minuziosi, implacabili, e coraggiosi sforzi e iniziative da parte di gruppi che svolgono un lavoro che abbraccia l'intero spettro dell'attivismo civile, dalle proteste di massa al lobbyng sui politici o le società energetiche. La terribile esplosione di Fukushima è servita a soffiare via il coperchio di una pentola che bolliva da lungo tempo. E qui faccio solo alcuni esempi.

La decisione della Bulgaria di rescindere il contratto di Belene è il risultato di molti anni di duro lavoro da parte di una coalizione internazionale di organizzazioni ambientaliste. Il progetto è stato avviato nel 1985, ma uno studio dell'Accademia bulgara delle scienze ha evidenziato significativi rischi sismici della zona, una constatazione che ha spinto a prendere la prima decisione di rinviare il progetto di Belene nei primi anni ‘90.

Un decennio più tardi il progetto è stato rianimato e l'accordo per la costruzione è stato assegnato ad un'offerta congiunta di Rosatom e la franco-tedesca Areva NP. Quando nel 2007 e nel 2008 i nuovi compagni di strada si sono messi in  cerca di investitori europei, per Belene, gli ambientalisti ha lanciato una massiccia campagna per impedire che le banche private fornissero prestiti al progetto. Le decine di proteste che hanno avuto luogo al di fuori delle filiali e degli sportelli bancari  in tutto il mondo avrebbero dovuto dare un avvertimento ai potenziali investitori, un forte messaggio del pericolo di costruire una centrale nucleare in zona sismica. Questi sforzi hanno infine portato al rifiuto di investire su Belene da parte di alcune delle più grandi banche europee:: Deutsche Bank, Commerzbank, UniCredit, Société Generale, Citibank, Credit Suisse, BNP Paribas, e Hypovereinsbank. Una pressione è stata anche esercitata su diverse aziende che erano state avvicinate dalla partnership con offerte di partecipare al progetto di Belene. Anche la tedesca RWE  aveva accettato di firmare come investitore strategico, ma ne è uscita fuori nel 2009.

Una situazione simile si è sviluppato con uno dei progetti nazionali della Russia, il Baltic Nuclear Power Plant, nell'enclave occidentale del Paese della regione di Kaliningrad. Per un periodo questo progetto sarebbe stato presentato come una costruzione nazionale, ma Kaliningrad è un territorio saturo di energia e il sito Baltico sarà costruito per esportare energia elettrica all'estero. Rosatom ormai da diversi anni è alla ricerca di un investitore europeo che prenda parte al progetto:  tutto inutile. Dato che è previsto che in futuro Rosatom cerchi finanziamenti privati per i suoi progetti di altri reattori, questa attività  senza speranza di  caccia agli investitori continua a svolgersi, ma ogni volta non porta da nessuna parte. Gli attivisti russi hanno la possibilità di applicare una vera e propria tattica già sperimentata che i loro colleghi hanno messo a punto in Europa per esercitare pressioni sulle istituzioni finanziarie alle quali Rosatom si rivolge per un supporto, e il miglior consiglio che potrebbe essere dato alle banche che pongono l'accento sulla loro reputazione è quello di evitare rapporti con l'industria nucleare.

La Germania è un altro esempio che dimostra il successo degli sforzi anti-nucleari, anche se di natura diversa. I tedeschi sono in grado di offrire esperienza nell'organizzazione di manifestazioni di protesta veramente grandi che costringono l'industria nucleare a sostenere perdite colossali, come ad esempio lo scorso anno il  sit-in- blocco ferroviario che ha raccolto circa 20.000 persone nei pressi dell'impianto di stoccaggio delle scorie nucleari di Gorleben, nel tentativo di bloccare un treno che conferiva le scorie nucleari riprocessate della Francia. Come può testimoniare qualcuno con esperienza in prima persona nella partecipazione a queste e precedenti manifestazioni, la polizia si è sempre meno trattenuta nell'uso della forza per cercare di disperdere i manifestanti e cancellarne le tracce di fronte al treno in arrivo, ma questo non ha fermato coloro che vogliono che la loro voce sia ascoltata ed hanno dovuto fare i conti con chi si era incatenato alle rotaie.

La società tedesca ha combattuto per l'uscita dal nucleare per oltre trenta anni, una lotta così totalmente riconosciuta che ha dato origine a un intero segmento della cultura di massa, e la decisione del governo di farla finita con l'energia nucleare non è avvenuta a causa di questo o quel partito politico al potere, anche se i Verdi hanno, ovviamente, giocano un ruolo importante. La decisione è stata presa perché la scelta della società tedesca è stata quella di spegnere i reattori nucleari del Paese ed i comuni cittadini si sono assicurati che gli eletti ascoltassero queste richieste. In effetti, non era loro diritto di pretendere che i politici accettassero il verdetto, raggiunto da lungo tempo dall'opinione pubblica, che i rischi che l'energia nucleare pone non sono accettabili, non dopo Three Mile Island, Chernobyl e, adesso, Fukushima?

Inoltre la "nuclear phase-out" è sia una soluzione economicamente valida che realizzabile dal punto di vista delle moderne tecnologie che consentono di compensare le capacità di produzione perse. La Germania conduce la corsa allo sviluppo delle energie rinnovabili e il suo esempio rappresenta un istruttivo contro-argomento per gli scettici che dubitano che l'energia eolica e solare sia in grado di sostituire l'atomo. La quota di fonti rinnovabili nel complesso produttivo energetico della Germania ha raggiunto il 20%. Gli impianti solari, come mostrano i dati più recenti, possono, nelle giornate limpide coprire fino al 40% del fabbisogno energetico totale. Il motivo dio tutto questo è che per i politici tedeschi non è stato possibile fare un regalo eccezionale ai fornitori di energia, ma hanno avuto  il buon senso di ascoltare lì opinione pubblica. Nessun partito politico in Germania, ora osa andare contro la volontà degli elettori se si tratta di questioni di politiche energetiche e ambientali, comunque non apertamente.

Ma la Germania non è l'unico Paese ad aver visto recentemente le più grandi proteste di massa anti-nucleari della storia. In decine di migliaia si sono mobilitati nel corso degli ultimi mesi contro l'avvio della costruzione da parte di Rosatom della centrale nucleare di Kudankulam, nello stato indiano del Tamil Nadu. Altre proteste potrebbero scoppiare in Turchia, dove Rosatom sta progettando la costruzione di una centrale nucleare ad Akkuyu,  un accordo che Mosca e Ankara hanno discusso per diversi anni, ma che si è scontrato con l'ipotesi che r sarebbe meglio realizzare una diga e il movimento anti-nucleare turco ha resistito con vigore al  progetto per due decenni.

All'industria nucleare ci si può opporre con successo. Per esempio, una campagna congiunta che gli ambientalisti russi e tedeschi hanno condotto per cinque anni ha portato nel 2009 all'annullamento di un contratto con il quale la Germania ha esportato la Russia scorie radioattive che vengono generate come sottoprodotto dell'arricchimento dell'uranio. La strategia per questa campagna, ha incluso azioni di protesta in entrambi i Paesi, così come lobbyng sulle grandi imprese commerciali che erano coinvolte nelle esportazioni.

Certo, in Russia, organizzare proteste veramente di massa rimane un compito scoraggiante.

Poco più di vent'anni fa, poco dopo la più grande catastrofe nucleare del mondo, l'esplosione di Chernobyl del 1986, emerse un movimento civile in quella che allora era l'Unione Sovietica, che non era diverso da quello che allora si stava radicando in Germania. Utilizzando metodi che erano molto simili a quelli impiegati dagli attivisti tedeschi, campagne di protesta su larga scala, questo movimento era riuscito a congelare il  programma nucleare sovietico di costruzione di reattori. Tuttavia, non è riuscito a sopravvivere ai turbolenti anni ‘90, un decennio di sconvolgimenti post-sovietici durante il quale la Russia ha attraversato una difficile transizione verso un'economia di mercato, con milioni di persone sprofondate al di sotto della soglia di povertà. Una ventina di anni più tardi, esiste solo una manciata di organizzazioni non governative la cui esperienza di attivismo si estende fino agli eventi degli anni ‘80. Se non fosse stato per il crollo economico degli anni ‘90, la Russia e la Germania oggi avrebbe potuto capeggiare insieme il percorso verso la rivoluzione energetica.

Ma la resistenza contro i nuovi progetti di reattori nucleari è di nuovo fiorente in Russia. A Murom, una piccola antica città nella regione di Vladimir, nella Russia centrale europea, nel 2009 e nel 2010 le manifestazioni hanno riunito tra 3.000 e 5.000 residenti, chiamandoli a raccolta contro la costruzione della centrale nucleare di  Nizhny Novgorod, per la quale Rosatom ha proposto un progetto in un sito a soli 20 km di distanza. Il governo russo nutre piani per costruire almeno 26 nuovi reattori entro il 2030, ma ci sono molte regioni della Russia dove la popolazione locale non è particolarmente affezionata alla prospettiva di avere una nuova centrale nucleare costruita nel loro cortile. Un sondaggio del 2007 commissionato dal gruppo ambientalista Ecodefense! e dall'Heinrich Boll Foundation a Romir, un rappresentante della Gallup International in Russia e leader in sondaggi di opinione nel Paese, ha rivelato che circa il 78% dei cittadini russi la pensa negativamente sui progetti di nuove centrali nucleari, se gli impianti sono proposti nelle regioni in cui risiedono.

E' difficile ribaltare un'opinione così prevalentemente spietata sull'industria nucleare, che non può offrire né il  100% di garanzie di sicurezza per uno solo dei suoi reattori, né alcuna giustificazione economica solida o incentivi per nuovi investimenti. Secondo Bulat Nigmatulin, un ex alto funzionario dell'agenzia che ha preceduto Rosatom, per il ministero dell'energia atomica, sarebbe tre volte più rapido e tre volte più a buon mercato modernizzare le centrali termoelettriche a gas russe per produrre la stessa quantità di energia che Rosatom si attende dalle sue nuove centrali nucleari.

I semi della resistenza stanno spuntando nella società russa e sono solo destinati a crescere più potenti nel prossimo futuro e in questo ci sono altre cattive notizie per l'industria nucleare. Può essere battuta e,  fortunatamente, la Russia ha un grande potenziale di energia rinnovabile per sostituire le sue vecchie centrali nucleari.

Per quanto riguarda il grande sogno del revival nucleare, l'aumento dell'attivismo pubblico che abbiamo visto negli ultimi anni può ben servire, proprio come successe una volta alla fine degli anni ‘80, per smantellare le centrali nucleari e l'illusione dello sviluppo sognato da Rosatom, il che farà scoppiare la bolla della realtà parallela nella quale abita.

Questo articolo è stato pubblicato su Bellona News il 20 aprile 2012 con il titolo "How to dismantle the atomic industry (and burst the bubble of the nuclear revival folly)" 

Vladimir Slivyak, è autore del recente libro "From Hiroshima to Fukushima" un avvincente resoconto della storia più recente del nucleare, che mette insieme una cronaca dettagliata del disastro Fukushima Daiichi in Giappone ed una approfondita analisi dei problemi del nucleare in Russia.

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