[20/04/2012] News

Per la green economy il disaccoppiamento non basta

Il programma di ricerche internazionali International Human Dimensions Programme on Global Environmental Change (IHDP, uno dei quattro grandi programmi di ricerca internazionali sul cambiamento globale riuniti nell'Earth System Science Partnership, www.essp.org) ha pubblicato il primo numero della sua interessante rivista "Human Dimensions", il cui sottotitolo è "The human factor in the global environment debate" (scaricabile dal sito del programma www.ihdp.unu.edu).

Il primo numero di questa rivista è dedicato ad un'analisi della Green Economy e dei suoi aspetti positivi e negativi con l'interessante titolo "Shades of Green. Global Perspective on the Green Economy".  Anantha Duraiappah, il direttore esecutivo dell'IHDP, sottolinea che la rivista è dedicata ad un ampio spettro di lettori interessati alle dimensioni umane del cambiamento ambientale globale e della sostenibilità globale, e desidera presentare articoli e contributi mirati a fornire diverse visioni e punti di vista differenti dei complessi problemi che dobbiamo affrontare e risolvere. L'IHDP crede infatti che non esistano singole risposte a problemi così complessi come quelli relativi alle dimensioni umane del cambiamento globale e della sostenibilità mondiale e quindi la rivista "Dimensions", svolgendo un ruolo di facilitatore delle conoscenze, può costituire una piattaforma per un vivace e costruttivo dibattito.

Non a caso il primo numero è stato dedicato alle tante sfumature del concetto di Green Economy che sta diventando sempre di più un concetto importante nel dibattito internazionale, in particolare nel processo che sta conducendo alla grande Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile del giugno prossimo a Rio de Janeiro.

Il modello di Green Economy, proposto soprattutto dal Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) e successivamente appoggiato da tutto il sistema delle Nazioni Unite, coinvolge tematiche come l'equità, la gestione corretta delle risorse e una nuova ristrutturazione dei meccanismi di crescita economica, ma ovviamente si presta anche a differenti interpretazioni che possono condurre ad una sua equiparazione con la cosiddetta Green Growth, la "crescita verde", fortemente spinta, ad esempio, dall'OCSE.

L'UNEP nel 2011 ha reso noto un ampio ed articolato rapporto intitolato "Towards a Green Economy: Pathways to Sustainable Development and Poverty Eradication", comunemente definito GER, Green Economy Report (scaricabile dai siti www.unep.org/greeneconomy e www.grida.no). Il lavoro dell'UNEP sulla Green Economy parte già nel 2008 con le iniziative definite Global Green New Deal (GGND). Le iniziative GGND costituiscono una serie di proposte di investimenti pubblici, politiche complementari e riforme dei prezzi che mirano all'avvio di una transizione verso una vera Green Economy, rinvigorendo contestualmente le economie, l'occupazione e la riduzione dei livelli di povertà.

L'UNEP definisce la Green Economy come un'economia che produce un miglioramento del benessere umano e dell'equità sociale, contestualmente ad una significativa riduzione dei rischi ambientali e delle scarsità ecologiche. In breve la Green Economy è un'economia a bassa intensità di carbonio, è efficiente nell'uso delle risorse ed è socialmente inclusiva. In una Green Economy la crescita del reddito e dell'occupazione è guidata da investimenti pubblici e privati che riducono le emissioni di carbonio e gli inquinamenti, rafforzano l'efficienza energetica e dell'utilizzo delle risorse e prevengono la perdita di biodiversità e dei servizi degli ecosistemi.

 

Si tratta di uno scenario certamente utile da perseguire, meglio dell'attuale, ma ancora troppo debole per affrontare i veri drammatici modi di un livello di insostenibilità dei nostri modelli di sviluppo ai quali non può bastare solo il miglioramento dell'efficienza nell'uso di energia e di risorse.

 

Una critica molto valida viene proposta in "Human Dimensions" in un bell'articolo di due autorevoli economisti ecologici - Peter Victor della York University e Tim Jackson dell'Università del Surrey - dal titolo "It's Not Easy Being Green". L'articolo si basa su un lavoro che i due economisti hanno in stampa sulla rivista "Ecological Economics" dal titolo "A commentary on UNEP's Green Economy scenarios".

 

Il rapporto UNEP ricorda che, in particolare negli ultimi due anni, il concetto di Green Economy è entrato fortemente nel dibattito politico internazionale. Capi di stato e ministri delle finanze ne hanno parlato e discusso ed è entrato nei documenti ufficiali dei comunicati delle riunioni del G20 e anche nell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2010. E' evidente che il crescente interesse attorno alla Green Economy si è intensificato a causa della diffusa disillusione verso il paradigma economico attualmente dominante che è andata incrementandosi con la profonda crisi finanziaria ed economica che ha attanagliato le nostre società a partire dal 2008. Inoltre appare sempre più evidente che l'attuale sistema economico ha accresciuto i rischi ambientali, le scarsità ecologiche e le disparità sociali.

 

Il rapporto UNEP mira a dimostrare l'importanza di imboccare una nuova strada invitando i governi e il mondo imprenditoriale a partecipare attivamente in questa trasformazione economica. In particolare nell'arco degli ultimi due decenni grandi quantità di capitale sono stati investiti, ad esempio, nei combustibili fossili e negli asset finanziari strutturati con gli strumenti derivati ad essi incorporati. In paragone invece, molto poco è stato investito nelle energie rinnovabili, nell'efficienza energetica, nei sistemi di trasporto pubblici, nei metodi di eco agricoltura, nella conservazione e tutela degli ecosistemi, della biodiversità, dei suoli, delle acque, dei mari e degli oceani.

 

Indebolire pesantemente il capitale naturale e la salute, la vitalità e la ricchezza dei sistemi naturali, spesso in maniera irreversibile, costituisce un pesante impatto negativo per il benessere delle generazioni attuali e presenta rischi e prospettive tremende per le generazioni future. Le recenti e multiple crisi sono sintomatiche di questa situazione.

 

Invertire questa errata allocazione di capitale richiede un forte miglioramento delle politiche pubbliche, incluse le misure di indicazioni dei prezzi comprensivi della loro realtà ecologica e della loro regolazione, e la modifica dei sistemi di incentivazione perversa che guidano l'errata allocazione di capitale ed ignorano le esternalità sociali ed ambientali. Nello stesso tempo politiche e regolamenti appropriati e investimenti pubblici che incoraggiano i cambiamenti anche negli investimenti privati stanno crescendo in tutto il mondo, anche nei paesi in via di sviluppo.

 

Con l'attuale crescita della popolazione e l'incremento dei consumi in numerosi paesi di nuova industrializzazione la prospettiva di un continuo e sempre maggiore consumo di risorse è molto lontana dall'essere sostenibile. La media globale di consumo di risorse pro capite ha raggiunto, nel 2000, un livello intorno alle 10 tonnellate, mentre si calcola che era circa la metà nel 1900.

 

Da qui nasce l'importanza del "fare più con meno", incrementando il livello di "produttività" delle risorse, disaccoppiando (decoupling) l'intensità di energia e materie prime per unità di PIL, ottenendo cioè una riduzione dell'input di materie prime ed energia per la produzione di beni e servizi. Tale obiettivo richiede ovviamente di ripensare i legami tra l'utilizzo delle risorse e la prosperità umana ed economica, avviando un grande investimento nell'innovazione tecnologica, finanziaria e sociale per ridurre e congelare i livelli di consumo pro capite nei paesi industrializzati e mirare a percorsi sostenibili nei paesi in via di sviluppo. Tra il 1980 ed il 2002 per 1.000 dollari di output economico vi è stato una abbassamento della richiesta di materie prime da 2.1 tonnellate a 1.6 tonnellate, ma è un ritmo non sufficiente e, globalmente, il consumo di risorse, sotto la spinta della crescita della popolazione e dei consumi individuali, aumenta.

 

Gli attuali trend relativi alla crescita dell'urbanizzazione potrebbero aiutare in questa direzione in quanto le strutture urbane possono favorire, se ben gestite e governate, economie di scala e significative efficienze nell'approvvigionamento dei servizi. Le aree densamente popolate potrebbero consumare meno risorse pro capite rispetto alle aree scarsamente popolate e rurali, grazie a politiche mirate sulla disponibilità di acqua, l'uso dell'energia e dei trasporti, il trattamento dei rifiuti ed il riciclaggio e il modo stesso di strutturare le abitazioni.

 

Le osservazioni critiche di Peter Victor e Tim Jackson richiamano, rispetto al decoupling, il cosidetto "effetto rimbalzo" che indica come un'efficienza maggiore nella produzione e nel consumo di una risorsa è in grado di innescare una variazione nel consumo totale della risorsa stessa che può essere, paradossalmente, incrementato. Questo concetto è, a sua volta, legato al cosiddetto paradosso di Jevons, dal nome del grande economista William Stanley Jevons (1835 - 1882)  che sottolineò come i miglioramenti tecnologici possono aumentare l'efficienza con la quale una risorsa è utilizzata e quindi il consumo di quella risorsa può aumentare piuttosto che diminuire. Nel suo libro del 1865 "The Coal Question" , Jevons osservò che il consumo inglese di carbone si era incrementato dopo che James Watt (1736 - 1819) aveva introdotto la sua macchina a vapore (alimentata a carbone) che aveva migliorato notevolmente l'efficienza del precedente motore di Thomas Newcomen  (1664 - 1729).

Come ricorda Tim Jackson, nel suo bel volume "Prosperità sena crescita" (Edizioni Ambiente) del quale abbiamo più volte parlato in questa rubrica, il decoupling è visto da molti economisti come la soluzione centrale per risolvere i gravi problemi attuali esistenti tra i nostri metabolismi sociali e quelli naturali. Ma, sino ad ora, il decoupling non ha dato i risultati necessari, come peraltro confermano gli stessi autori del rapporto UNEP, e Jackson ricorda che per riuscirci nell'immediato futuro, e per rispettare i limiti ecologici sempre più chiari e palesi alla nostra inarrestabile crescita, sarebbe necessario un decoupling su scala così vasta che è francamente difficile da immaginare.

In ogni caso le sacrosante riflessioni sulla Green Economy devono comunque indicarci che è ormai necessario cambiare rotta e che perseguire strade ormai vecchie non aiuta certo a risolvere i problemi che incombono sul nostro presente e sul nostro futuro.

 

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