[19/04/2012] News

Uscire dalle crisi attraverso il rinascimento di un’industria e di un manifatturiero sostenibili

Nella fluviale intervista con il governatore della Banca d’Italia Ignanzio Visco che Gianni Minoli affida oggi a Repubblica per lanciare la puntata di stasera di "La storia siamo noi”, emerge in tutta chiarezza che anche nei banchieri si è finalmente insinuata la consapevolezza che se la finanza non dà spazio all’economia reale, l’economia da sola non può reggersi: «Credo che la finanza debba porsi come obiettivo quello di aiutare la crescita dell’economia reale, che è fondamentale perché trasferisce le risorse dove servono e quando servono». Una frase non da poco, se a dirla è il governatore della Banca d’Italia. Ma chi è che deve stabilire a chi devono andare le risorse per alimentare una crescita che se non sarà improntata alla sostenibilità risulterà asfittica e destinata ad esaurire la propria spinta in poco tempo? Il nodo cruciale è proprio questo: cosa può e deve crescere e cosa assolutamente non può e non deve crescere, che per greenreport.it è diventato quasi un mantra.

Soprattutto se queste linee espresse da Kraus sembrano vibrare anche nelle dichiarazioni del presidente designato di Confidustria, Giorgio Squinzi, che ha approfittato dell'occasione odierna - l'approvazione della sua squadra e programma da parte della Giunta di viale dell'Astronomia - per ribadire come trovi ‹‹necessario ricominciare a fare politica industriale, iniziative strategiche per lo sviluppo del Paese››, annunciando poi un "manifesto programmatico" sul tema in tempo per l'assemblea prevista a maggio. 

 «Serve un programma per la ripresa degli investimenti e dello sviluppo in modo da contrastare la crisi finanziaria; servono misure orientate a rafforzare l'economia reale, modernizzare le infrastrutture, migliorare la competitività e incrementare il valore aggiunto del sistema produttivo – spiega Daniel Kraus - La bassa crescita determina un peggioramento del valore aggiunto reale. Il settore manifatturiero, negli ultimi dieci anni, ha perso peso in quasi tutti i Paesi europei.La quota di industria nel Pil è caduta mediamente di 7 punti (dal 23% al16%) in Europa. (…) quello che oggi è assolutamente necessario è sviluppare programmi di crescita coordinati a livello europeo. È l'unico modo per far sì che tutti i Paesi Ue ne escano vincitori e assicurare un vero rinnovamento all'intera industria europea, indipendentemente dall'eterogeneità dei settori coinvolti, dalle diverse situazioni presenti nei mercati del lavoro e della produzione, e dalla propensione all'innovazione degli Stati».

 L’analisi e la proposta del vicedirettore di Confindustria scommettono dunque sul settore manifatturiero che in Europa occupa il 35% della forza lavora e che in Italia produce il 27% del pil), come volano per creare quel valore aggiunto reale indispensabile a sostenere una crescita sostenibile e dunque duratura.

 «La spesa in ricerca e sviluppo industriale è più della metà della spesa in ricerca in Europa – prosegue Kraus, che dimostra di non avere solo un cognome (in realtà è nato a Buenos Aires), ma anche una vision teutonica e speriamo che anche la nuova Confindustria italiana sia un po’ più tedesca nei modi di pensare ed agire - soluzioni e prodotti pronti a recepire le esigenze di mercati in continua evoluzione. E questo sarà maggiormente vero per il futuro, sempre più orientato verso le energie rinnovabili, l'ottimizzazione dell'utilizzo delle risorse naturali, le sfide del cambiamento climatico e le aumentate necessità di mobilità e comunicazione».

 Viene da sorridere allora, quando poche pagine dopo lo stesso quotidiano dedica una pagina alla crisi della raffinazione europea e il direttore generale della divisione Refining & marketing di Eni (divisione in perdita da 3 anni) ammette candidamente: «i cicli produttivi e le tecnologie utilizzate nei processi di raffinazione sono rimasti gli stessi per 35 anni, perché fino a poco tempo fa quel modo di raffinare aveva una marginalità. Oggi la situazione è radicalmente cambiata a causa del crollo dei consumi. Del costo in crescita del brent, dell’annullamento del differenziale tra greggi leggeri e pesanti, della concorrenza dei paesi emergenti».

E adesso che non è più possibile guadagnare facile (alle spalle di paesi un tempo in via di sviluppo ed ora emergenti)? Adesso per far fronte a «perdite annue superiori al mezzo miliardo di euro» Eni affianca la flessibilità e riduzione delle produzioni agli investimenti in innovazione e ricerca, che hanno permesso ad esempio di arrivare nell’impianto di Sannazzaro a scarti di processo al 3 % a fronte di un precedente 20-23% (a dimostrazione che le crisi possono davvero essere delle opportunità! ndr)».

 «Occorre investire nuove e maggiori risorse in prodotti innovativi e in processi ecosostenibili, da mettere a disposizione delle imprese che vorranno sviluppare programmi di ricerca in questi campi – prosegue Daniele Kraus - Occorre migliorare modalità e tipo di incentivi sia a livello europeo che nazionale. Occorre aumentare le spese in R&S del 10% a livello europeo e tutti i Paesi dovranno porsi l'obiettivo di investire il 3% del Pil in ricerca.

Dovremo continuare a investire per distretti industriali sempre più competitivi, in grado di creare network di innovazione che coinvolgano imprese, università, centri di ricerca e di servizi tecnologici. I centri dedicati alla conoscenza industriale sono concentrati nelle aree metropolitane. Sarà necessario creare reti d'impresa per trasferire queste conoscenze in modo coordinato».

 Le crisi come occasione per una riconversione ecologica dell’economia, fatta di efficienza e risparmio di flussi di energia e flussi di materia: «Più produttività ed efficienza nell'impiego delle risorse, unite a una diffusione del riutilizzo e al riciclo di materie prime, hanno già sostenuto negli anni la competitività dell'industria europea. C'è spazio per un miglioramento. L'industria europea necessita di una politica energetica a lungo termine per garantire prezzi competitivi, sicurezza negli approvvigionamenti, oltre a sviluppare pienamente il potenziale di efficienza energetica di cui molti settori dispongono», conclude ancora Kraus, che in un inciso di non poco conto sottolinea anche che «le nuove risorse dovranno arrivare anche da una tassazione delle transazioni finanziarie che, così come proposto dalla Commissione Ue, potrebbe generare risorse per 55 miliardi di euro l'anno».


 

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