[13/04/2012] News

Perché il "manifesto per il patrimonio storico-artistico della nazione" dei TQ riguarda anche l’ambientalismo italiano

Il 5 aprile la "generazione TQ" (cioè trenta-quarantenni) ha pubblicato sul suo sito un manifesto* in dieci punti "Sul patrimonio storico-artistico e archeologico" subito ripreso da "la Repubblica" e commentato con calda partecipazione da Salvatore Settis. Questo documento segue di poche settimane un appello sugli stessi argomenti e con molti punti in comune pubblicato dal "Sole 24 Ore" ma più breve, più ambiguo e orientato in direzione molto diversa. Se infatti l'appello degli intellettuali "confindustriali" riconosceva l'importanza e la centralità del patrimonio storico e artistico e di una sua seria tutela alla fine faceva tuttavia riemergere un'impostazione sostanzialmente economicistica, una visione cioè dei beni culturali anzitutto come opportunità di crescita economica da demandare in gran parte all'iniziativa di soggetti privati. Ill manifesto di TQ va invece in direzione dichiaratamente opposta, fino a respingere la stessa nozione di beni culturali, portatrice di una visione tecnicistica e venale di opere d'arte, monumenti, paesaggio, testimonianze del passato.

I due manifesti, pur così opposti nel metodo, segnalano entrambi un mutamento di clima. Dopo anni di indifferenza diffusa, o meglio di rapacità e di trascuratezza da un lato e di passiva rassegnazione dall'altro, si torna a discutere appassionatamente di arte, di paesaggio, di storia come fattori decisivi della vita del paese.

Quel che colpisce di più in questo contesto non sono le ambigue (e anche un po' confuse) petizioni di principio di area confindustriale - che comunque non sono da sottovalutare - bensì la secchezza e l'audacia delle rivendicazioni dei TQ. In pieno clima neoliberista e cinque lustri dopo le teorizzazioni di De Michelis sui "giacimenti culturali" i trenta-quarantenni rivendicano il valore di patrimonio collettivo nazionale delle opere d'arte, dei paesaggi, dei centri storici, dei monumenti, dei siti archeologici. Un patrimonio, oltretutto, che non serve a tirar su quattrini ma principalmente a far crescere l'intera comunità nazionale e che in tale veste va tutelato a beneficio di tutti, in modo rigoroso, facendo ricorso a veri esperti, non decentrando all'infinito né tantomeno privatizzando la sua gestione. Anche il manifesto dei TQ contiene delle forzature (un centralismo forse troppo esacerbato) e delle petizioni pro domo sua (la rivendicazione di competenze agli storici dell'arte), ma il suo impianto generale, espresso soprattutto nei primi cinque articoli, è di grande valore politico perché invoca una forte visione a base civica, pedagogica e comunitaria dei beni monumentali, storici e artistici.

Sarebbe sbagliato quindi considerare questo documento come un testo settoriale, limitato nell'ispirazione come nelle finalità. Esso parla al contrario a molti altri soggetti, e in qualche passo lo fa anche esplicitamente come quando afferma che «Il patrimonio di proprietà pubblica deve essere mantenuto con denaro pubblico: esattamente come le scuole o gli ospedali pubblici». Esso è a mio avviso in grado di parlare anche - e forse anche soprattutto - all'ambientalismo italiano perché basterebbe sostituire pochi termini per avere un analogo «manifesto del patrimonio ambientale nazionale» del tutto plausibile tecnicamente e in gran parte condivisibile politicamente.

Per verificare quanto l'ispirazione del manifesto TQ  e in special modo la sua prima parte si attaglino alle questioni ambientali può essere utile gettare uno sguardo storico ai fondamenti dell'ambientalismo e delle politiche ambientali moderne.

Uno dei primissimi eventi in ordine cronologico e uno dei più importanti in assoluto a segnare la vicenda dell'ambientalismo moderno è stata senz'altro l'istituzione, nel 1872, del parco nazionale statunitense di Yellowstone, la prima grande riserva naturale del mondo. Gli studiosi ci hanno più volte raccontato come la sua nascita sia stata determinata da una serie di aspettative e di calcoli cui non sono state del tutto estranee delle preoccupazioni squisitamente economiche, ma essa fu legittimata davanti al Congresso mediante una solenne petizione di principio che così individuava il valore patrimoniale, nazionale e collettivo del parco: «Be it enacted by the Senate and House of Representatives of the United States of America in Congress assembled that the tract of land in the Territories of Montana and Wyoming [...] is hereby reserved and withdrawn from settlement, occupancy, or sale under the laws of the United States, and dedicated and set apart as a public park or pleasuring-ground for the benefit and enjoyment of the people».

L'atto di nascita dell'attuale rete mondiale delle aree protette e il suo principio ancora dominante è insomma una dichiarazione di attribuzione di un'area al patrimonio inalienabile della collettività, a beneficio suo e delle generazioni future con la promessa di una cura pubblica, collettiva di tale patrimonio.

Lo stesso ambientalismo europeo, d'altra parte, e in special modo quello italiano, nasce alla fine dell'Ottocento connettendo intimamente bellezze e monumenti naturali, paesaggio, opere d'arte e testimonianze storiche all'interno di una più ampia idea di patrimonio collettivo, che la collettività tutela per il proprio benessere e per la propria elevazione spirituale attraverso gli organi statali preposti e attraverso una spesa pubblica adeguata. In Italia come nel resto d'Europa e del pianeta i mondi dell'arte e della storia da un lato e della natura dall'altro tenderanno poi a separarsi dopo la Seconda guerra mondiale, ma in modo non sempre giustificato e con qualche residua ma importante connessione. In Italia saranno soprattutto l'articolo 9 della costituzione e l'operato di Italia Nostra a tenere in qualche modo collegati quei due mondi sotto il segno della patrimonialità collettiva.

Quando i TQ ci ricordano che bisogna «affermare con forza la funzione civile e costituzionale del patrimonio», quando sostengono con altrettanta energia che «il patrimonio storico e artistico della nazione non è il petrolio d'Italia», quando dicono che esso «deve essere mantenuto con denaro pubblico: esattamente come le scuole o gli ospedali pubblici», quando rivendicano che «il patrimonio appartiene alla nazione italiana (e in un senso più lato esso è un bene comune all'intera umanità), e anzi la rappresenta e la struttura non meno della lingua», quando pretendono che esso debba «rimanere affidato ad una rete di tutela che obbedisca alla Costituzione, alla legge, alla scienza e alla coscienza, e non può cadere nella disponibilità delle autorità politiche che decidono a maggioranza» essi stanno insomma affermando dei principi che si applicano perfettamente al paesaggio e all'ambiente naturale e soprattutto a quelle porzioni particolarmente pregiate che sono costituite dalle nostre aree protette.

Il loro richiamo consapevolmente e radicalmente in controtendenza può costituire un prezioso antidoto alla pericolosa tendenza - che si fa sempre più strada anche nel campo delle aree protette - ad applicare all'ambiente la ricetta "mineraria" di demichelisiana memoria. Una ricetta che non solo mina alla base dal punto di vista concettuale i fondamenti della protezione della natura così come si è affermata nell'ultimo secolo e mezzo, ma è finalizzata in buona sostanza a ridurre anche l'ambiente, tutto l'ambiente a pura merce, in linea con le voraci e devastanti pratiche del neoliberismo globale.

* [il manifesto TQ è all'indirizzo www.generazionetq.org/2012/04/04/manifesto-tq5-sul-patrimonio-storico-artistico-e-archeologico/]

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