[03/04/2012] News

Alcune specie di coralli sono in grado di resistere all'acidificazione degli oceani

C'è anche l'italiano Paolo Montagna, che si occupa di clima e paleo-clima all'Istituto di scienze marine (Ismar) del Cnr di Bologna (e lavora anche per il Lamont Doherty earth observatory della Columbia University),  nel team di scienziati che ha pubblicato su  Nature Climate Change lo studio "Coral resilience to ocean acidification and global warming through pH up-regulation" che aumenta la speranza che alcune specie di coralli possano sopravvivere alla progressiva acidificazione degli oceani. Insieme a Malcolm McCulloch, Jim Falter e Julie Trotter, che lavorano per centri di ricerca australiani e francesi, Montagna spiega su  Nature Climate Change che «il rapido aumento dei livelli di CO2 atmosferica non solo sta causando il riscaldamento degli oceani, ma anche l'abbassamento del pH dell'acqua di mare» e  quindi la produzione di carbonato dalla quale dipendono molti organismi marini che producono scheletri o protezioni calcificati. 

I ricercatori hanno utilizzato  un isotopo di boro e dimostrato così che la sclerotizzazione dei coralli "up-regulate pH" nel loro  sito di calcificazione produce cambiamenti interni che «sono circa la metà di quelli in ambiente di acqua di mare». Il team definisce i coralli in  grado di resistere all'acidificazione "species-dependent pH-buffering capacity" è dice che sono in grado di  «aumentare così i tassi di calcificazione a poco costo energetico aggiuntivo». I ricercatori spiegano che «utilizzando un modello di regolazione del pH combinato con la calcificazione abiotica, dimostriamo che la cinetica avanzate a causa della calcificazione a temperature più elevate ha il potenziale per contrastare gli effetti dell'acidificazione degli oceani», ma avvertono anche che la "Up-regulation" del pH non è onnipresente tra gli organismi calcificanti; quelli a cui manca di questa capacità possono subire gravi perdite nella calcificazione quando  aumentano i livelli di CO2. La capacità di sovra-regolare il pH è quindi fondamentale per la resistenza delle calcificanti all'acidificazione degli oceani, anche se il destino dei coralli zooxantellati dipende in ultima analisi dalle capacità sia dei fotosimbionti che  del corallo e di accogliere e adattarsi alle temperature degli oceani in rapido aumento».

In parole povere, i quattro ricercatori  hanno identificato uno specifico meccanismo interno che potrebbe consentire ad alcune specie di coralli ed alle loro alghe simbionti di compensare gli effetti di un oceano più acido, fornendo così una speranza che le barriere possano sopravvivere ai livelli crescenti di acidificazione del mare. Infatti, alcuni organismi marini, che formano internamente scheletri di carbonato di calcio, hanno al loro interno un meccanismo che permette di  affrontare l'acidificazione. 

Malcolm McCulloch dell'Arc Centre of excellence for coral reef studies  dell'università della Western Australia sottolinea che «Diverse specie di corallo sembrano avere la capacità interna  di "tamponare" l'acidità crescente dell'acqua di mare e di costruire ancora scheletri solidi. Gli organismi marini che costituiscono scheletri di carbonato di calcio in genere si producono in una delle due forme, note come aragonite e calcite. La nostra ricerca suggerisce ampiamente che chi ha scheletri fatti di aragonite abbia un "coping mechanism", mentre quelli che seguono il percorso della calcite in genere stanno meno bene in condizioni più acide». Ma anche McCulloch resta preoccupato: la ricerca afferma che «Le alghe coralline, la "colla" che mantiene attaccate insieme le barriere coralline, sembrano essere vulnerabili ai crescenti livelli di acidificazione». Un'altra preoccupazione viene da una vasta classe di plancton, una delle basi della catena alimentare marina, che è altrettanto vulnerabile all'acidificazione.

McCulloch sottolinea però che il riscaldamento degli oceani potrebbe anche far aumentare i livelli  di crescita dei coralli, specialmente per i coralli che ora vivono in acque più fredde, «Tuttavia, un grande problema è quello di vedere se i coralli possono adattarsi al tasso attuale del global warming. Questo è fondamentale perché, se i coralli si sbiancano con l'arrivo improvviso di acqua di mare calda e perdono le alghe simbiotiche che costituiscono la  loro principale fonte di energia,  continueranno a morire. E' un quadro più complicato, ma in generale significa che ci saranno vincitori e vinti negli oceani  mentre la loro  chimica viene modificata dalle attività umane, questo potrebbe avere l'effetto di alterare gli ecosistemi oceanici più importanti dai quali dipendiamo  sia noi che gran parte della vita marina». 

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