[27/03/2012] News

La partita ecologica nella Corea del Nord

Qualcuno sostiene che si tratta solo di una mossa nella complessa partita diplomatica e militare che la Corea del Nord sta giocando col mondo intero sulla questione atomica. La tempistica è, infatti, sospetta: la riunione è stata convocata a Pyongyang dal 7 al 9 marzo scorso, appena due settimane prima che a Seul, nella Corea del Sud, si tenesse il vertice mondiale sulla sicurezza nucleare. 

Ma è un fatto che quella organizzata nella capitale della Corea del Nord dal Centro di informazione su economia e nuove tecnologie di Pyongyang e dal Progetto di educazione ambientale attraverso i media di Pechino è la prima conferenza internazionale che si è tenuta nel paese comunista dopo il passaggio dei poteri al giovane e ancora misterioso Kim Jong Un, lo scorso mese di dicembre.

Al convegno, sponsorizzato anche dall'American Association for the Advancement of Science, la più grande associazione scientifica del mondo, hanno partecipato 85 esperti della Corea del Nord e 8 esperti stranieri per discutere del degrado ambientale del paese.

Un problema drammatico, sostengono gli esperti stranieri che hanno partecipato al convegno e osservato con i propri occhi l'erosione dei suoli, la desertificazione, l'inquinamento delle acque che, a detta degli stessi scienziati nordcoreani, caratterizza l'ambiente di uno dei paesi più isolati del mondo.

Un degrado iniziato con la guerra che, all'iniziò degli anni '50 del secolo scorso, oppose le "due Coree". Ampie estensioni forestali andarono distrutte dagli incendi durante il conflitto. Quando le armi tacquero, la Corea del Nord avviò un robusto progetto di riforestazione. Tanto che all'inizio degli anni '90 i due terzi del territorio del paese erano coperti da foreste. Tra l'altro fu recuperata la preziosa riserva di biodiversità del Monte Myohyang.

Ma proprio negli anni '90 iniziò un lungo ciclo di siccità e di inondazioni che ha causato sia vaste e tragiche carestie, sia una profonda erosione dei suoli, sia una nuova e pesante deforestazione. Nel tentativo di procurarsi un po' di cibo e di recuperare nuovo suolo da coltivare, infatti, i contadini coreani hanno tagliato alberi e abbattuto foreste per un'estensione che, secondo il direttore dell'Istituto di Gestione delle Foreste di Pyongyang, Hoh Man Suk, è compresa tra 8,2 e 7,6 milioni di ettari.

Mal trattata, quest'area è stata interessata da una rapida deforestazione, da un profondo mutamento del clima locale e da un'invasione di insetti e pesti. Nel tentativo di aumentare la produttività del suolo i contadini lo hanno iperfertilizzato, soprattutto con urea, col risultato che oggi, sostengono gli esperti che lo hanno osservato, larghi territori sono totalmente privi di materia organica.

In queste condizioni è compromessa la stessa sicurezza alimentare. È per questo che le autorità coreane hanno deciso di proteggere, con una legge del 2009, due milioni di ettari di foresta, di creare una banca delle sementi e di inaugurare un piano decennale di riforestazione di metà del paese. Un piano gigantesco, che dovrà mobilitare risorse per l'equivalente di 46 miliardi di dollari.
D'altra parte anche da un punto di vista scientifico e tecnico l'impresa è "monumentale", come sottolinea Science, la rivista dell'American Association for the Advancement of Science. 

Probabilmente la Corea del Nord non ha tutte queste risorse e, in ogni caso, non ha la competenze per vincere la sfida. È per questo (o, almeno, è anche per questo) che ha chiesto aiuto alla vicina e amica Cina, ma anche a un nucleo di esperti occidentali. L'invito è stato accolto, anche per motivi politici (è pur sempre un'opportunità diplomatica) dalla comunità scientifica americana. E potrebbe essere finanziata dall'Unione Europea, che ha già investito 6 milioni di euro per aiutare la Corea del Nord a migliorare la propria sicurezza alimentare.

La partita ha una posta in gioco altissima: il recupero di un ambiente devastato e la sicurezza alimentare per milioni di coreani, oltre che la sicurezza nucleare in un'area strategica del mondo. Vale dunque la pena che la diplomazia ecologica tenti di giocarla. E di vincerla.

 

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