[23/03/2012] News

Impronta idrica: la sfida è la gestione della risorsa in agricoltura, ma non solo

Per ottenere un chilogrammo di bistecca sono necessari 15.000 litri di acqua

Una nuova ricerca recentemente pubblicata si è focalizzata sulla cosiddetta impronta idrica blu (cioè il volume di acqua dolce da noi prelevata dagli ecosistemi di acque interne e dalle falde) fornendoci ulteriori elementi conoscitivi sullo stato di salute delle straordinarie "arterie" del Pianeta, i nostri fiumi. Lo studio dal titolo "Global Monthly Water Scarcity: Blue Water Footprints versus Blue Water Availability" pubblicato sulla rivista scientifica "PLOS One" (e scaricabile dal sito della rivista  http://dx.plos.org/10.1371/journal.pone.0032688), da Arjen Hoekstra, Mesfin Mekonnen (entrambi autori dell'ottimo paper "Water Footprint of Humanity" apparso recentemente nei PNAS, i prestigiosi Proceedings della National Academy of Sciences degli Stati Uniti e di cui abbiamo già parlato nelle pegine di questa rubrica), Ashok Chapagain, Ruth Mathews e Brian Richter, ricercatori dell'Università olandese di Twente, del Water Footprint Network, della Nature Conservancy e del Wwf, hanno studiato i flussi idrici in 405 bacini idrografici, tra il 1996 e il 2005, bacini che coprono il 66% delle terre emerse. La loro analisi ha mostrato che 201 bacini fluviali su cui gravitano 2,67 miliardi di persone sperimentato una grave scarsità d'acqua per almeno un mese all'anno.

L'acqua dolce è una risorsa scarsa, la disponibilità annuale è limitata ma la domanda è in crescita. Ci sono molte situazioni critiche con fiumi stagionalmente sempre più in  secca e diminuzione dei livelli delle acque dei laghi e delle acque sotterranee.
La nuova valutazione della carenza idrica globale realizzata dallo studio  ha monitorato mese per mese la variabilità dei flussi di acqua e i flussi necessari per sostenere importanti funzioni ecologiche. Attraverso l'analisi dettagliata del consumo totale di acqua, del suo esaurimento e dei prelievi d'acqua, lo studio evidenzia come l'acqua utilizzata per le colture, per sostenere l'industria e per fornire acqua potabile,  in molti luoghi ha superato i livelli sostenibili.

Le conseguenze ecologiche ed economiche della crescente scarsità d'acqua  possono portare a forti declini  ecologici e socio-economici in alcuni dei bacini idrografici più usati al mondo con  il prosciugamento completo durante la stagione secca, la decimazione della biodiversità acquatica e un sostanziale danno economico come dimostrano i casi del Rio Grande (Rio Bravo), dell'Indo e dei  bacini idrografici del  Murray-Darling.

Tra i 405 fiumi analizzati è incluso anche il Po, bacino che a fronte di una grande disponibilità d'acqua subisce un prelievo intensivo particolarmente in estate a causa dell'agricoltura, come evidenziato anche dallo studio. Complessivamente il volume medio annuo prelevato ammonta a circa il 70% dei deflussi naturali. Tra gli effetti della scarsità idrica e dell'abbassamento della quota di fondo del Po, è il caso di ricordare il prosciugamento di una serie di ambienti umidi perifluviali  che perdono così le loro funzioni per la biodiversità e per i processi autodepurativi del fiume oltre che il problema della risalita di acqua salmastra.

Il 92% dell'impronta idrica totale dell'umanità è dovuta all'agricoltura e l'agricoltura irrigata consuma più acqua di città e industrie. L'impronta idrica per la produzione industriale è del  4.4% e quella domestica il 3.6%.

In Italia all'intera filiera agricola è attribuibile circa il 60% del consumo di acqua.

La gestione della risorsa idrica sostenibile in agricoltura è una delle sfide ambientali che la Politica Agricola Comune dell'Unione Europea (PAC) cerca di affrontare con importanti investimenti nel settore della riduzione dei consumi e della maggiore efficienza della gestione attraverso il sostegno a nuovi sistemi d'irrigazione. Con la riforma della PAC post 2013 oggi in discussione al Parlamento Europeo gli investimenti per un utilizzo più efficiente della risorsa idrica in agricoltura dovranno essere aumentati, assicurando maggiori risorse per gli investimenti rafforzando la dotazione finanziaria per lo sviluppo rurale (che costituisce il secondo pilastro della PAC).

Le città utilizzano più acqua rispetto alle coltivazioni a parità di superficie, ma è importante notare che l'agricoltura irrigua occupa quattro volte più terra delle città. Abbiamo perciò bisogno di aiutare gli agricoltori a realizzare metodi di irrigazione più efficienti e migliorare la produttività delle  aziende agricole il più presto possibile. Dobbiamo produrre più cibo con meno acqua. Nei luoghi con più mesi di scarsità d'acqua si sta probabilmente sperimentando una seria concorrenza per l'uso dell'acqua, e durante la siccità si avranno impatti economici in agricoltura, produzione di energia elettrica o di altri settori.

Questa valutazione fornisce una visione più dettagliata e completa della relazione tra l'impronta idrica - la quantità di acqua consumata per la produzione di beni e servizi - e i crescenti problemi di carenza idrica e le conseguenti perdite ambientali, sociali ed economiche. Attraverso la cooperazione tra Governi, investitori, imprese, agricoltori e organizzazioni ambientali, siamo in grado di intervenire direttamente per migliorare la sostenibilità, l'efficienza e l'equità dell'uso dell'acqua, assicurando che saremo in grado di nutrire la popolazione e sostenere ecosistemi in buona salute anche in futuro.
Il concetto di impronta idrica scaturisce dal concetto di acqua virtuale ovvero il volume di acqua necessaria per produrre un bene o un servizio in tutta la sua filiera.

Viviamo in un mondo di eccessi, ma con una nuova economia e un nuovo modo di produrre, potremmo vivere in un mondo di sufficienza, in cui ci sono abbastanza cibo, acqua ed energia per tutti. Gli studiosi internazionali dell'impronta idrica ci ricordano che per ottenere un chilogrammo di bistecca sono necessari 15.000 litri di acqua, con variazioni che dipendono dai sistemi di produzione, dalla composizione e dall'origine dell'alimentazione dei bovini. L'impronta idrica di un burger di soia di 150 grammi prodotto in Olanda è di circa 160 litri mentre un burger di carne dello stesso paese richiede circa 1.000 litri di acqua. Un chilo di pane ha un'impronta idrica di 1.600 litri mentre un litro di latte di  1.000 litri di acqua. Se vogliamo garantire un futuro alla vita sul pianeta e alle nostre economie, dobbiamo trasformare culture e mercati per ridurre il nostro impatto sulle risorse naturali e rientrare nei limiti che il nostro pianeta ci offre.

Le medie annuali possono mascherare ciò che sta realmente accadendo in un bacino. Visualizzare la scarsità d'acqua mese per mese  aiuterà la gestione dei flussi d'acqua in modo da soddisfare le esigenze sociali ed economiche e le esigenze ecologiche dei fiumi stessi.

Come ben sappiamo l'impatto della società umana sull'ambiente è determinato dal numero di persone che la Terra ospita, dal peso del loro stile di vita e dal peso delle tecnologie che utilizzano. Dal punto di vista matematico la relazione tra stile di vita e ambiente è quindi abbastanza semplice. Fu esposta alcune decine di anni fa da Paul Ehrlich della Stanford University e da allora è stata analizzata nel dettaglio in molte altre sedi. Il grande ecologo Paul Ehrlich con il noto esperto di energetica, Johm Holdren, ha elaborò la prima formulazione dell'equazione dell'impatto in un famoso lavoro apparso su "Science" nel 1971 (Ehrlich P. ed Holdren J., 1971, The Impact of Population Growth, Science, 171; 1212-17) e poi successivamente rivisto in altre pubblicazioni, fino ad essere stato ampiamente trattato in due volumi (scritti da Paul e Anne Ehrlich ed editi in italiano da Franco Muzzio con i seguenti titoli "Un pianeta non basta" e "Salvare il pianeta" rispettivamente nel 1991 e nel 1992):
La formulazione dell'equazione Ehrlich-Holdren è la seguente: I = P x A x T dove I sta per Impatto, P per Popolazione, A per "Affluence" (cioè stile di vita, livello di consumo) e T per Tecnologia.

Altrettanto semplici sono gli insegnamenti che se ne possono trarre. La riduzione dell'impatto globale degli individui sull'ambiente può avvenire solo in un numero limitato di modi: cambiando gli stili di vita, migliorando l'efficienza della tecnologia o riducendo il numero di individui sul pianeta.

Indubbiamente, la questione demografica è cruciale. La popolazione è uno dei fattori che "danno la misura" all'impatto dell'umanità sul pianeta. Un altro è rappresentato dalle aspettative e aspirazioni della crescente popolazione. Nel nucleo familiare di uno statunitense medio, l'impronta di carbonio è di circa 2,7 tonnellate di anidride carbonica (tCO2) pro capite. In quella di un indiano medio, è meno di un quinto di questa, sotto le 0,5 tCO2 pro capite. In India, l'impronta di carbonio media è di 1 tCO2 pro capite. La differenza è principalmente dovuta alla diversità dei livelli e modelli di consumo tra i due abitanti statunitense e indiano, poiché l'efficienza della tecnologia che fornisce beni e servizi è sostanzialmente la stessa.

Le grandi disparità tra aree geografiche per quanto concerne l'impronta procapite di carbonio sono quasi interamente ascrivibili ai modelli e livelli di consumo, cioè alle differenze di stili di vita.

Indubbiamente, a tutt'oggi le nazioni occidentali sono il "motore" del cambiamento climatico. Tra il 1950 e il 2000, gli Stati Uniti hanno prodotto 212 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, mentre l'India meno del 10% di tale ammontare. È chiaro quindi che i più ricchi del pianeta si stanno appropriando di più "spazio ambientale" di quanto spetta loro. Eppure, questo stile di vita è ciò a cui aspira il resto del mondo.

Si fa molto per migliorare l'efficienza e, in alcuni paesi, diminuzioni relative dell'intensità di carbonio della crescita sono evidenti. Ma si tratta di risultati raggiunti troppo lentamente e che, recentemente, in Cina hanno subito un'inversione di tendenza e questa è una delle ragioni per cui, in questo Paese, le emissioni di anidride carbonica hanno superato quelle degli Stati Uniti. Tra il 1970 e il 2004, a livello globale, le emissioni di gas serra sono cresciute dell'80% e potrebbero raddoppiare di nuovo entro il 2030.

In sintesi: ogni miglioramento nell'efficienza tecnologica viene semplicemente annichilito dall'ampiezza della crescita delle aspirazioni e dall'esplosione demografica.

Se a livello globale tutti conducessero una vita come quella dei cittadini statunitensi, entro la metà del secolo le emissioni globali annue di CO2 sarebbero di 125 miliardi di tonnellate, quasi 5 volte superiori al livello attuale. Tutto questo mentre le stime dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dicono che, entro il 2050, il mondo dovrà tagliare le emissioni globali di qualcosa come l'80% rispetto ai livelli del 1990, se si vuole sventare l'ipotesi di un "pericoloso cambiamento climatico di origine antropica".

Ciò significherebbe portare le emissioni globali al di sotto delle 5 miliardi di tonnellate/anno e ridurre l'impronta carbonica media ben al di sotto di 1 tonnellata pro capite, più bassa dell'attuale livello medio in India.

Un'impresa che impone senza ombra di dubbio una attenta analisi dei fondamenti degli stili di vita.

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