[08/03/2012] News

La Polonia pronta al veto sulle politiche climatiche dell’Ue

L'Unione europea si prepara ad un'altra bufera che rischia di far saltare la sua già fragile coesione e soprattutto  leadership politica sulle tematiche ambientali e climatiche: la  Polonia si è detta pronta ad porre il veto il 9 febbraio al summit Ue di Bruxelles dove dovrebbe essere approvato l'accordo per avviare la transizione verso un'economia low carbon entro il 2050. Il ministro dell'ambiente di Varsavia il 6 marzo ha scritto ai suoi colleghi dei Paesi membri dell'Ue invitandoli a schierarsi con le posizioni polacche, che restano immutabilmente eco-scettiche nonostante i cambiamenti di governo e le elezioni che hanno confermato al potere i "liberali" europeisti.

I ministri dell'Ambiente dell'Ue si ritroveranno per un importante Consiglio europeo che rischia di diventare storico per la ragione opposta a quella per la quale è stato convocato: l'approvazione della roadmap per il 2050 che delinea le tappe per le riduzioni delle emissioni di CO2 oltre il traguardo del  2020 e una serie di obiettivi politici. Le altre questioni sul tavolo del Consiglio dei ministri dell'ambiente sono i bassi prezzi del carbonio dell'European emissions Trading Scheme (Ets).

La Reuters cita fonti governative polacche che «hanno detto che la Polonia avrebbe posto il veto alle conclusioni del Consiglio Ambiente». Il veto avrebbe un pesantissimo significato politico in questo momento di crisi dell'Unione europea, anche se non avrà conseguenze legislative dirette. Ma una fonte del governo polacco ha detto alla Reuters: «non possiamo accettare tutto quel che, direttamente o indirettamente, causerebbero nel prossimo futuro obiettivi di riduzione delle emissioni più elevati». E un altro ha aggiunto: «la Polonia bloccherà sicuramente il testo proposto».

Varsavia spera di ricostituire quel "Patto di Varsavia" dei Paesi ex comunisti che pochi anni fa cercò di bloccare il pacchetti 20-20-20 dell'Ue, ma stavolta probabilmente l'Italia non farà parte del gruppo dei frenatori, come ci aveva abituato al tempo del governo Berlusconi/Prestigiacomo.   

Nella lettera ai suoi colleghi il ministro dell'Ambiente polacco Marcin Korolec (nella foto) contesta duramente le «proposte radicali» dell'Ue per sostenere il suo carbon market che sarebbe sceso a livelli di gran lunga inferiori a quelli necessari per sostenere gli investimenti low carbon. Korolec scrive: «non portano solo gravi rischi politici, ma minano anche la fiducia degli investitori nella stabilità della legislazione sul clima dell'Unione europea». Il vero problema è un altro: il fabbisogno di energia elettrica della Polonia è soddisfatto al 90% dal carbone e non ha mai voluto rinunciare a questa schiavitù, diventando fin dal 2004, anno della sua adesione all'Ue, una spina nel fianco delle politiche climatiche ed energetiche dell'Ue.

La Polonia sembra voler entrare in collisione con la presidenza danese dell'Ue - che ha tra le sue priorità proprio la lotta ai cambiamenti climatici - e con gli altri Stati membri dell'Ue. Le associazioni ambientaliste dicono che la Polonia è isolata e che non è riuscita a trovare nemmeno gli alleati est-europei che in passato si erano schierati con le sue posizioni eco-scettiche.

Secondo la Koalicja Klimatyczna, una coalizione di Ong ambientaliste  polacche,  il punto di vista del governo polacco non è quello della società  ed ha scritto al primo ministro Donald Tusk che il veto sarebbe «un grave errore politico. Gli studi dimostrano che oltre il 90% per cento dei polacchi riconoscono che il cambiamento climatico è causato dalle attività umane (...). La crescita verde e la decarbonizzazione dell'economia Ue possono aumentare la competitività, stimolare l'innovazione e offrire vantaggi significativi per la salute. Opporsi a questi obiettivi sensibili porterebbe a una "Europa a due velocità": qualcosa che la Polonia ha combattuto con tanta passione nel corso dei negoziati sul pacchetto fiscale Ue. Non c'è nessuna buona ragione per rifiutare la road map della Commissione. La protezione del clima potrebbe portare vantaggi significativi per la nostra società, l'economia e l'ambiente. Una transizione low carbon stimolerebbe lo sviluppo di tecnologie innovative, l'ammodernamento del nostro sistema energetico e la creazione di piccole e medie imprese che creano nuovi posti di lavoro. E' anche un'opportunità per migliorare la sicurezza energetica, così come per ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili dell'estero».

Ma Varsavia è convinta che un prezzo del carbonio più elevato danneggerà la sua economia, per questo chiede  di ottenere un surplus enorme delle emissioni rispetto a quelle previste dal Protocollo di Kyoto, un atteggiamento che irrita molto la virtuosa Danimarca, presidente di turno dell'Ue, e altri Paesi che dicono che l'atteggiamento polacco potrebbe minare l'integrità ambientale del processo di Kyoto ed aprire una breccia di tipo "canadese" nella compattezza con la quale l'Europa è riuscita a presentarsi alla Cop17 dell'United nations framework convention on climate change (Unfccc) di Durban del dicembre 2011. Proprio nel 2011 la Polonia aveva approfittato del suo semestre di presidenza di turno dell'Ue per bloccare il tentativo dell'Ue di proporre un taglio del 25/30% delle emissioni a Durban.

Marcin nella sua lettera ricorda ai ministri dell'Ambiente che gli obiettivi approvati dall'Ue scadono nel 2020 e che la soluzione più logica sarebbe che tutte le previsioni di taglio delle emissioni di CO2 fossero cose di esclusivo interesse dell'Unfcc. Ma la posizione di Varsavia preoccupa molto Jo Leinen, il socialdemocratico tedesco ex presidente della commissione ambiente del Parlamento europeo: «la Polonia è un grande Paese e può fornire una scusa agli altri a seguirla, La esorto a riconoscere le possibilità della road map per  procedere verso un'Europa più competitiva e un'economia low carbon».

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