[05/03/2012] News

Cooperazione contro disuguaglianza, nel mercato del lavoro come nella società

Il valore della cooperazione torna ad essere esaltato non solo come virtù sociale, ma anche nell'ambito del management e nella definizione delle strategie per accrescere la competitività economica. Uno studio dell'università di Harvard - indirizzato a ‹‹reinventare l'America›› - convoglia in un pamphlet dell'Harvard business review le considerazioni in merito di un nutrito gruppo di esperti riunito per deliberare sull'argomento, poi rielaborato dai professori dell'università statunitense.

Come riporta oggi il Corriere della Sera, lo stesso studio è stato poi ripreso e riadattato al contesto italiano nell'ambito dell'edizione nostrana dell'Harvard business review: il risultato, secondo quanto afferma il direttore della stessa, Enrico Sassoon, punta ad un ‹‹nuovo umanesimo economico ed imprenditoriale››.

Il quotidiano di via Solferino continua osservando che ‹‹la competitività non è più solo capacità di fare utili: deve anche sapere accrescere il benessere sociale allargato››, citando il professore di relazioni industriali Thomas Kochan, per il quale ‹‹quel che è buono per le singole imprese americane non è più automaticamente buono per il business a livello nazionale, per i lavoratori americani o per l'economia››; si scopre così una volta di più la natura fallace del mito per cui il solo e completamente sregolato perseguimento del proprio, egoista, interesse da parte dei singoli non conduce automaticamente a migliorare il benessere della collettività.

Da qui l'importanza della guida della politica, ora ‹‹divisa e inefficace››, del dialogo e della contrattazione tra imprenditori e parti sociali, della formazione, dell'educazione e della qualità dei lavoratori: tutti fattori che stanno rapidamente riconquistando terreno nei confronti della volontà delocalizzatrice di molte imprese, tentate dal minore costo del lavoro in Paesi fuori dal cerchio di quelli già economicamente "avanzati".

Si tratta dello stesso fenomeno, dopo tutto, che sta facendo le fortune di Obama, col presidente Usa che riguadagna i favori dell'elettorato incentivando e plaudendo il ritorno di quei tanti figliol prodighi che a coltivare l'industria nella madrepatria avevano preferito emigrare in più lontani e compiacenti lidi. E, per inciso, il costo della non-cooperazione lo si riesce bene ad intuire anche all'interno dei nostri italici confini, reso particolarmente evidente in questi giorni a causa delle proteste e degli scontri - concettuali ma anche, purtroppo, fisici - tra i No-Tav e le istituzioni.

D'altra parte, il valore della cooperazione procede ben oltre i confini della mera produttività economica, fors'anche quando ci si limiti a parlare di lavoro: sfocia inderogabilmente all'interno di quei contesti nei quali il lavoro ed il suo portatore (ovvero, l'uomo) vivono, e tra i quali l'ambiente sociale e l'ecosistema giocoforza occupano un ruolo di primo piano. Per prendere a prestito dal pensiero del grande economista ed antropologo Karl Polanyi, come non è possibile pensare ad un'economia di mercato autoregolata, e quindi totalmente slegata dal contesto sociale (ed ecologico) dal quale trae linfa vitale, non è neanche lecito assimilare il lavoro alle altre merci che vengono scambiate sul mercato.

Infatti, come Polanyi scrive ne "La grande trasformazione", ‹‹la presunta merce "forza-lavoro" non può infatti essere fatta circolare, usata indiscriminatamente e neanche lasciata priva di impiego, senza influire anche sull'individuo umano che risulta essere il portatore di questa merce particolare. Nel disporre della forza-lavoro di un uomo, il sistema disporrebbe tra l'altro dell'entità fisica, psicologica e morale "uomo" che si collega a questa etichetta››.

Lo storico britannico Tony Judt, recentemente scomparso, scriveva che ‹‹per trent'anni abbiamo trasformato in virtù il perseguimento dell'interesse materiale personale, anzi, ormai questo è l'unico scopo collettivo che ancora ci rimane››. Ma, se è vero che ‹‹sappiamo da sempre che la disuguaglianza non è solo fastidiosa moralmente: è inefficiente›› e che ‹‹l'egoismo è scomodo perfino per gli egoisti››, spingere i cittadini e la politica, una nuova politica,  a riprendere le redini della società - altrimenti ormai perse - può essere dunque la via maestra per porre un freno al dilagare di queste disuguaglianze, e progredire verso questa "efficienza", che sia anche un'efficienza giusta. Per far questo, è ovvio, proprio il principio della collaborazione deve essere sbandierato con forza come visibilissimo vessillo: e cominciare sul serio a farlo sventolare (senza fermarsi alle dichiarazioni d'intenti) a partire dal campo del lavoro, sarebbe un inizio niente male.

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