[27/02/2012] News

L'economia Usa riparte... ma esattamente da dove si era interrotta

Ci eravamo detti che, dopo questa crisi, il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Perché questa crisi era sistemica e non se ne poteva uscire ripercorrendo i binari che ci avevano portato al deragliamento. Oggi noi restiamo ancora di questa idea, ma dagli Usa arrivano al momento informazioni contrastanti. Se è vero, come ormai riconoscono tutti i più importanti analisti, che è proprio lì che l'economia si sta riprendendo.

Rampini su Affari&Finanza dice senza mezzi termini che l'America ha riacceso i motori avendo rilanciato l'industria. "La locomotiva Usa" ha ripreso il suo cammino, che porterà anche Obama alla riconferma alla Casa Bianca. Se ad aver fatto risalire la china al paese a stelle e strisce fosse stata davvero la "green economy" invocata da Obama alle scorse elezioni, potremmo oggi rivendicare questo risultato. Ma come è noto quasi nulla di quella strategia, per un motivo o per un altro, è stata attuata; tant'è che il presidente l'ha riproposta quasi per intero come programma per il possibile secondo mandato. Ma più di tutto sono le conclusioni di Rampini, che riassumono in sé il motivo per cui gli Usa non hanno imparato alcuna lezione: la Grande Contrazione non è stata una recessione "normale", ha lasciato tanti problemi da risolvere: per esempio i debiti privati che pesano tuttora sulle famiglie americane, le inducono al risparmio, e a mantenere a un livello moderato i consumi».

Eccoci al dunque. I consumi sono solo "moderati", serve un'ulteriore impennata. Servirebbero più soldi da dare agli americani perché questi tornino a consumare come prima e più di prima. Che poi significa acquistare per acquistare, visto che ormai non consuma più niente nessuno. Almeno in occidente, meno che mai negli Usa. Prima ancora delle - da noi sempre - auspicate regole all'economia finanziaria; del riappropriarsi del tempo e della democrazia; del dopo Monti - per venire alle cose italiane - è qui che proprio non si scalfisce il modello economico imperante. La dittatura della crescita non solo non è stata scalfita dalla crisi, ma è diventata più che mai l'orizzonte verso cui tendere. Crescita quale che sia, purché sia.

L'unica vera novità, ma è difficile dire se sta già dando dei frutti, è che come previsto ha fatto capolino il protezionismo un po' ovunque. Il buy american sta prendendo piede sempre più nella forma del riportare in patria le fabbriche per dare lavoro e prodotti in un modo che ricorda da vicino forme di autarchia ormai dimenticate. Che pure hanno a che fare, lo dicevamo in tempi non sospetti, con la sostenibilità ambientale e sociale. La chiusura delle filiere nel più breve raggio possibile abbatte costi e riduce le emissioni. Meno le merci viaggiano meglio è, ma non è questo l'obiettivo. O almeno non è la priorità. Non che ci sia niente di male, anche se bisogna stabilire a livello mondiale se dunque è questa la scelta che si vuole fare, e che sarebbe un cambio di direzione forte rispetto alla globalizzazione dell'economia finora perpetrata.  Ciononostante il fine è comunque quello di aumentare i consumi interni. La stessa cosa cerca di fare la Cina.

Risparmiare sembra diventato un tabù, altro che articolo 18, chi risparmia è davvero un appestato. Il brutto è che questo significa che pure chi risparmia materia ed energia non rientra nello schema. In questo contesto non ci sono margini di sostenibilità non effimera. Se l'idea è quella che l'unica strada non solo per uscire dalla crisi ma proprio come modello di sviluppo sia l'acquistismo e l'obsolescenza programmata dei prodotti nulla importa se si fabbricano nello stesso paese dove si vendono...

Il tema è la quantità di rifiuti che continuiamo e continueremo a produrre riducendo all'osso le risorse di energia e materia, inquinando il pianeta. Un problema economico e culturale. Non ha avuto molta eco una storia/notizia che invece è, dal nostro punto di vista, paradigmatica. Alcuni giorni fa a Londra l'artista concettuale cinese Song Dong ha raggruppato oltre diecimila "cose" di casa per permettere alla madre Zhao Xiang Yuan di elaborare il lutto per la morte del padre. Oggetti mai gettati via: tubetti di dentifricio, flaconi di medicine, giocattoli, scarpe, pile di assi di legno e gabbie di uccelli, classificati scientificamente come in un vecchio museo archeologico. Il concetto ispiratore - si legge sull'ansa -  è 'waste not', "non sprecare": una riflessione sulla frugalità della Cina ma anche una necessità, la parsimonia, vitale nella Cina delle riforme di Mao Tse Tung. 

La madre di Song, nata in una famiglia ricca che aveva perso tutto con il comunismo, è morta nel 2009: per quasi 60 anni aveva vissuto a Pechino con il marito e due figli in una piccola casa piena di oggetti usati, riciclati e poi indiscriminatamente accumulati. Ancor prima della nascita di Song sua madre aveva cominciato a praticare il 'waste not', uno slogan dei primi anni del comunismo che invitava a conservare ogni oggetto della casa che avrebbe potuto essere riutilizzato in futuro. Oggi probabilmente gli oggetti accumulati in 50 anni da una famiglia non starebbero dentro nemmeno un grattacielo. E' questo il modello che inseguiamo? Non solo, se le risorse fossero infinite, andrebbe bene ugualmente? La risposta non può essere che no.

Le risorse si andranno quindi esaurendo e, anche dentro questo pessimo contesto - con la speranza ovviamente che qualcosa cambi e al più presto - il ruolo dei riciclatori di materiali è e sarà di vitale importanza. La Commissione Ue lo ha ribadito giusto la scorsa settimana presentando l'aggiornamento della comunicazione dello scorso anno e questo potrebbe essere il cavallo di battaglia del Vecchio Continente. Come si vede la battaglia oltre che economico-ecologica è anche culturale. 

Torna all'archivio