[27/02/2012] News

Il nuovo Muro da abbattere? Contrappone il turbocapitalismo alla democrazia

La storia non finisce con l'abbattimento di un muro, fisico o ideologico che sia. Forse perché una volta crollato il primo, dopo un certo tratto il cammino si ferma di nuovo davanti ad un secondo muro, e poi a un terzo, seguito da un quarto, da un quinto e così via. La storia non si ferma davanti ad un muro, già in macerie o ancora solido che sia, ma nutre la sua corsa tramite un continuo volersi disfare dell'ingombro di quei mattoni che ha pian piano accumulato e impilato nello scorrere del tempo. Senza questa volontà e spinta propulsiva, che procede per opposti (ai due lati di un muro, evidentemente), paradossi e sviste, non rimarrebbe altro a caricare la molla del progresso.

Il più famoso - magari perché ancora fresco - tra i necrologi della storia è quello steso dal politologo statunitense Francis Fukuyama, che ha come riflesso la caduta del Muro di Berlino, nel 1989. Dopo quella data, superata (?) l'era delle dittature e sbiadita l'ombra del comunismo reale, doveva iniziare la corsa libera del capitalismo liberista come fonte di progresso indefinito per l'umanità, accompagnato dal rispetto dei diritti umani e dall'avanzare della democrazia.

A venti anni e più di distanza, ci troviamo in mano un capitalismo ben pasciuto, molto liberista ma molto poco liberale. Nel mentre tanti altri muri, alcuni più piccoli ed altri più grandi sono già sorti e stati abbattuti, ma più spesso svicolati. E questo percorso tortuoso - costellato di quelli crisi economiche (e sociali, ed ecologiche) insite in un capitalismo votato alla crescita indefinita, al marketing e non ultima alla finanza sregolata -  ha infine lasciato un po' per strada uno dei due maestosi vittoriosi usciti dall'abbattimento del grande muro dell'89: la democrazia, da essere inquadrata come padrone e temperatrice del capitalismo, ha prima lasciato a questo il guinzaglio troppo morbido, per poi vederselo strappare via di mano. Ora il problema sta nel recuperarlo, questo guinzaglio.

«Apriamo gli occhi - scrive oggi su l'Unità Alfredo Reichlin. Con la globalizzazione e la finanziarizzazione dell'economia l'oligarchia dominante ha costruito un potere immenso che è molto più grande della potenza dei singoli Stati europei. E ciò è talmente evidente che anche i Capi di Stato europei attendono ansiosi ogni giorno di vedere quale sarà lo spread, cioè quale sarà la "libbra di carne" che questi nuovi Mercanti di Venezia chiedono alle nostre imprese, ai nostri salari, alle nostre pensioni per pagare alle loro rendite. A un certo punto qualcuno dovrà pur dire che questi sono davvero strani mercati non sottoposti come tutti i mercati a regole certe e aperte a tutti. Sono giganteschi poteri con nome e cognome che non a caso il nostro premier è andato a trovare a New York o alla City per pregarli di prestarci un po' di soldi (e, nelle condizioni date, ha fatto benissimo)».

Nelle condizioni date, appunto, che però rimangono il nucleo da cambiare. Ci troviamo nelle condizioni di poter giocare solo al gioco imposto dai mercati finanziari, in attesa di poter impostare un gioco diverso. Senza esplicitare questa premessa fondamentale, però, tutto il sudore e il sangue buttato nel campo da gioco oggi imposto perde di senso. La democrazia, la politica, non può rinunciare ad esprimere questi suoi limiti, magari per perdere nuove fette di elettori, sempre più stanchi, confusi e sfiduciati. Una volta portata alla luce del sole, questa verità può trasformarsi in forza, associata alla volontà di cambiare, raccogliendo forze altrimenti destinate a disperdersi all'interno della società civile.

Solo sciolto l'inganno, oltre a parare i colpi della crisi, si potrà allora ricominciare sul serio a costruire e progettare il prossimo futuro, a scendere dall'etere sogghignante dei mercati finanziari impazziti per ridiscendere sul più solido terreno dell'economia e della società reali. Il quale da una parte si condensa nell'aumento della disuguaglianza sociale e nella ghettizzazione dei cosiddetti "consumatori difettosi", dall'altra si presenta nell'inesorabile diminuzione del capitale naturale su cui la nostra economia retta su sprechi ed acquistismo può far affidamento. Come gli altri, anche questo nuovo muro, che ci siamo costruiti mattone dopo mattone, potrà essere abbattuto e superato, sempre in attesa del prossimo; ma sarà bene cominciare a pensarci sul serio a questa necessità, perché altrimenti l'urto con questo, di muro, sarà molto, molto doloroso.

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