[21/02/2012] News

E i nostri figli ci domandano: come uscirete dalla crisi?

Giusto ieri una nostra collega è stata messa in difficoltà dal figlio di dodici anni con una domanda che una volta avremmo definito da un milione di dollari: «Mamma, ma perché se mancano soldi non si stampano?». Leggere dunque oggi in prima pagina su Repubblica che, secondo una nuova dottrina americana nata in università "di sinistra" che porta il nome di Modern Monetary Theory, stia proprio nell'aumentare la spesa pubblica e il debito con la liquidità delle banche centrali la soluzione alla crisi, crea qualche imbarazzo.

Anche perché manderebbe alle ortiche un'altra fin qui evidenza emersa dalla crisi e condivisa trasversalmente un po' da tutti gli analisti, ovvero che abbiamo fin qui vissuto oltre le nostre reali possibilità. Sembrerebbe quasi l'uovo di colombo, ma lo diciamo da non economisti, quindi ci limitiamo solo a prenderne criticamente atto sottolineando invece in modo più convinto che anche a noi pare evidente che la crisi non si curi con l'austerity.

Non almeno con quella che ci viene imposta dalla Troika. Perché non si capisce in che modo questa possa far ripartire l'economia. Sapendo bene che pur aspirando a un modello di sviluppo diverso da quello attuale, senza rimettere il treno sui binari, non si può dare al treno una nuova destinazione. E questo al netto del salvataggio - se così sarà e francamente lo speriamo grazie al nuovo accordo per il prestito di altri 130 miliardi di euro - della Grecia.

Ma ammesso poi che si risolva in un modo o nell'altro la crisi economica-finanziaria, resta comunque da sciogliere il nodo del come far sì che persino una nuova ondata di liquidità, che di certo farebbe spazzare via anche il credit crunch che sta ammorbando le imprese anche in Italia, possa ricreare le condizioni per un welfare più sostenibile e un'economia meno depauperatrice di risorse o beni comuni che dir si voglia.

Sempre Repubblica oggi avvisa i lettori dei pericoli delle macchine "padrone della nostra vita", sottolineando quanto l'economia virtuale da esse generata si stia mangiando posti di lavoro. Ma qui il punto vero a noi pare un altro, marginalmente toccato nel pezzo firmato da Maurizio Ricci. Quello che fa paura di questa riflessione «oggi la finanza funziona via computer. Il terminale registra i prezzi che circolano sul server compra e vende, quando il prezzo corrisponde a quello che, secondo le equazioni che ha incorporate, può dare profitto (...). Tutto nel giro di pochi secondi, troppo veloce per l'essere umano», non è tanto che l'uomo in quanto lavoratore è tagliato fuori.

Quello che spaventa è che questa macchinette spostano milioni di euro in nano secondi e spostano così i destini di pezzi di umanità. E lo fanno così velocemente che gli Stati, lo abbiamo visto e lo vediamo continuamente, quando cercano di capire come fronteggiare questa deriva speculativa hanno tempi al confronto biblici.

Questo è uno degli imperativi post crisi: riprendersi il tempo. Come scrive Giorgio Ruffolo oggi sul Manifesto «Il capitalismo è cambiato. Ha fatto il passo che il proletariato non ha potuto realizzare: proletari di tutto il mondo unitevi. Si è mondializzato. Con la globalizzazione e la finanziarizzazione (la mercatizzazione dello spazio e del tempo) ha costruito un sistema di potere unificato (il mercato finanziario mondiale) che si impone a quello degli Stati. E ancor più: al potere delle classi lavoratrici».

Ecco, dobbiamo ridurre quella mercatizzazione dello spazio e del tempo. In più dobbiamo togliere ciò che il mercato non può tutelare, come le commodity alimentari. Perché o la democrazia impone i suoi tempi e circoscrive i luoghi della finanza (appunto le commodity); o il mondo va verso forme ademocratiche governate dalla finanza. E per raggiungere l'obiettivo di ridare quei tempi, e circoscrivere quegli spazi - visto che il livello è globale - a noi l'unica possibilità sembra ancora un Consiglio di Sicurezza dell'Onu per un governo mondiale sulle materie prime e sull'energia. Solo così si può superare il capitalismo, citando sempre Ruffolo, mentre ricorda la necessità di una rivoluzione culturale che «promuova lo sviluppo dell'essere piuttosto che la crescita dell'avere».

Che si tratti, infatti, dell'essere o avere mutuato da un socialista/umanista come Erich Fromm o dell'austerità del comunismo atipico berlingueriano che metteva l'uomo al centro di un uso parsimonioso delle risorse e che prevedeva una redistribuzione della ricchezza (che poi è la vera ed unica riforma possibile del capitalismo impazzito), sembra comunque che le "nuove" ricette per cambiare la società non siano monetarie o finanziarie, ma abbiano radici antiche che possono germinare in nuove piante e non nella disperazione della Grecia assassinata dalla cattiva politica e dalla finanza senza cuore e pietà, per gli uomini e le risorse del pianeta.

Se questa analisi si farà come vorremmo da sinistra, e come dice sempre Ruffolo, certamente potrebbe rappresentare quella cornice dentro la quale ritrovarci tutti e proseguire verso quell'orizzonte comune che dovrebbe essere la sostenibilità ambientale e sociale. Prima o poi ce lo chiederanno i nostri figli piccoli (intesi come i figli di questa generazione) e già lo fanno quelli appena un po' più grandi, sarà il caso di avere una risposta un po' più pronta di quella sulla possibilità di stampare moneta...

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