[14/02/2012] News

La "mano invisibile" che aleggia sulla scienza politica europea è un falso

Non è per uno scherzo dettato dal fato che l'analisi politica ed economica che invade ogni giorno i nostri schermi, i nostri giornali, le nostre case, sia ridotta in massima parte ad un'orgia di numeri, piuttosto che ad una riflessione critica, in cui i numeri rimangono confinati al pur fondamentale ruolo di strumento d'indagine. Pitagora, per il quale "tutto è numero", pur non gioisce nella tomba per tale moderno paradosso; l'apoteosi della razionalità non si è infatti condensata in filosofia, quanto in istupidimento della ragione stessa.

L'aridità dei soli numeri, nella teoria economica neoliberista, ha innescato una sorta di retroazione positiva: a partire da una tradizione che si fa risalire ad Adam Smith, la varietà dell'essere umano viene sintetizzata nella natura dell'homo oeconomicus, in modo da potersi incastrare al meglio all'interno degli astratti modelli economici. A loro volta, tali modelli sono applicabili solamente nell'unico ecosistema dove l'homo oeconomicus sopravvive, quello dei fogli di carta sui quali i modelli economici sono tracciati. L'ostinazione a voler proseguire su questa via ha portato all'esasperazione oggi dominante, che non si esprime solo all'interno di dibattiti accademici, ma anzi influisce in modo decisivo sulla politica economica delle istituzioni democratiche, e dunque sulla vita di ognuno di noi.

Sulle pagine de il Manifesto, Pierluigi Sullo definisce oggi i politici-tecnici dell'ambito come ‹‹quel che i francesi definiscono idiots savants: conoscono tutto del mondo astratto degli indici di borsa e del commercio di denaro, della crescita della produzione industriale e delle aspettative dei consumatori, e si tratta sempre di numeri e di percentuali, ma non sanno nulla, e non si curano, del magma meraviglioso e terribile entusiasmante e deprimente, complicato e molteplice che è il vivere in società, il vivere e basta, dove contano i legami, gli affetti, il senso di sé››.

Che la vita in società non possa essere ridotta ad un'equazione da risolvere - in quanto non sia teatro di esseri puramente razionali, e quindi prevedibili - è ovvio anche al solo comune buon senso, o alla quotidiana esperienza empirica. Così, non volendo, gli stessi economisti del mercato duro e puro costituiscono, nella loro assurda ostinazione, una prova assoluta dell'irrazionalità umana. Ironia della sorte, i padri del razionalissimo homo oeconomicus si trovano così ad essere forse più irrazionali della media del genere umano.

A render ancora più evidente tale paradosso è un'attenta analisi delle radici storiche e culturali alle quali comunemente si fa risalire l'economia liberista, quella della famosa "mano invisibile" di Adam Smith. Nel libro-totem "La ricchezza delle nazioni", Smith scrive come l'individuo che ‹‹si propone unicamente il proprio profitto è come se fosse guidato da una mano invisibile a promuovere un fine che non faceva parte delle proprie intenzioni. Né è sempre il peggio per la società che questo fosse fuori dalle sue intenzioni. Perseguendo il proprio interesse, un individuo spesso fa progredire la società più efficacemente di quando intende davvero farla progredire››. Ma, allo stesso tempo, da buon filosofo morale qual era, Smith era ben consapevole dello stretto rapporto che è necessario leghi tra loro etica ed economia.

Come osserva Peter Corning - direttore dello statunitense Institute for Complex Systems - su Psychology today, «molti dei moderni accoliti di Smith sembrano ignorare i suoi ammonimenti, presenti soprattutto nella sua opera precedente, "La teoria dei sentimenti morali", dove (come uno stoico e un cristiano) ha sottolineato il fatto che tutto in un libero mercato dipende da una fondamento morale, dalla fiducia, dalla contrattazione onesta e, come egli stesso la definì, dalla "giustizia" (definita come non fare "danni" agli altri). "Non ci può essere alcun motivo adeguato per ferire il prossimo". Smith era anche un sostenitore della Regola d'Oro, e si è appellato ad una simile "mano invisibile" nel suo precedente lavoro per caratterizzare il nostro senso di carità verso chi è nel bisogno».

Dopo questa sorta "d'errore storico" che ha infine portato all'egemonia delle dottrine neoliberiste negli ultimi decenni, adesso stiamo cercando di espandere definitivamente l'equivoco in un'altra fondamentale scienza sociale: dopo l'economia, il bersaglio è la politica. Da sempre, nelle democrazie la moneta politica è rappresentata dal voto elettorale; solo un capitale di tal genere, accumulato in quantità sufficiente, garantisce il successo al momento delle elezioni. Adesso più che mai, però, ci troviamo a navigare nei mari di una politica stretta tra l'incudine dei numeri del gradimento riportati dai sondaggi e il martello dei mercati finanziari e dei potentati economici.

Della sostenibilità, via maestra per percorrere uno sviluppo sano e durevole, nel bel mezzo della crisi quasi più nessuno parla, tranne tornare di moda nelle campagne elettorali, per raccogliere più voti possibili tra gli ecologisti. In Europa, ultimamente, latita ancor di più la parola "solidarietà", solidarietà che dovrebbe invece costituire il collante principale per unire popoli e culture diverse su di una base comune. Infatti, l'elettorato di riferimento per ogni premier è racchiuso esclusivamente all'interno di un territorio nazionale.

Guardando alla Merkel dei nostri giorni, ben lontano è il ricordo di un Winston Churchill che saluta la propria debacle elettorale, dopo la vittoria nella II Guerra mondiale affermando che la guerra fosse stata vinta proprio perché si potessero perdere le elezioni - e fosse dunque mantenuta la democrazia, contro la dittatura nazista. Se la Grecia è allo sfascio, per buona parte può ringraziare le imminenti elezioni in Germania e Francia. Siamo dunque di fronte ad un bivio decisivo. O gli stati dell'Unione decidono, insieme, di costruire davvero un'Europa unita e solidale - un'Europa che abbia un'idea sostenibile e concreta di sviluppo, ed un elettorato comune di riferimento - oppure presto potrebbe non esserci più nessuna Unione europea di cui parlare.

Foto: opera di Antonia Hirsch, the invisible hand (after Adam Smith), 2009.

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