[13/02/2012] News

La Grecia, lebbrosa d’Europa

La bilancia del Parlamento ellenico parla di 199 voti a favore e 74 contrari all'approvazione del piano stabilito assieme alla troika, il trio composto dalla Bce, dal Fmi e dall'Unione europea. Dopo i primi 110 miliardi di aiuti già ricevuti dalla Grecia nel 2010 per salvarsi dalla bancarotta incontrollata, nel Paese si è reso così necessario un nuovo e gravosissimo slancio di austerity perché dall'alto si decidesse di concedere la seconda (e forse non ultima) tranche del prestito, stavolta da 130 miliardi di euro.

Papademos, il premier greco, ha salutato il voto parlamentare asserendo come un eventuale "no" alle condizioni imposte quali necessarie per proseguire nel piano di salvataggio avrebbero portato la Grecia di fronte a un ‹‹catastrofico default, all'isolamento e all'uscita dall'euro››, aggiungendo come piuttosto il Paese abbia recuperato, da due anni a questa parte, un terzo della produttività persa nell'arco di un decennio. Il Parlamento, era prevedibile, ha votato a favore "dell'austerità necessaria", ma l'ha fatto di notte, a riaffermare l'immagine di un ladrocinio agli occhi dei greci, che intanto illuminavano il cielo di Atene col fuoco della loro rabbia, e le strade con quello delle loro molotov.

La Grecia avrà forse davvero già recuperato un terzo della perduta produttività, ma certamente l'immagine che il Paese offre dall'esterno non è quella di malato in via di guarigione e, a vedere l'entità della guerriglia urbana e delle tambureggianti voci di protesta greche, dall'interno la situazione deve apparire ancora più nera. I più raggianti per lo sciacallaggio in corso in Grecia sono ancora una volta gli impalpabili mercati, con le borse in rialzo e i temuti spread in calo. Per ora.

Lo sconfitta più grande di tale dolorosa e lunga vicenda è però inflitta proprio all'Unione europea, intesa come progetto politico, sociale e ideale, non solo come un mercato di libero scambio per il proliferare del benessere (?) economico - tra l'altro ancora mozzato di una fondamentale politica economica unica, ben diversa dalla sola presenza dell'euro come valuta comune.

In varietate concordia, unita nella diversità: chi si rammenta, ora, del motto scelto come simbolo dell'Unione? L'Europa immaginata unita, dalla guerra più sanguinosa della storia passando per l'abbattimento del muro di Berlino, per culminare nel conio dell'euro, si sta rivelando un incubo per i Paesi dall'economia più piccola e fragile. Della solidarietà che dovrebbe rappresentare il cemento dell'Unione non c'è traccia, proprio quando più servirebbe. La Grecia si trova ad essere condannata ogni giorno di più ad una lenta e crudele impiccagione, tollerata perché ammantata del mantra della crescita da ricostruire. Nel frattempo, anzi, tutti si affrettano ad affermare la distanza che separa ogni altro Paese dal disastro greco.

Anche noi italiani, per una volta in prima fila col presidente Napolitano, tranquillizziamo la platea nazionale ed internazionale dicendo che ‹‹l'Italia non è la Grecia››, stiamo rispondendo con sussiego alle richieste dell'Europa, che ci indirizzano ad un necessario rigore. È vero: la situazione dell'economia italiana è ben diversa da quella greca, e il nostro Paese è ben lontano, al momento almeno, dalla bancarotta. Le parole del presidente Napolitano sono state certamente finalizzate a tranquillizzare gli investitori internazionale come i comuni cittadini italiani; il messaggio che si vuole far passare è quella di un'Italia divenuta ormai studente modello, con la possibilità di far precipitare il Paese in una guerra civile (come ora è in Grecia) ormai divenuta solo un'ombra sbiadita.

Questo però non ci autorizza ad additare i greci come fossero appestati. La Grecia merita grande rispetto. Pochi paesi e pochi popoli possono vantare un'influenza sullo sviluppo della civiltà occidentale tanto quanto la Grecia, e il mondo intero gliene dovrà essere per sempre debitore. La Grecia ha sbagliato, certamente. Ha a suo tempo falsificato i conti nazionali e vissuto al di sopra delle proprie possibilità, ma il resto d'Europa ha fatto di tutto per favorirne l'agonia, direttamente o indirettamente.

La crisi greca è stata affrontata infatti nel peggior modo possibile. I tentennamenti tedeschi hanno lasciato il Paese a cuocere nel proprio brodo per troppo tempo, quando due anni fa - all'origine della crisi - la situazione era ben diversa e molto più facile da affrontare rispetto ad oggi, ormai degenerata. Si cerca di far ripartire l'economia della Grecia tagliando ulteriormente gli occupati, privatizzando il privatizzabile, tagliando i salari minimi, i farmaci, i servizi. È stato così deciso di uccidere pian piano un Paese, non di salvarlo dalla crisi.

La Grecia dovrebbe essere aiutata allungando le scadenze del debito, ristrutturandolo ancora per quanto possibile, ed sostenendola - in un'ottica sussidiaria, come vogliono proprio i principi dell'Unione - a trovare la propria via per uno sviluppo sostenibile. Che, beninteso, non significa mantenere la Grecia legata ad accordi che impongono l'import di armamenti per un 3% del Pil (previsto per il 2012), per acquisti prevalentemente provenienti proprio da Francia e Germania, come invece sta succedendo, e come riporta oggi il Corriere della Sera.

‹‹La crisi può essere una grande benedizione per le persone e i Paesi - scriveva Einstein ne il suo "Il mondo come io lo vedo - perché la crisi porta con se il progresso. [...] La vera crisi è l'incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi››. Le difficoltà elleniche potevano essere un banco di prova eccezionale per saggiare le vere potenzialità dell'Europa, per cambiare un paradigma economico fallace con uno improntato alla sostenibilità economica, sociale ed ecologica, ma si è invece scelto di affidarsi ciecamente agli istinti dettati dall'egoismo nazionale e dalle paura, lasciando un'onta nella storia dell'Unione.

La crisi è un'opportunità unica per ribaltare l'attuale ordine socioeconomico che, evidentemente, non funziona più. Tante, troppe occasioni sono già state buttate al vento: non permettiamo che tutto venga perduto, e impariamo almeno l'umiltà per accettare l'insegnamento che i nostri errori dovrebbero imporci.

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