[06/02/2012] News

Industria e manifattura sostenibile, anticorpi contro una disoccupazione da record

«La disoccupazione è ai suoi massimi storici, con oltre 205 milioni di persone senza lavoro nel mondo, 75 milioni dei quali sono giovani. E anche le disuguaglianze hanno raggiunto un livello record, con il 10% più ricco che ha redditi nove volte superiori al 10% più povero. Di questo dramma i paesi industrializzati sono il cuore: il 55% dell'aumento della disoccupazione globale tra il 2007 e il 2010 è avvenuto nella parte "ricca" del pianeta».

Sull'inserto Affari&Finanza de la Repubblica, Marco Panara snocciola dati preoccupanti riguardanti il lato più oscuro della crisi e, più in generale, dell'attuale tessuto economico - italiano, ma anche europeo e mondiale. Se infatti la necessità di (ri)creare posti di lavoro è sempre più pressante preminentemente nei paesi occidentali, questi rimangono la fotografia di quel che saranno tra qualche anno o decennio i paesi oggi in via di sviluppo, se non troveranno la via per uno sviluppo sostenibile - che ormai ben vediamo, non può essere quella da noi finora percorsa.

Facendo riferimento a studi Ocse e Oil (organizzazione internazionale del lavoro) e citando l'ex segretario al Tesoro Usa Larry Summers ("è più facile creare ricchezza che creare lavoro"), Panara prosegue nella carrellata di dati, stavolta divisi per settori economici. Il numero più imponente riguarda il pressoché universale calo degli occupati nell'area manifatturiera e delle costruzioni, con riferimento ai paesi ricchi. Al contempo, negli stessi paesi crescono i settori della sanità e dell'educazione - con l'eccezione del nostro, di Paese, che attualmente si trova ancora indietro su questa strada. Settori che, sempre secondo Summers, «creeranno il maggior numero di posti qualificati nei prossimi dieci anni». Per il resto, gli studi del premio Nobel per l'economia Christopher Pissarides parlano di un accresciuta domanda di «lavoratori non specializzati, per lo più per servizi alle persone».

Insieme a questi dati, salta all'occhio come, nonostante il calo di manifattura e costruzioni, negli Usa una sostanziosa spinta alla creazione di posti di lavoro l'abbia data il settore dell'estrazione mineraria e petrolifera. La domanda di materie prime ed energia non si esaurisce affatto, dunque, ma continua la sua corsa. Quest'ultimo dato chiude il quadro con quanto scritto sopra e, sebbene sia fondamentale, non è l'unica priorità per l'occupazione quella descritta da Pissarides, ovvero rendere i lavori inerenti i servizi alle persone «dignitosi e rispettabili». Un'economia sostenibile e prospera non può infatti mancare di prendere di petto i problemi che ruotano attorno al settore delle costruzioni e al manifatturiero, fertilizzandone la rinascita con nuovi presupposti ecologicamente orientati.

L'economia della conoscenza, dove regna un terziario più o meno tecnologicamente avanzato, non può fare a meno di basare il suo trionfo su una solida e razionale rete industriale. Sostituire la gran parte dei processi economici e della prestazione di servizi attuali con dei loro corrispettivi "dematerializzati" rischia altrimenti di trasformarsi in una nuova e triste utopia, dopo quella - ancora in parte in voga - che predicava una semi-perfetta sostituibilità tra capitale naturale e capitale tecnologico.

Rendere più efficiente l'utilizzo di energia e materia, diminuendo al contempo il throughtput che attraversa il nostro sistema economico, porta con se la promessa di rilanciare l'occupazione, unita alla necessità di rispettare i vincoli che l'ecosistema che ci nutre pone alla nostra attività economica e alla nostra società. Quel che è possibile esprimere in poche parole racchiude una sostanziale modifica del nostro paradigma economico e culturale, imponendo un passaggio dall'acquistismo attuale ad una società più sobria, che non sprechi, che manutenga, che riusi e ricicli; offrendo così posti di lavoro che siano più vicini alla qualifica di «dignitosi e rispettabili» già solo per diritto di nascita, in quanto concreta espressione di un orizzonte ideale a cui tendere e verso il quale sperare, quello di una società più equa e sostenibile.

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