[03/02/2012] News

Stiamo sperimentando i tempi migliori e peggiori che si siano mai avuti

Lo sostiene l’High Level Panel on Global Sustainability voluto da Ban Ki-moon

L'High Level Panel on Global Sustainability, voluto dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon (Nella foto), ha terminato il proprio mandato ed ha reso noto il rapporto finale del suo lavoro dal titolo "Resilient People, Resilient Planet: A future worth choosing" (scaricabile dal sito del Panel www.un.org/gsp ).

Trovo certamente molto interessanti, nel titolo, i riferimenti alla resilienza delle popolazioni e del pianeta ed al futuro che vale la pena scegliere. Sembra che il grande lavoro scientifico che connette studiosi delle scienze naturali e di quelli sociali attorno al concetto di resilienza, del quale tante volte ho dedicato approfondimenti nelle pagine di questa rubrica, abbia finalmente contaminato la politica internazionale.

Nella lettera con la quale trasmettono il rapporto al segretario generale delle Nazioni Unite, i due presidenti del Panel, che sono la presidentessa della Finlandia Tarjia Halonen e il presidente del Sud Africa Jacob Zuma, scrivono chiaramente con sette miliardi di abitanti sul nostro pianeta è ormai tempo di riflettere seriamente sui nostri modelli di sviluppo (il nostro "current path", l'attuale strada, l'attuale sentiero che stiamo percorrendo). Oggi ci troviamo veramente ad un bivio. Continuare sulla stessa strada significa mettere tutta la popolazione mondiale e il nostro pianeta in una situazione di alto rischio. Cambiare strada ci consente di sfruttare una straordinaria opportunità ma dobbiamo essere ben consapevoli e responsabili di quanto ciò ci richiede un forte coraggio ed un forte impegno. Cambiare strada non è affatto semplice. Ma, siamo certi, che perseguire una strada più sostenibile significhi maggiore benessere e sicurezza per l'umanità intera, significa una giustizia globale migliore, un rafforzamento dell'equità di genere e la sana conservazione dei sistemi naturali di supporto della vita presenti sulla nostra Terra.

Nel paragrafo iniziale relativo alla "visione" del Panel, i membri del Panel stesso fanno presente che oggi il nostro pianeta ed il nostro mondo stanno sperimentando, insieme, tra i tempi migliori e peggiori che si siano mai avuti. Il mondo sta sperimentando una situazione di prosperità senza precedenti mentre il pianeta è sotto dei livelli di stress senza precedenti. La diseguaglianza tra ricchi e poveri nel mondo continua a crescere e più di un miliardo di persone vive ancora in situazioni di profonda povertà. In molti paesi stanno crescendo le ondate di proteste che riflettono le aspirazioni universali per un mondo più prospero, più giusto e più sostenibile.

Ogni giorno milioni di scelte sono fatte da individui, imprese e governi. Il nostro futuro comune dipende da queste scelte. L'High Level Panel on Global Sustainability afferma che è giunto il tempo che l'azione globale deve essere costituita da scelte di gente, mercati e governi caratterizzate dalla sostenibilità.

Lo sviluppo sostenibile è ritenuto fondamentalmente una questione di opportunità per influenzare e caratterizzare il futuro della gente, il rispetto dei diritti e l'ascolto delle preoccupazioni di tutti.

Il rapporto si inserisce nel solco di quanto già prodotto dalla comunità internazionale con il ben noto rapporto Brundtland del 1987 e cioè della Commissione indipendente sull'ambiente e lo sviluppo, voluta dalle Nazioni Unite nel 1983 e presieduta dall'allora primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland  (che successivamente divenne direttrice generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, World Health Organization e che è una componente anche di questo High Level Panel on Global Sustainability) che fu intitolato "Our Common Future" (edito in italiano con il titolo "Il futuro di noi tutti" edito da Bompiani).

Il rapporto della commissione Brundtland all'epoca rappresentò lo stimolo principale per realizzare la grande conferenza ONU su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno del 1992, ben nota come Earth Summit.

Già nella primissima parte del rapporto - dedicata ad una panoramica riassuntiva dal titolo "Da un'unica Terra a un unico mondo" - appare quella che è poi divenuta la più diffusa definizione di sviluppo sostenibile, in una formulazione abbastanza generica da lasciare spazio a numerosi equivoci:  «L'umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di far sì che esso soddisfi i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro. Il concetto di sviluppo sostenibile comporta limiti, ma non assoluti, bensì imposti dall'attuale stato della tecnologia e dell'organizzazione sociale alle risorse economiche e dalla capacità della biosfera di assorbire gli effetti delle attività umane. La tecnologia e l'organizzazione sociale possono essere però gestite e migliorate allo scopo di inaugurare una nuova era di crescita economica».

Già da questa definizione - della quale in quasi tutti i testi vengono riportate sempre le prime tre righe - appare un grande equivoco che è presente nell'intero rapporto, quello di rendere interscambiabili, senza alcun problema, i due termini "sviluppo" e "crescita" che, come si è già accennato, significano cose ben differenti.

Nell'Introduzione al Rapporto la stessa Brundtland scrive chiaro e tondo: «Ciò di cui abbiamo bisogno attualmente è una nuova era di crescita economica - una crescita vigorosa e in pari tempo socialmente ed ambientalmente sostenibile».

Non vi è dubbio che per fasce di popolazione che vivono in condizioni che è impossibile definire "umane" sia indispensabile una crescita economica, ma è altrettanto evidente che, soprattutto per quanto riguarda i paesi ricchi e super consumisti ed anche per le fasce di popolazione ricche e consumiste dei paesi cosiddetti di nuova industrializzazione, la crescita economica, tradotta nell'aumento continuo delle quantità di energia, di risorse naturali impiegate e di rifiuti prodotti conduce a disastri ambientali e sociali assolutamente insostenibili per l'intero pianeta. Disastri che il rapporto Brundtland stesso non minimizza quando, nella già citata panoramica introduttiva, afferma (e ricordo ancora ai lettori che stiamo citando un testo del 1987):  «Noi prendiamo a prestito capitali ambientali di generazioni future, senza avere né l'intenzione né la possibilità di rifonderli: le generazioni future potranno maledirci per il nostro atteggiamento da scialacquatori, ma non potranno mai farsi ripagare il debito che abbiamo contratto con loro. Se così ci comportiamo, è perché  possiamo permettercelo: le generazioni future non votano; non hanno potere politico né finanziario; non possono opporsi alle nostre decisioni. Ma le conseguenze dell'attuale sperpero stanno rapidamente precludendo le opzioni delle generazioni future. Gran parte degli attuali responsabili di decisioni sarà morta prima che il pianeta avverta gli effetti più dannosi delle piogge acide, del riscaldamento globale, dell'impoverimento della fascia di ozono, della diffusa desertificazione e dello sterminio delle specie viventi. Gran parte dei giovani che oggi votano a quell'epoca sarà ancora viva; e durante le udienze della Commissione sono stati proprio i giovani, coloro che hanno più da perdere, i più aspri critici dell'attuale gestione del pianeta».

Oggi la situazione globale che si trova davanti l'High Level Panel on Global Sustainability è, senza alcun dubbio, peggiorata e il tempo e le capacità che abbiamo a disposizione per cambiare rotta e trarne i sacrosanti benefici, purtroppo, vanno restringendosi.

Ecco perché assume una significativa importanza la nuova Conferenza ONU sullo sviluppo sostenibile che avrà luogo a Rio de Janeiro nel prossimo giugno (vedasi www.uncsd2012.org) . L'opportunità per dettare un'agenda importante per impostare una nuova economia ed una nuova governance istituzionale internazionale per rendere concretamente applicabile la sostenibilità, non può essere più dilazionata.

Il rapporto dell'High Level Panel on Global Sustainability afferma che le motivazioni  relative al fallimento della mancanza di volontà politica per l'attuazione dello sviluppo sostenibile deriva dal fatto che il concetto stesso di sviluppo sostenibile non è stato incorporato nel mainstream del dibattito politico economico a livello nazionale e internazionale e che la maggioranza dei decision makers economici considerano lo sviluppo sostenibile come estraneo alle loro responsabilità per la gestione e l'attuazione delle politiche economiche.

Il Panel fa presente che la comunità internazionale ha ormai bisogno di una nuova politica economica basata sulla sostenibilità.

I lineamenti di una nuova politica economica sono stati in questi decenni ben individuati da tanti studiosi che da tempo si occupano di economia ecologica e scaturiscono da avanzamenti conoscitivi e applicativi che possono realmente permetterci di imboccare una nuova strada, alternativa all'attuale.

Il rapporto prevede 56 raccomandazioni che possono costituire una base interessante per dare maggiore consistenza anche al cosiddetto Zero Draft, la prima bozza di testo resa nota per la Conferenza di Rio che certamente, come ho già scritto in una precedente rubrica, appare molto debole rispetto alla straordinaria sfida che abbiamo di fronte.

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