[02/02/2012] News

I rapimenti degli operai cinesi in Africa, segnale di allarme per il neo-colonialismo paternalista

Oggi il ministero cinese del commercio ha annunciato l'invio di un gruppo di lavoro in Libia per discutere della partecipazione della Cina alla ricostruzione post-conflitto. Il team, guidato da Wang Shenyang, direttore del dipartimento degli investimenti stranieri e della cooperazione economica, che comprende anche rappresentanti delle imprese che hanno lavorato in Libia, sarà a Tripoli e Bengasi dal 4 all'8 febbraio per intavolare difficili trattative con il nuovo governo provvisorio, visto che Pechino ha appoggiato fino all'ultimo il regime di Gheddafi.

Ma l'inarrestabile invasione economica cinese sembrerebbe in difficoltà in tutta l'Africa: ieri in Egitto sono stati liberati 25 lavoratori cinesi presi in ostaggio il 31 gennaio dalla folla a El-Arich, nel nord del Sinai, mentre andavano a lavoro con un bus.

I cinesi sono stati presi di mira perché considerati amici delle autorità egiziane dai manifestanti che da giorni bloccano l'unica strada di El-Arich chiedendo la liberazione di cinque persone accusate di aver partecipato ad attentati commessi tra il 2004 e il 2005 nel sud del Sinai. Inoltre i manifestanti chiedono alle autorità del Cairo di bloccare le esportazioni di gas egiziano verso Israele, e i pragmatici cinesi sono considerati amici anche degli israeliani. Proprio nei dintorni di El-Arich gruppi di uomini armati hanno fatto esplodere almeno 10 volte il gasdotto che porta il gas in Israele e Giordania, e nel 2011 hanno addirittura assaltato un commissariato di polizia.

Ma operai cinesi sono stati rapiti anche in Sudan, dove Pechino è il più grande e fedele alleato del regime filo-islamico. I cinesi sembrano diventati un bersaglio ancora più ambito degli  occidentali da parte di gruppi armati con rivendicazione indipendentiste e/o religiose. In molti mettono tutto questo in relazione con la forte penetrazione della Cina in Africa e con la consuetudine delle imprese cinesi di portarsi dietro gran parte della manodopera necessaria a costruire le infrastrutture e le fabbriche, lasciando ai locali i lavori più umili. Pechino starebbe pagando anche il suo spregiudicato atteggiamento di appoggio alle peggiori dittature in cambio di buoni affari, diventando così il bersaglio degli oppositori.

I cinesi respingono questa teoria: He Wenping, un esperto di Africa dell'Accademia cinese delle scienze sociali, spiega su Xinhua che quando le imprese cinesi specializzate in costruzione di infrastrutture sono cominciate ad arrivare sui mercati stranieri, «l'Africa appariva come una scelta inaggirabile. La ragione era che i mercati nei Paesi sviluppati dell'Europa e dell'America sono pressoché saturi, mentre molti dei Paesi africani hanno un certo ritardo nel settore della costruzione delle infrastrutture. Gli africani hanno bisogno del know-how cinese per migliorare le loro infrastrutture per stimolare la crescita economica». I cinesi ormai dilagano in Africa, sono persino nello stato fantasma della Somalia, ma i loro interessi  vanno dal petrolio dell'Angola all'uranio della Mauritani, dal turismo e dalla pesca a Mauritius al rame dello Zambia. Secondo il libro bianco sulla cooperazione commerciale sino-africana pubblicato nel 2010, nel 2009 la Cina in Africa stava partecipando a più di 500 progetti.

I cinesi si vantano di aver aiutato i Paesi africani a costruire più di 2.000 km di strade, più di 3.000 km di ferrovia, un centinaio di scuole, una sessantina di ospedali e di aver annullato più di 3 miliardi di debiti che l'Africa aveva con loro. Questa presenza invadente è spesso benedetta dai regimi e molto gradita anche all'Unione Africana, visto che il suo nuovo centro per le conferenze di Addis Abeba è stato costruito e donato dalla Cina.

Alle critiche di invasione, i cinesi ribattono che anche le imprese di altri Paesi stranieri esportano manodopera, soprattutto quelle di Paesi fortemente popolati come l'India ed il Pakistan. Ma i cinesi rispetto a questi lavoratori (che spesso hanno una presenza con comunità in Africa risalenti al tempo dell'impero britannico, sono visti come "alieni" e sempre più spesso sono coinvolti in traffici loschi, come quelli delle specie protette).  

Un riflesso neo-colonialista che affiora anche nelle parole di He Wenping, il quale ammette che «le imprese cinesi hanno la tendenza ad utilizzare la manodopera locale, ma occorrendo le necessarie tecniche e conoscenze, hanno dovuto, per il momento, fare appello ai loro compatrioti per i cantieri in  Africa».

I cinesi fanno però notare che la presenza delle imprese occidentali in Africa è ancora più importante della loro, e che la differenza tra le imprese cinesi e quelle occidentali «si concentra sui progetti di realizzazione delle capacità dei governi locali» e che le imprese occidentali che si occupano di infrastrutture, nei rari casi nei quali ormai vincono appalti in Africa, in genere si affidano per la costruzione al sub-appalto locale.

«E' per questa ragione che si vede molto raramente la presenza di operai occidentali nei cantieri in Africa - spiega la He. I rapimenti di operai cinesi non sono la conseguenza della strategia delle imprese cinesi di inviare manodopera all'estero». E Xinhua aggiunge: «per arricchirsi, bisogna per prima cosa costruire delle strade, dice un proverbio cinese. Ogni giorno, gli sforzi della Cina per aiutare l'Africa a migliorare le sue infrastrutture sono fortemente apprezzati dalle popolazioni locali. Bisogna quindi sperare che questi sforzi fruttuosi siano mantenuti, quali che siano gli incidenti spiacevoli che possono avvenire occasionalmente».

Anche la Cina, partendo dai suoi proverbi, cerca alla fine di dare all'Africa una propria visione, ma questo continente ha dimostrato più volte di essere intimamente refrattario ad ogni forma di paternalismo che ha duramente subito sulla propria pelle, dallo schiavismo alle conversioni forzate.

Probabilmente i cinesi hanno ragione: gli africani non ce l'hanno con i loro operai, ma con le loro imprese e la politica del loro governo, così come non ce l'hanno con i tecnici, i turisti ed i cooperanti occidentali che rapiscono, ma con le imprese ed i governi dei loro Paesi, visti non solo come nemici-infedeli dai fanatici di Al Qaeda del Magreb, ma da molti africani ancora come complici e causa del sottosviluppo e dell'ingiusta distribuzione della ricchezza, del cibo, dell'energia, della salute e dell'educazione nel continente più povero del mondo.

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