[16/01/2012] News toscana

Impianto di Scarlino tra diritti (?), doveri (??) e interpretazioni (???)...

La provincia di Grosseto sta valutando se esistono le condizioni giuridiche per adottare un'ordinanza che imponga il mantenimento in attività del Tas (sistema di trattamento delle acque di scarico) di Scarlino Energia, che processa anche i reflui dei ciclo produttivo di Solmine, le acque di falda estratte da Sindyal e gli scarichi civili di Tioxide.

«La prima valutazione da fare -  ha spiegato il presidente Leonardo Marras - sulla quale stanno lavorando gli uffici e l'Arpat, riguarda il potenziale danno ambientale che deriverebbe dalla chiusura del Tas, anche alla luce degli argomenti esposti dal consulente del comune di Follonica alla base della sentenza del Consiglio di Stato. Un'ordinanza contingibile e urgente, se sussistono evidenti ragioni di natura ambientale, è peraltro uno strumento utilizzabile per un arco di tempo limitato, e a fronte di almeno sei mesi di stop all'impianto esiste il problema della copertura dei costi per il funzionamento del Tas, circa 450.000 euro all'anno, che sono sempre stati sostenuti dalle aziende che lo utilizzano. È chiaro che, nel caso non venisse trovato un accordo fra tutti i soggetti, questi costi non potrebbero essere sostenuti dall'Amministrazione provinciale».

Tempi, costi e rischio ambientale sono quindi le variabili di cui tener conto per una valutazione complessa. Nel caso in cui queste condizioni non si verificassero, poi, si aggiungerebbe un altro problema spiegano dall'amministrazione, che si affiancherebbe a quello del blocco del ciclo produttivo di Solmine e dell'interruzione della bonifica delle acque di falda che sta facendo Sindyal. In quel caso le acque reflue del depuratore civile di Follonica e Scarlino non potrebbero più essere convogliate nel canale industriale Solmine, perché queste devono essere immesse in un corpo idrico esistente che ne diluisce la concentrazione. Con il blocco del Tas verrebbe infatti meno l'apporto dei 15.000 litri d'acqua pompati ogni ora nel canale che sbocca a mare. La soluzione alternativa prevista dalla legge, è la dispersione in mare dei reflui depurati attraverso una tubatura sommersa che sbocchi ad almeno 300 metri dalla costa e sia ancorata ad un fondale di almeno 25 metri, i cui costi non sono certo indifferenti.

«Se non fosse possibile dare continuità d'impiego al Tas, quindi, al netto dei problemi per l'area industriale, i sindaci di Follonica e Scarlino, in quanto autorità sanitarie competenti, si troverebbero a dover decidere se emettere un'ordinanza in deroga alla legge per consentire lo sversamento dei reflui del depuratore civile nel canale Solmine in assenza della normale portata d'acqua» con immaginabili problemi qualitativi per le acque marino costiere. Martedì prossimo, intanto Scarlino Energia dovrà fermare l'impianto, una volta smaltito il Cdr residuo.

Se si incrocia questa notizia con quanto affermato oggi dall'Arpat in merito alla rilettura del rapporto predisposto dal dipartimento dell'ente di Grosseto proprio su Scarlino fatta dal perito di parte del Comune di Follonica, Paolo Rabitti, e che «è stata determinante per la decisione da parte dell'organo giurisdizionale», ovvero dell'Ordinanza del Consiglio di Stato in merito all'inceneritore che ne ha decretato la chiusura, emerge un quadro piuttosto significativo di come (non) funzionino le cose in Italia. L'Arpat infatti sostiene in sintesi che «Questa rilettura (del perito Rabitti, ndr) ha distorto in modo strumentale le considerazioni fatte dall'Agenzia, giungendo a conclusioni diverse da quelle di Arpat, introducendo alcuni elementi errati, che portano a supportare valutazioni finali infondate».

Ora, quale che sia l'opinione che si ha sugli inceneritori e sul loro ruolo e ribadito che greenreport su questo piano non ha dogmi, ma la sostenibilità come orizzonte, deciso politicamente che un impianto si deve fare perché - come si capisce anche dalla questione delle acque di scarico - esistono certe esigenze, il diritto dovrebbe fornire le regole seguendo le quali l'imprenditore che investe ha la certezza di ottenere tutte quante le autorizzazione dovute. Ma in questo caso, viste le conclusioni, a mancare non è solo la cosiddetta "certezza del diritto" ma paradossalmente manca pure la "certezza del dovere". In pratica anche il miglior e più affidabile e più attendo imprenditore che voglia fare un investimento non sa che cosa lo aspetta.

Da questa vicenda emerge come si continui ad andare avanti per interpretazione delle interpretazioni in spregio ad ogni forma di diritto e di sostenibilità. Scarlino è solo l'ultimo di una serie di vicende, vedi quella del pirogassificatore tanto per citare quelle più recenti, oppure quella assai più annosa dell'impianto di compostaggio di Capannori, che nulla hanno a che vedere con un progetto d'insieme, quello che invece è condicio sine qua non - restando nell'esempio - una gestione ottimale del ciclo integrato dei rifiuti...

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