[11/01/2012] News

Verso una nuova era industriale

Barbara Spinelli su Repubblica si interroga oggi sul «come dare dignità al nostro futuro». Lo fa con un pezzo che vede l'economia ecologica - anche se non citata esplicitamente - al centro delle scelte necessarie di una rivoluzionata Ue che segua l'idea propostra da Noah Smith, studioso di economia del Michigan: «Importante non è quanto debito accumuliamo, ma se vogliamo spostare il consumo dal futuro al presente, anziché (come dovremmo, potremmo) dal presente al futuro».

E per attuare questa strategia l'Unione, non l'insieme di Stati europei attuali che guardano più dentro casa propria che fuori, devono «scegliere produzioni che domani saranno d'avanguardia».

Ecco dunque che faticosamente riemerge il tema a noi (e speriamo non solo a noi) caro: appurato che la crescita all'infinito è impossibile oltre che insostenibile ambientalmente e pure socialmente, bisogna ridisegnare un modello alternativo dove come minimo le risorse ambientali siano quello che si tutela e non ciò a cui dare fondo.

Spazzate vie certe logiche finanziarie che minano persino la possibilità di sopravvivere a larga parte delle popolazioni mondiali speculando sulle materie prime alimentari, tramontato (specialmente in Italia) anche il sogno di poter vivere sugli allori di un Paese tipo Disneyland-culturale visto che non siamo neppure in grado di salvaguardare i beni storici per non parlare dell'ambiente specialmente le coste, serve un nuovo piano industriale. E in questo senso - ovvero di come invece si è agito finora - è davvero esemplare la storia dell'Alcoa di Portovesme.

Scrive Paolo Bricco sul Sole24Ore: «Portovesme rappresenta un paradigma della transizione italiana, iniziata negli anni Novanta e non ancora del tutto compiuta: la fine dell'economia pubblica, le grandi imprese che spesso non gemmano piccole e medie aziende in grado di emanciparsi dal latte materno delle commesse, il controllo estero di aggregati industriali che rende semplice (per gli altri) schiacciare un bottone dall'altro capo del mondo e doloroso (per noi) subirne gli effetti senza potere dire molto, i deficit di sistema che spingono gli stranieri ad andarsene». Metodo tristemente noto anche in Toscana, vedi il caso Delphi che con una fax e una mail mandò a casa tutti i lavoratori dello stabilimento di Livorno.

Il modello di economia totalmente pubblica probabilmente non funzionerebbe più, ma distruggendo quelle industrie storiche - il rischio è che accada anche a Fincantieri - dandole in pasto al mercato, si è buttato a mare l'opportunità anche di indirizzarle (se si fosse voluto politicamente, è chiaro) di riconvertirle verso produzioni più sostenibili socialmente e ambientalmente.

Si è gettato il bambino con l'acqua sporca dunque.

Non regge poi che la causa della chiusura sia solo la questione della bolletta energetica, anche perché sempre il Sole dà notizia che le prospettive di Alcoa al 2012 sono di "crescita". Non solo. Questa storia riporta alla luce un'altra vicenda irrisolta, ovvero il rapporto lavoro-ambiente, ambiente-lavoro.

Sentir affermare da un vecchio minatore: «L'industria ci ha dato il benessere, il mare era sporco, per gli scarichi, ma noi stavamo bene. Ora, davvero, non sappiamo che cosa possa capitare». Non può lasciare indifferenti. La parabola dell'industrializzazione selvaggia senza criteri ambientali è finita in macelleria sociale e ambientale. Ma non funziona neppure la deindustrializzazione selvaggia.

 Questo contrasto, parlando dell'industria del futuro, non può essere più riproducibile pur nella consapevolezza che l'impatto zero non esiste. Con questa deindustrializzazione forzata, prolifereranno peraltro anche i tristemente noti Sin - siti di interessa nazionale - perché nessuno ha i soldi e la voglia di bonificare ex aree industriali come queste.
Noi un'idea per una nuova era di re-industrializzazione, ce l'abbiamo. E' quella di un manifatturiero che veda la produzione di materiali e di energia più sostenibili quindi derivati dai rifiuti, oppure con nuove fibre; e ancora energia alternativa e risparmio energetico (ottima l'idea/sogno del ministro Profumo di investire per risparmiare nell'edilizia scolastica per portare a classe A gli edifici oggi in classe G con un investimento di 9.5 miliardi che porterebbe a un risparmio sulla bolletta energetica da 12,5 a 3 miliardi). Poi certamente investire anche in terziario; cultura; ricerca ma questa deve essere la strada. Ed è peraltro l'unica grande occasione che ci dà questa crisi.

 

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