[05/01/2012] News

Quale lavoro dentro quale crescita e con quale welfare: la nostra fase due

Lavoro e crescita. Sono la cosiddetta fase due del governo Monti che declinata sull'economia ecologica diventa quale lavoro dentro quale crescita e con quale welfare. Tutto questo mentre l'Istat oggi certifica il disastro dell'occupazione giovanile (15-24 anni) che a novembre ha toccato quota 30% in aumento di 0,9 punti percentuali rispetto a ottobre e di 1,8 punti su base annua.

E' il tasso più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). Non solo, nel terzo trimestre del 2011 sale nuovamente l'incidenza della disoccupazione tutta (giovani e non) di lunga durata (che perdura cioè da oltre 12 mesi), raggiungendo il 52,6% dal 50,1% del terzo trimestre 2010. Dati a dir poco allarmanti visto che il 2012 non promette niente di buono e che giustificano le affermazioni odierne di Luciano Gallino su Repubblica circa il "falso problema dei licenziamenti" che invece tiene banco sul suolo nazionale. Discussione resa ancor più fastidiosa di fronte ai numeri ad esempio della Toscana rivelati ieri dalla Cgil circa 10mila posti di lavoro a rischio.

Da dove ripartire dunque? Detto che l'Italia doveva recuperare principalmente credibilità in Europa e quindi sui mercati - purtroppo questo è il contesto - prerequisito senza il quale non si va da nessuna parte; oggi il Paese è chiamato ad indicare una via d'uscita reale.

Secondo il Sole 24 Ore è la media impresa la chiave della crescita, opinione che noi condividiamo anche se detto dall'organo di Confindustria che ha sempre fatto della necessità delle grandi imprese e quindi delle aggregazioni uno slogan per anni, pare una vistosa contraddizione.

Comunque a noi interessa la sostanza più della forma quindi quando Gian Maria Gros-Pietro e Andrea Nuzzi sostengono che il primo aspetto per la ripresa è - «individuabile nella capacità di sviluppare prodotti unici che permettano di acquisire una leadership su nicchie altamente specializzate, rimanendo lontani da contesti di mass-market in cui la concorrenza si gioca più su volumi e compressione dei margini. Ciò passa per il presidio e lo sviluppo rigoroso delle proprie competenze core, che non devono essere oggetto di esternalizzazione; per l'adozione di un approccio di distruzione creatrice posto al servizio del proprio vantaggio competitivo, re-investendo sistematicamente gli utili conseguiti in attività di innovazione e R&S; e per l'istituzione di strette relazioni con il cliente, che dovrà acquistare non solo il prodotto, ma un bundle prodotto e servizi ancillari (su cui l'impresa potrà mantenere un potere di mercato duraturo)» - non possiamo che sostanzialmente concordare, a patto che quelle nicchie siano in larga maggioranza legate alla green economy. Diciamo un green made in Italy, per usare uno slogan. Questa è la manifattura del futuro nazionale, perché in altri campi davvero non vediamo aria rispetto ai colossi mondiali. 

La disastrosa situazione di Fincantieri non è certo altra cosa, come spiega bene oggi il Manifesto non si è voluto riconvertire questo colosso sperando che le commesse arrivassero da solo a bussare alle porte. Non sappiamo se la produzione di pale eoliche o di termovalorizzatori, come riporta sempre il quotidiano comunista, siano o potessero essere la soluzione, di certo non si è innovato. Non si è guardato alle urgenze, come la costruzione di petroliere ecologiche di cui parla Gallino.

Questa - riassumibile nel concetto di riconversione ecologica dell'economia - dovrebbe essere l'idea di sviluppo - rispondendo così anche all'interrogativo odierno di Silvano Andriani sull'Unità - che a nostro avviso la sinistra dovrebbe dare, visto che potrebbe trovare inaspettati compagni di letto addirittura in alcune delle anime di Confindustria. In tutto questo, è ovvio, non si può scordare quello che è successo negli anni scorsi con il "governo del premier imprenditore ed operaio" che ha demolito ogni politica industriale mentre annunciava, tra gli applausi, che il programma della Confindustria era il suo.

Abbiamo visto, e purtroppo viviamo sulla nostra pelle, dove ci ha portato questa pericolosa miscela di populismo ed ultraliberismo al "ghe pensi mi". Ma in una fase dove di crescita sostenibile ne ha parlato a chiare lettere sia l'attuale premier Monti, sia i suoi ministri, non possiamo non approfittarne.

Nonostante il baratro di un crollo dell'euro sia non più solo uno spauracchio, l'Italia ha l'occasione per tracciare una via d'uscita duratura (lunga sia ben chiaro e tutta da percorrere attraverso le salite e discese) che porti la crescita che vogliamo e l'occupazione di cui abbiamo bisogno per il nuovo welfare che potremmo permetterci. Parlarne con Sarkozy e Merkel ne prossimi incontri (domani e mercoledì prossimo) non è in agenda, ma sarebbe un segnale enorme.

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