[03/01/2012] News

Manovra Monti, la ricerca di base non premia il merito

Un "discorso sul merito". È questo, a ben vedere, il succo della lettera indirizzata a Francesco Profumo, il nuovo Ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca (MIUR), pubblicata oggi da Il Sole 24 Ore e firmata congiuntamente da Fabio Beltram, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, e da Chiara Carrozza, direttore della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa.

I due istituti pisani di alta educazione sono tra le più antiche e importanti "scuole di eccellenza" del nostro paese. Che sul merito - degli studenti e dei docenti - hanno costruito il loro prestigio e anche la capacità di formare una parte notevole della migliore classe dirigente del paese.

La lettera che i due direttori hanno inviato a mezzo stampa al nuovo Ministro - che, tra l'altro, è di riconosciuta competenza - ha un valore generale. Assume, appunto, la forma di un "discorso sul merito".
Anche se parte da un problema (in apparenza) particolare: Come assegnare i fondi PRIN, ovvero i fondi per i "Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale", e i fondi di "Futuro in ricerca", ovvero i finanziamenti per progetti presentati da tre diverse tipologie di ricercatori giovani.

Lo scorso 27 dicembre il MIUR ha pubblicato un nuovo bando. Chi ha progetti di ricerca scientifica che presume di interesse nazionale e chi è giovane e pensa di avere progetti di ricerca interessanti non ha che da inviarli al Ministero perché siano valutati. I migliori, per ogni settore disciplinare, saranno finanziati. La valutazione avviene a opera di appositi comitati di referees, ovvero di ricercatori esperti.

Il tema è importante, perché il PRIN e "Futuro in Ricerca" sono, in buona sostanza, le due sole fonti di finanziamento pubblico nazionale per la ricerca di base o, come si chiama oggi, curiosity-driven. Si tratta di una ricerca cha ha un valore strategico - sia per il valore in sé della conoscenza che produce, sia perché è alla base anche della ricerca applicata e dello sviluppo tecnologico, sia perché è su questo tipo di ricerche che si forgiano i migliori cervelli scientifici di un paese.

Il tema ha un valore generale, perché la ricerca scientifica deve diventare anche per il nostro paese una - anzi "la" leva - per lo sviluppo culturale, civile e anche economico (compresa l'economia ecologica) dell'Italia.

Ebbene, Fabio Beltram e Chiara Carrozza lamentano che nei bandi PRIN e "Futuro in Ricerca" pubblicati il 27 dicembre ci sono due limiti che non tengono conto del merito. Anzi, come scrivono andrebbero proprio in direzione contraria alla valorizzazione del merito. Perché propongono parametri che tendono ad aumentare la distribuzione, per così dire, "a pioggia" dei (pochi) fondi a disposizione. Pongono infatti, un limite al numero di progetti che può presentare un singolo ateneo e pongono un limite al numero di giovani che possono proporre di svolgere attività di ricerca presso una specifica università.

È chiaro che, in questo modo, sostengono non senza ragione Beltram e Carrozza, vengono penalizzati i migliori centri di ricerca e favoriti i mediocri. E poiché la qualità della ricerca è frutto non solo della capacità dei singoli ricercatori, ma anche dell'ambiente in cui si opera, in definitiva viene penalizzata anche la qualità della ricerca.

Questi limiti si aggiungono ai precedenti nell'opera di erosione del merito. Quali sono i precedenti: beh li ha descritti appena un anno fa uno dei referees impegnato nella valutazione dei progetti PRIN, il professor Ernesto Carafoli (tra gli scienziati italiani più citati al mondo; un passato di ricerca all'ETH di Zurigo e un presente all'università di Padova).

Il biochimico faceva notare come un terzo dei progetti risultati vincenti con l'ultimo bando aveva ottenuto il massimo della votazione 60 su 60; e che il 20% di tutti i progetti presentati ha avuto una valutazione compresa tra 58 e 60. Uno sproposito. Un giudizio di qualità che non ha pari al mondo.

Delle due l'una, sosteneva Carafoli: o i ricercatori italiani sono di gran lunga più geniali e creativi dei loro colleghi stranieri, o i referees italiani tendono ad appiattire verso l'alto le loro valutazioni perché vogliono essere sicuri che "quel" progetto, magari proposto da un gruppo "amico", risulti vincitore. Ancora una volta a scapito del merito.

Ritorna, dunque, il problema della valutazione della ricerca, che in Italia assume connotati davvero peculiari e altalenanti. Dopo anni di incubazione, è appena partito il primo piano valutazione dell'ANVUR (Agenzia Nazionale per la valutazione dell'università e della ricerca): ed è stato salutato quasi da tutti come il segnale che anche in Italia il merito diventa il criterio di selezione nel sistema dell'educazione superiore e della ricerca. Ora i bandi PRIN e "Futuro in Ricerca" sembrano fare un passo indietro. A dimostrazione di quanto sia difficile in Italia l'affermazione della cultura del merito.

E sì che, quando competono a livello internazionale, i ricercatori italiani non risultano inferiori a nessuno. Dimostrando che, in un ambiente che valorizza il merito, riescono a sopravvivere molto bene. Perché dunque nei confini dell'Italia ci sono tante resistenze ad affermarla, la cultura del merito? La causa, probabilmente, va ricercata nel combinato disposto di una farraginosa e occhiuta burocrazia, dei pochi fondi a disposizione e delle ridotte dimensioni della comunità scientifica italiana.

Tuttavia se ne può (se ne deve) venir fuori. Come? Beh realizzando proprio quello che propongono Beltram e Carrozza: copiando il sistema di valutazione vigente in Europa con l'European Research Council (ERC) o negli Stati Uniti, con la National Science Foundation (NSF) e i National Institutes of Health (NIH). Sistemi che prendono in considerazione uno e un solo parametro, il merito. Di chi presenta il progetto. Ma anche di chi lo valuta.

Non è un'impresa facile. Il matematico e già consigliere scientifico di Roosevelt, Vannevar Bush, faticò le proverbiali sette camicie per affermare questi principi quando progettò, alla fine della seconda guerra mondiale, il sistema di ricerca pubblico negli Stati Uniti. Ma, infine, ci riuscì.

Non è un'impresa impossibile. In Italia viene già applicata. Tutti riconoscono, per esempio, che il sistema di valutazione dei progetti di ricerca di Telethon funziona molto bene a monte. E infatti a valle, quando a progetto ultimato si vanno a considerare i risultati, le ricerche Telethon hanno un elevatissimo grado di riconoscimento scientifico. Perché puntare sul merito, anche in Italia, paga.

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